L’avvocato autoctono, ossia con studio legale e residenza nel medesimo luogo in cui insiste il tribunale, lo riconosci subito.
Egli, l’avvocato autoctono prima dell’avvento del telematico, arrivava in udienza non prima delle 11,00 rispetto all’avvocato fuori sede che, in genere, era già presente la mattina presto per aiutare ad aprire i cancelli del tribunale, spalancare le finestre delle aule di udienza per far cambiare l’aria e via dicendo.
L’avvocato autoctono, spesso ma non sempre, arrivava in sella alla sua moto senza mancare di elencare i problemi del traffico, del parcheggio, della fila interminabile per il caffè e il cappuccino che avevano reso difficile arrivare presto in tribunale.
Poi c’era l’avvocato autoctono temerario che, arrivando in udienza non prima delle 11,00, si azzardava anche a spiegare all’avvocato fuori sede che aveva dovuto finire di mettere l’ultima pennellata ad un ricorso in cassazione importantissimo.
L’avvocato autoctono, inoltre, era l’ultimo ad arrivare in udienza ma il più sollecito, quasi sempre, a finire prima di tutti, e senza torto perché a lui era dovuta tutta la comprensione perché, ammettiamolo, non doveva essere semplice dover attraversare qualche strada oppure svoltare l’angolo per raggiungere il proprio ufficio o la propria abitazione. Fatiche dell’avvocato autoctono che i fuori sede … neanche a dirlo, faticano ancora a comprendere.
