Riforma in secondo grado di una decisione di proscioglimento in abbreviato: nessun obbligo di rinnovazione delle dichiarazioni assunte nelle indagini preliminari (di Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 2^, sentenza n. 10401/2024, udienza del 13 febbraio 2024, ha affermato che il giudice di appello che riformi una decisione di proscioglimento assunta in esito a giudizio abbreviato, in base al novellato art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen. e in forza dei dettami della recente giurisprudenza della Corte EDU, non è tenuto alla rinnovazione della prova dichiarativa, neanche con riguardo all’audizione dell’imputato, limitata, secondo l’enunciato della Corte EDU Maestri c. Italia, al caso in cui la stessa sia avvenuta nel corso del giudizio di primo grado, con conseguente esclusione di quello in cui siano state valutate dichiarazioni rese dal predetto nel corso delle indagini preliminari.

Occorre brevemente riepilogare l’excursus giurisprudenziale e normativo in tema di obbligo di rinnovazione dell’istruzione da parte del giudice di appello in caso di sentenza di condanna pronunciata in riforma della decisione di proscioglimento di primo grado e ciò al fine di confutare comunque gli argomenti difensivi circa l’obbligatorietà della rinnovazione istruttoria anche a seguito della riforma in appello della decisione di proscioglimento emessa in primo grado all’esito di giudizio abbreviato.

Il tema dell’obbligo di rinnovazione è frutto di sollecitazioni che per prime sono pervenute dalla giurisprudenza della Corte EDU che in ossequio ai principi stabiliti dalle sentenze gemelle della Corte costituzionale nn. 348 e 349 del 2007 appaiono immediatamente applicabili anche nell’ordinamento interno; in particolare la Corte europea dei diritti dell’uomo (C. EDU 5.7.2011, Dan c. Moldavia) ha ritenuto integrata la violazione dell’art. 6, par. 1, della Convenzione nella parte in cui il processo di appello aveva condotto ad un ribaltamento della condanna, in assenza di attività istruttoria e, quindi, sulla scorta dei soli atti assunti in primo grado, stabilendo in particolare che: “La Corte ritiene che coloro che hanno la responsabilità di decidere la colpevolezza o l’innocenza di un imputato dovrebbero, in linea di massima, poter udire i testimoni personalmente e valutare la loro attendibilità. La valutazione dell’attendibilità di un testimone è un compito complesso che generalmente non può essere eseguito mediante una semplice lettura delle sue parole verbalizzate“.

Quindi, l’affermazione di responsabilità in sede di gravame che dovesse conseguire ad una diversa valutazione di attendibilità delle prove orali ritenute decisive richiede, però, per essere rispettosa dell’art. 6 C.E.D.U., l’esame diretto dei testimoni da parte del giudice d’appello.

Sulla scia del caso Dan la Corte EDU ha pronunciato ulteriori pronunce nelle quali ha ancora una volta affrontato lo stesso tema della condanna in grado di appello in riforma della pronuncia assolutoria emessa all’esito del giudizio di primo grado; è stato così dichiarato (C. EDU 4.6.2013, Hanu c. Romania) che anche se spetta normalmente al giudice nazionale stabilire se sia necessario o opportuno sentire testimoni, circostanze eccezionali come la condanna in appello in riforma portano a concludere che la mancata escussione di una persona come testimone è incompatibile con l’art. 6 della Convenzione e ciò anche se non ne sia stata fatta richiesta dalla parte.

Il principio dell’obbligo di procedere d’ufficio da parte del giudice di appello che decida in riforma veniva riaffermato con altra pronuncia della Corte europea che stabiliva che in caso di riforma della pronuncia assolutoria da parte del giudice di appello è compito di questi provvedere anche d’ufficio all’acquisizione della prova orale fondamentale (C. EDU 9.4.2013, Fleuras c. Romania) e ciò per evitare la violazione dell’art. 6 C.E.D.U.

La Corte partiva dalla premessa che la valutazione della attendibilità posta a fondamento della decisione deve basarsi sulla analisi non solo del dichiarato scritto, ma anche del comportamento posto in essere durante l’audizione e concludeva per la violazione delle regole del processo giusto. Disposto appello del PM a seguito di pronuncia assolutoria, la riassunzione della prova orale fondamentale diveniva quindi necessaria indipendentemente dai parametri della rinnovazione dell’istruttoria così come interpretati dalla giurisprudenza tradizionale. In tali casi il provvedimento del giudice poteva richiamare, oltre che l’art. 603 cod. proc. pen., la fonte principale di tale obbligo, ossia l’art. 6 della Convenzione europea nella interpretazione fornita dalla giurisprudenza della Corte EDU.

Sempre nell’ottica dell’obbligo di rinnovazione istruttoria si è mossa quella pronuncia (C. EDU 8.7.2021 Maestri c. Italia) che impone al giudice di appello in caso di impugnazione da parte del pubblico ministero la rinnovazione dell’esame dibattimentale dell’imputato che sia stato già escusso nel primo grado di giudizio. Secondo le affermazioni della Corte europea in tale pronuncia, perché il diritto dell’imputato ad essere ascoltato dalla giurisdizione di merito, su fatti e questioni determinanti per l’accertamento della colpevolezza, sia soddisfatto, non è sufficiente la citazione all’udienza di appello ai sensi dell’art. 601 c.p.p.: del resto, non può che osservarsi come si tratti di adempimento funzionale a mettere il soggetto unicamente nelle condizioni di conoscere la data dell’udienza e decidere se partecipare o meno al “proprio” processo. Pertanto, spetta «alle autorità giudiziarie adottare tutte le misure positive idonee a garantire l’audizione dell’interessato, anche se quest’ultimo non ha assistito all’udienza, non ha chiesto di essere autorizzato a prendere la parola dinanzi alla giurisdizione di appello e non si è opposto, tramite il suo avvocato, a che quest’ultima emetta una sentenza sul merito». 

Nel solco segnato dalle pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo sono poi intervenute le Sezioni unite della Corte di cassazione; con plurimi interventi sul punto le Sezioni unite hanno esteso l’obbligo di rinnovazione anche al di là del principio di immediatezza tra giudice della condanna e prova che, come già detto, costituiva il parametro di riferimento della giurisprudenza europea.

Con una prima pronuncia che tendeva a spazzare le interpretazioni riduttive (Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Rv. 267492 – 01) in virtù di una interpretazione estensiva del canone dell’oltre ragionevole dubbio esteso ai rapporti tra sentenza di primo grado e giudizio di appello si era stabilito che la necessità per il giudice dell’appello di procedere, anche d’ufficio, alla rinnovazione dibattimentale della prova dichiarativa nel caso di riforma della sentenza di assoluzione sulla base di un diverso apprezzamento dell’attendibilità di una dichiarazione ritenuta decisiva, non consente distinzioni a seconda della qualità soggettiva del dichiarante e vale: a) per il testimone “puro”; b) per quello c.d. assistito; c) per il coimputato in procedimento connesso; d) per il coimputato nello stesso procedimento (fermo restando che, in questi ultimi due casi, l’eventuale rifiuto di sottoporsi all’esame non potrà comportare conseguenze pregiudizievoli per l’imputato); e) per il soggetto “vulnerabile” (salva la valutazione del giudice sulla indefettibile necessità di sottoporre il soggetto debole, sia pure con le dovute cautele, ad un ulteriore stress); f) per l’imputato che abbia reso dichiarazioni “in causa propria” (dal cui rifiuto non potrebbe, tuttavia, conseguire alcuna preclusione all’accoglimento della impugnazione); inoltre, la stessa pronuncia, stabiliva che la previsione contenuta nell’art. 6, § 3, lett. d) della C.E.D.U., relativa al diritto dell’imputato di esaminare o fare esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico, come definito dalla giurisprudenza consolidata della Corte EDU — che costituisce parametro interpretativo delle norme processuali interne — implica che il giudice di appello, investito della impugnazione del pubblico ministero avversa la sentenza di assoluzione di primo grado, anche se emessa all’esito del giudizio abbreviato, con cui si adduca una erronea valutazione delle prove dichiarative, non può riformare la sentenza impugnata, affermando la responsabilità penale dell’imputato, senza avere proceduto, anche d’ufficio, ai sensi dell’art. 603, c. 3, c.p.p., a rinnovare l’istruzione dibattimentale attraverso l’esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo, ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado. Ed in conclusione in relazione al vizio della pronuncia di secondo grado che in riforma della pronuncia di primo grado avesse condannato l’imputato si affermava che è affetta da vizio di motivazione ex art. 606, c. 1, lett. e), c.p.p., per mancato rispetto del canone di giudizio “al di là di ogni ragionevole dubbio”, di cui all’art. 533, c. 1, c.p.p., la sentenza di appello che, su impugnazione del PM, affermi la responsabilità dell’imputato, in riforma di una sentenza assolutoria, operando una diversa valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, delle quali non sia stata disposta la rinnovazione a norma dell’art. 603, c. 3, c.p.p.; ne deriva che, al di fuori dei casi di inammissibilità del ricorso, qualora il ricorrente abbia impugnato la sentenza di appello censurando la mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione con riguardo alla valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, pur senza fare specifico riferimento al principio contenuto nell’art. 6, § 3, lett. d) , della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, la Corte di cassazione deve annullare con rinvio la sentenza impugnata.

La generalizzata imposizione dell’obbligo di rinnovazione sul giudice di appello investito del gravame avverso la sentenza assolutoria di primo grado veniva ribadita anche con altre e successive pronunce della Corte di cassazione; in particolare un ulteriore intervento rispetto alla sentenza Dasgupta (Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Rv. 269785 – 01) stabiliva che è affetta da vizio di motivazione ex art. 606, c. 1, lett. e), per mancato rispetto del canone di giudizio “al di là di ogni ragionevole dubbio”, di cui all’art. 533, c. 1, la sentenza di appello che, su impugnazione del pubblico ministero, affermi la responsabilità dell’imputato, in riforma di una sentenza assolutoria emessa all’esito di un giudizio abbreviato, operando una diversa valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, senza che nel giudizio di appello si sia proceduto all’esame delle persone che abbiano reso tali dichiarazioni.

Tuttavia le Sezioni unite nella stessa pronuncia si sforzavano di precisare che quanto esposto vale (sia per il giudizio ordinario che per il giudizio abbreviato) solo nei casi in cui di differente “valutazione” del significato della prova dichiarativa si possa effettivamente parlare: non perciò quando il documento che tale prova riporta risulti semplicemente “travisato”, quando, cioè, emerga che la lettura della prova sia affetta da errore “revocatorio”, per omissione, invenzione o falsificazione. In questo caso, difatti, non può sorgere alcuna esigenza di rivalutazione di tale contenuto attraverso una nuova audizione del dichiarante.

Nella lettura delle Sezioni unite un’eccezione possibile all’obbligo di rinnovazione veniva integrato dalla impossibilità di ripetizione della prova; si affermava così che la riforma, in grado di appello, della sentenza di assoluzione non è preclusa nel caso in cui la rinnovazione della prova dichiarativa decisiva .sia divenuta impossibile per decesso del dichiarante, e tuttavia la relativa decisione deve presentare una motivazione rafforzata sulla base di elementi ulteriori, idonei a compensare il sacrificio del contraddittorio, acquisibili dal giudice anche avvalendosi dei poteri officiosi di cui all’art. 603, c. 3, c.p.p., ivi compresa la possibilità di lettura delle dichiarazioni predibattimentali già rese dal suddetto deceduto (Sez. U, n. 11586 del 30/09/2021 Ud. (dep. 30/03/2022) Rv. 282808 – 01).

Non vi è dubbio che la linea interpretativa tracciata con le richiamate pronunce poggia su una considerazione che assume un rilievo centrale nella ricostruzione dei tratti fondamentali del sistema processuale penale: mentre il ribaltamento in senso assolutorio del giudizio di condanna, operato dal giudice di appello pur senza procedere alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, è perfettamente in linea con il principio della presunzione di innocenza, presidiata dai criteri di giudizio di cui all’art. 533 cod. proc. pen., diversamente è da dire nell’ipotesi inversa. È l’introduzione del canone “al di là di ogni ragionevole dubbio”, inserito nell’art. 533, c. 1, cod. proc. pen. ad  opera della I. 20 febbraio 2006, n. 46 (ma già individuato quale inderogabile regola di giudizio dalla pronuncia Sezioni unite n. 30328/02, Franzese), ad aver guidato la giurisprudenza, nel senso che per la riforma di una sentenza assolutoria nel giudizio di appello non basta, in mancanza di elementi sopravvenuti, una mera diversa valutazione del materiale probatorio già acquisito in primo grado ed ivi ritenuto inidoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza, ma occorre invece una “forza persuasiva superiore”, tale da far venire meno “ogni ragionevole dubbio”.

L’accidentato percorso seguito dalla giurisprudenza europea e della cassazione sul tema della riforma in appello della decisione assolutoria di primo grado ha determinato il ripetuto intervento del legislatore; si è così dapprima introdotto, ad opera della I. n. 103/2017, il c. 3-bis all’art. 603 c.p.p.: secondo cui « nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alle valutazioni della prova dichiarativa, il giudice, dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale».

Con il primo intervento normativo l’obbligo di rinnovazione veniva limitato al solo caso dell’impugnazione proposta dal pubblico ministero contro una sentenza di assoluzione con proposizione di specifici motivi di doglianza riguardanti il giudizio di attendibilità di una qualunque prova dichiarativa; il giudice di appello non soggiace all’obbligo di rinnovazione, evidentemente previsto per salvare il principio di immediatezza, solo quando ritenga il gravame del p.m. manifestamente infondato.

Quanto alla natura della prova da rinnovare essa riguarda qualsiasi prova dichiarativa sulla cui attendibilità verta controversia e non solo quindi la deposizione della persona offesa. Tuttavia, la giurisprudenza delle Sezioni unite pur a fronte dell’intervento normativo del 2017 ha proseguito nella interpretazione estensiva dell’obbligo di rinnovazione a carico del giudice di appello anche ben al di là dei casi che sembravano disciplinati dal legislatore con la c.d., riforma Orlando del 2017 mediante la riformulazione dell’art. 603 cod. proc. pen.; si è così affermato che il giudice di appello che riformi, ai soli fini civili, la sentenza assolutoria di primo grado sulla base di un diverso apprezzamento dell’attendibilità di una prova dichiarativa ritenuta decisiva, è tenuto, anche d’ufficio, a rinnovare l’istruzione dibattimentale anche successivamente all’introduzione del comma 3-bis dell’art. 603 c.p.p., ad opera dalla I. 23.6.2017, n. 103 (Sez. U, n. 22065 del 28/01/2021, Rv. 281228 – 02).

A fronte però della persistenza di dubbi che ampliavano l’obbligo di rinnovazione del giudice di appello investito dell’impugnazione della sentenza di assoluzione ben oltre il campo tipico del principio di immediatezza, il legislatore è nuovamente intervenuto con la recente riforma prevista dal d. lgs. n. 150/22 al fine evidente di tassativizzare detto obbligo limitandone il campo applicativo; la nuova previsione contenuta nel c. 3-bis dell’art. 603 non soltanto impone la rinnovazione solo a fronte di un appello della sentenza di proscioglimento da parte del pubblico ministero ma la subordina ad alcune specifiche circostanze. Innanzi tutto, come peraltro già disposto nella precedente versione del c. 3-bis, la rinnovazione si impone soltanto ove l’impugnazione, con motivi evidentemente specifici, abbia devoluto aspetti relativi alla interpretazione delle prove dichiarative. In secondo luogo, con previsione certamente assai specifica ed innovativa, l’obbligo di rinnovazione viene limitato espressamente ai soli casi di prove dichiarative che siano state assunte nel giudizio dibattimentale di primo grado ovvero nel giudizio abbreviato nel solo caso di integrazione probatoria.

L’espresso riferimento contenuto nella nuova disposizione alla sussistenza di un obbligo di rinnovazione nel giudizio abbreviato di appello subordinato alla esclusiva condizione dell’avvenuta integrazione probatoria esclude l’applicabilità del comma 3 bis cit. nel c.d. abbreviato secco, come pure richiamato invece dalla doglianza esposta con i motivi aggiunti. Secondo la Relazione Illustrativa del d. lgs. 150/2022 si è intervenuti sull’articolo 603 cod. proc. pen. inserendo il nuovo comma 3-bis, prevedendo una limitazione a casi specifici per rinnovare l’istruttoria dibattimentale in appello anche per il ricorso proposto dal p.m. e non solo da quello proposto dalle parti; in particolare la Relazione suddetta afferma testualmente che:” Viene parimenti esclusa la rinnovazione dell’istruzione finalizzata alla rivalutazione della prova dichiarativa nei casi di giudizio abbreviato in cui non vi sia stata integrazione probatoria”. La volontà di ricondurre l’obbligo di rinnovazione in appello nel caso di impugnazione della sentenza assolutoria di primo grado al canone dell’immediatezza tra giudice della condanna e prova appare pertanto evidente.

Ne deriva affermare che ai sensi della nuova disciplina dettata dall’art. 603 comma 3 bis cod. proc. pen. come riformulato dalla c.d. Riforma Cartabia in capo al giudice di appello non sussiste alcun obbligo di rinnovazione nell’ipotesi di impugnazione della sentenza di assoluzione emessa all’esito di rito abbreviato.

Tale precisa volontà risultava anticipata già dal contenuto della Relazione finale della Commissione Lattanzi sul progetto del legge delega la quale aveva espressamente criticato il risultato degli orientamenti giurisprudenziali in esame affermando che “il rafforzamento dei poteri istruttori in seconde cure nell’ipotesi di appello del pubblico ministero si è dimostrata piuttosto critica, nella misura in cui ha prodotto un meccanismo assai dispendioso e problematico, destinato a produrre veri e propri cortocircuiti logici quando opera nei casi di giudizio abbreviato” qualificando poi, l’istituto della rinnovazione obbligatoria a seguito di impugnazione della sentenza assolutoria emessa nel rito abbreviato, una vera e propria “aporia” del sistema.

Del resto tale conclusione risulta ribadita proprio dalla Corte EDU che in diverse pronunce aveva escluso la necessità di rinnovazione in caso di rito abbreviato; con alcuni più recenti interventi la C.E.D.U. ha precisato e chiarito il contenuto dell’obbligo di rinnovazione del giudice di appello dinanzi al quale sia stata impugnata una sentenza assolutoria di primo grado; si è così escluso che l’obbligo di rinnovazione incomba sul giudice anche nei casi di scelta da parte degli imputati del rito abbreviato e quindi di decisione assunta allo stato degli atti (C. EDU 25.3.2021 Di Martino e Molinari c. Italia) e ciò essenzialmente perché attraverso la richiesta di instaurazione del rito, i ricorrenti – assistiti dai loro difensori – hanno accettato di difendersi sulla base degli atti contenuti nel fascicolo delle indagini preliminari — di cui avevano avuto conoscenza – rinunciando, sans équivoque, al diritto di ottenere l’audizione dei testimoni, compresi quelli di cui hanno lamentato il mancato esame nel giudizio d’appello.

Su tale rilevante aspetto della rinnovazione istruttoria in appello ridisegnata dall’art. 603 comma 3 bis cod. proc. pen. come modificato dal d. lgs. 150/2022 si segnala anche il contenuto della Relazione del Massimario della Corte di cassazione che intervenuta sulla modifica normativa, ha affermato che: “la rinnovazione istruttoria in appello subisce una sensibile contrazione rispetto all’attuale panorama normativo, nel progetto riformatore volto ad un più efficiente giudizio di secondo grado. In proposito il legislatore della riforma ha inteso espungere l’obbligo di rinnovazione istruttoria per il caso di impugnazione della sentenza assolutoria emessa all’esito di rito abbreviato secco, sul fondamento che, a fronte della rinuncia dell’imputato al contraddittorio nell’assunzione della prova – facoltà connessa al rito abbreviato e bilanciata dal noto beneficio premiale-, non si pone alcuna necessità processuale di rinnovazione delle prove dichiarative. Come noto, nel ribaltare l’editto assolutorio di primo grado, il giudice di appello è di regola tenuto a rinnovare la prova dichiarativa ma, secondo la nuova previsione, tale necessità non sorge laddove in primo grado il giudizio si sia integralmente svolto sulla base degli atti contenuti nel fascicolo delle indagini preliminari. La scelta operata dall’imputato di essere giudicato allo stato degli atti comporta la rinuncia ad oralità e contraddittorio nella formazione della prova e non impone quindi, nel giudizio di appello avverso la sentenza assolutoria, l’assunzione di prove dichiarative che, per effetto dell’opzione processuale, non siano state assunte in primo grado. Diversamente, potrebbe profilarsi una asimmetria tra giudizio di primo grado, deciso allo stato degli atti, e giudizio di appello, venendo altresì in gioco il potenziale contrasto rispetto alla volontà dell’imputato di essere giudicato secondo le forme del rito abbreviato secco“.

Anche i primi interventi della giurisprudenza di legittimità hanno segnalato la modifica normativa in tema di rito abbreviato e pronuncia di condanna in appello in riforma della decisione di primo grado; in particolare si è affermato che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., come riformulato dall’art. 34, comma 1, lett. i), n. 1), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, nella parte in cui, in caso di ribaltamento in appello della sentenza di proscioglimento, non prevede la rinnovazione obbligatoria delle prove dichiarative quando la sentenza di primo grado sia stata pronunciata all’esito di giudizio abbreviato nel quale non si sia proceduto ad integrazione probatoria (Sez. 5, n. 49667 del 10/11/2023, Rv. 285490 – 02).

Negli stessi termini si è espressa altra pronuncia (Sez. 6 n.5925 dep. 2024 del 2023 non massimata) la quale in motivazione prendeva espressamente in considerazione la problematica stabilendo che: “il motivo di ricorso relativo alla denuncia del vizio di violazione di legge in relazione all’art. 603, comma 3-bis cod. proc. pen. è ammissibile anche dopo le modifiche apportate alla disciplina della rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello a seguito della entrata in vigore del d. Igs. n. 120 del 10 ottobre 2022 che, con l’art. 34, comma 1, lett. i) n. 1, ne ha previsto la obbligatorietà solo con riferimento alle prove dichiarative assunte in udienza all’esito di integrazione probatoria disposta nel giudizio abbreviato a norma degli artt. 438, comma 5, e 441, comma 5, cod. proc. pen.

A tal riguardo va rilevato che, sulla scorta del principio tempus regít actum, contenuto nell’art. 11 delle preleggi, la verifica della deducibilità del vizio di violazione di legge in relazione all’art. 603, comma 3-bis cod. proc. pen. con riferimento alla mancata rinnovazione dell’istruttoria in appello, deve essere condotta avuto riguardo al momento in cui la Corte di appello ha esaminato l’appello del Pubblico Ministero contro la sentenza di proscioglimento a prescindere dal rilievo che alla data odierna, per effetto della modifica apportata all’art. 603, comma 3-bis dall’art. 34, citato, non è più prevista come obbligatoria la rinnovazione dell’istruttoria in relazione al rito abbreviato cd. secco, quale quello che ha definito la posizione dell’imputato”. Che la modifica normativa risulti rispettosa dei principi generali appare anche confortato da quanto stabilito dalla pronuncia n.124 del 2019 della Corte costituzionale che chiamata a pronunciarsi sulla illegittimità costituzionale dell’art. 603 comma 3 bis cod. proc. pen. come riformulato dalla Legge Orlando, riteneva infondate le eccezioni sollevate, non mancando però di sottolineare come l’art. 111, quinto comma Cost. “rinvia alla legge per la puntuale disciplina dei processi fondati sulla rinuncia dell’imputato all’assunzione della prova in contraddittorio, e lascia così che sia il legislatore a provvedere secondo il suo discrezionale apprezzamento affinché il processo mantenga caratteristiche di complessiva equità, e sia comunque assicurato, in particolare, l’obiettivo ultimo della correttezza del decisione“.

Con la conseguenza che essendo per la Corte costituzionale riservata alla legge la materia dei processi fondati sulla rinuncia al contraddittorio da parte dello stesso imputato, un vizio di costituzionalità per la nuova disciplina dell’art. 603 comma 3 bis cod. proc. pen. come modificato dal d.lgs. 150/2022 non può essere prospettato.

Così ricostruita l’evoluzione normativa e giurisprudenziale non può esservi dubbio che sulla base del riformato art. 603 comma 3 bis cod. proc. pen. ed in forza dei dettami della più recente giurisprudenza CEDU, alcun obbligo di rinnovazione incomba sul giudice di appello che in esito al rito abbreviato secco riformi la decisione di proscioglimento di primo grado; e tale obbligo non sussiste neppure in relazione alla audizione dell’imputato che secondo la già citata pronuncia Corte EDU Maestri c. Italia, citata nei motivi aggiunti, è pur sempre limitata al caso dell’avvenuta audizione dello stesso nel corso del primo grado e non anche quando, siano state valutate le dichiarazioni rese nel corso delle indagini.