Le misure coercitive non custodiali decadono automaticamente al passaggio in giudicato della sentenza (di Riccardo Radi)

Un principio si direbbe pacifico ma che è stato dimenticato o non dovutamente ponderato dal tribunale del riesame di Roma.

La Cassazione sezione 5 con la sentenza numero 19619/2024 ha ricordato che il passaggio in giudicato di una sentenza di condanna a pena detentiva suscettibile di esecuzione comporta la caducazione immediata della misura coercitiva non custodiale già applicata al condannato (Sez. U, n. 18353 del 31/03/2011, Maida, Rv. 249480).

Nessuna norma, infatti, prevede che, quando diviene inoppugnabile la sentenza di condanna a pena detentiva non sospesa o non altrimenti estinta, pronunziata nei confronti di persona sottoposta a misura coercitiva diversa dalla custodia cautelare in carcere o nel domicilio, la restrizione della libertà debba permanere in forza della predetta sentenza di condanna.

Il codice di rito detta una puntuale disciplina riferibile alla protrazione di una misura cautelare che non sia la custodia in carcere solo in relazione gli arresti domiciliari, ai sensi dell’art. 656, comma 10, cod. proc. pen. e prevede una disciplina relativa alla fungibilità delle pene esclusivamente con riguardo alla custodia cautelare – ex art. 657 cod. proc. pen. – e alle pene accessorie – ex art. 662 cod. proc. pen. -, escludendo da tale regime le misure coercitive diverse da quelle custodiali. In assenza di un’esplicita previsione, ammettere che una misura cautelare non custodiale si protragga oltre il giudizio di cognizione, senza alcun collegamento con le esigenze di questo e senza che le limitazioni della libertà in tal modo patite possano in alcun modo essere scomputate dalla pena da espiare, comporterebbe non soltanto la totale negazione della funzione servente delle misure cautelari rispetto al processo, ma anche la sottrazione delle stesse dall’alveo dei principi di necessità, di proporzione e di legalità.

Ebbene, nel caso in esame, dal certificato del casellario giudiziale in atti, risulta che, effettivamente, è passata in giudicato la sentenza con la quale il C. è stato condannato, per i reati in ordine ai quali era stata disposta l’applicazione della misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.

L’ordinanza impugnata, pertanto, deve essere annullata senza rinvio.

Riportiamo quanto accaduto in fatto e le censure proposte dal difensore.

Con ordinanza dell’8 settembre 2022, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma aveva applicato nei confronti di A.C. la misura cautelare della custodia cautelare in carcere, in ordine a tre episodi di furto in abitazione.

Con ordinanza del 7 ottobre 2022, il Giudice per le indagini preliminari aveva sostituito l’originaria misura con quella degli arresti domiciliari.

Con sentenza del 13 giugno 2023, il Giudice per le indagini preliminari, all’esito di giudizio abbreviato, aveva condannato il C. alla pena di anni due, mesi quattro e giorni dieci di reclusione in relazione ai reati per i quali era stata applicata la misura cautelare nonché in ordine ad altri due episodi di furto in abitazione.

Con ordinanza del 22 giugno 2023, il Giudice per le indagini preliminari, a seguito di istanza della difesa, aveva disposto la revoca degli arresti domiciliari, rilevando che, «in considerazione del tempo trascorso dall’esecuzione della misura cautelare e dell’esito del giudizio abbreviato», le esigenze cautelari dovevano considerarsi cessate.

Avverso detto provvedimento, aveva proposto appello il pubblico ministero, rilevando che: il decorso del tempo dall’esecuzione della misura cautelare e l’esito del giudizio abbreviato non costituivano elementi di sicura valenza sintomatica in ordine al mutamento delle esigenze cautelari; l’applicazione della misura degli arresti domiciliari risaliva solo al 7 ottobre 2022 ed era relativa a una condotta grave e reiterata, realizzata in spregio all’età e alla debolezza, fisica e psicologica, delle persone offese.

Per tali ragioni, chiedeva l’annullamento dell’ordinanza impugnata ed il ripristino degli arresti domiciliari.

Con memoria depositata all’udienza camerale del 21 settembre 2023, la difesa aveva rilevato che – calcolando la liberazione anticipata che l’imputato avrebbe sicuramente ottenuto e la riduzione di pena legata alla mancata impugnazione della sentenza di condanna – l’intera pena inflitta doveva essere considerata già interamente espiata.

Con ordinanza emessa il 4 ottobre 2023 (all’esito della camera di consiglio del 21 settembre 2023), il Tribunale di Roma – Sezione Riesame -, in parziale accoglimento dell’appello, ha applicato la misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.

Avverso l’ordinanza, A.C. ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia, deducendo il vizio di erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art. 300 cod. proc. pen.

Rappresenta che, in data 15 ottobre 2023, è divenuta irrevocabile la sentenza di condanna relativa ai fatti per i quali il Tribunale ha disposto l’applicazione della misura cautelare dell’obbligo della presentazione alla polizia giudiziaria.

Tanto premesso, sostiene che il passaggio in giudicato della sentenza di condanna avrebbe determinato l’immediata caducazione della misura coercitiva non custodiale applicata al condannato.