“Sono sereno, ho fiducia nella giustizia”: sono ancora possibili e vere queste parole? (di Vincenzo Giglio e Riccardo Radi)

Abbiamo letto molte volte la frase del titolo.

Proviene ovviamente da chi, coinvolto in un procedimento penale divenuto noto all’opinione pubblica ed essendo anch’egli noto per qualche ragione, ritiene opportuno mandare un segnale di correttezza civica (la fiducia) e, al tempo stesso, di innocenza (la serenità).

Entrambi i sentimenti possono essere veri – nel senso di corrispondere al reale stato d’animo di chi li manifesta – ma si può scommettere che, nella stragrande maggioranza dei casi, la fiducia sia solo una facciata dietro la quale si nasconde il suo esatto contrario e la serenità sia solo un’aspirazione finale di lungo periodo mentre il presente, anche e soprattutto per i veri innocenti, sia una preoccupazione profonda e lacerante.

Questa constatazione porta con sé una domanda essenziale: che si sia oppure no afflitti dalla notorietà, perché mai fiducia e serenità sono diventati un lusso e insieme un indizio di inadeguata percezione della realtà per chi indossa la scomoda veste di accusato nella sede penale?

Quanti fattori di disturbo sono sopravvenuti negli anni per annichilire il vecchio detto “male non fare, paura non avere” partorito da società e in tempi assai più elementari di adesso in cui prevalevano il bianco e il nero e non c’era spazio per cinquanta sfumature di grigio e neanche per dieci?

Elenchiamo questi possibili fattori, senza accreditarne la fondatezza, traendoli dal cosiddetto senso comune.

Leggi incomprensibili? Sì.

Interpretazioni variabili dalla sera alla mattina? Sì.

Influenza esagerata dell’accusa? Sì.

Debolezza inarrestabile della difesa? Sì.

Inerzia contemporanea verso la condanna? Sì.

Timore/odio/disprezzo verso la complessità? Sì.

Giudici troppo umani? Sì.

Giudici troppo poco umani? Sì.

Giustizia non uguale per tutti? Sì.

Ricchi meglio dei poveri? Sì, ma solo per quelli schierati dalla parte giusta.

Potenti meglio dei reietti della terra? No, ma solo nel senso che i potenti, quelli veri, a giudizio non ci vanno mai.

Influenze esterne al giudizio? Sì.

Interessi esterni al giudizio? Sì.

Altro ancora? Sì, ma a un certo punto bisogna pure farla finita, non possiamo fare notte.

E i rimedi?

Beh, facile, basta andare in direzione esattamente e ostinatamente contraria.

Leggi chiare, interpretazioni stabili e sensate, accusa ridimensionata, difesa rinvigorita, rafforzamento della presunzione d’innocenza e valorizzazione del dubbio, formazione più accurata della magistratura, ripristino delle fondamenta del giudice terzo, e via discorrendo.

Si farà? No, ovvio.

E allora? Allora niente, era solo per parlare.

E quel fatto che bisogna difendersi nel processo e non dal processo?

Di questo, magari, parleremo un’altra volta.