Immediatezza della prova: cronaca di una morte annunciata (di Vincenzo Giglio)

Il legislatore, la Corte costituzionale e la Corte di cassazione si sono tutti occupati del principio di immediatezza, ora declinandolo normativamente, ora scrutinandone la legittimità costituzionale, ora traducendolo in diritto vivente attraverso l’interpretazione.

Vediamo come.

Il legislatore (art. 525, commi 1 e 2, cod. proc. pen.)

La sentenza è deliberata subito dopo la chiusura del dibattimento.

Alla deliberazione concorrono, a pena di nullità assoluta, gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento. Se alla deliberazione devono concorrere i giudici supplenti in sostituzione dei titolari impediti, i provvedimenti già emessi conservano efficacia se non sono espressamente revocati“.

La Corte costituzionale (sentenza n. 132/2019)

3.1.– Nell’impianto del vigente codice di procedura penale, il principio di immediatezza della prova è strettamente correlato al principio di oralità: principi, entrambi, che sottendono un modello dibattimentale fortemente concentrato nel tempo, idealmente da celebrarsi in un’unica udienza o, al più, in udienze celebrate senza soluzione di continuità (come risulta evidente dal tenore dell’art. 477 cod. proc. pen.). Solo a tale condizione, infatti, l’immediatezza risulta funzionale rispetto ai suoi obiettivi essenziali: e cioè, da un lato, quello di consentire «la diretta percezione, da parte del giudice deliberante, della prova stessa nel momento della sua formazione, così da poterne cogliere tutti i connotati espressivi, anche quelli di carattere non verbale, particolarmente prodotti dal metodo dialettico dell’esame e del controesame; connotati che possono rivelarsi utili nel giudizio di attendibilità del risultato probatorio» (ordinanza n. 205 del 2010); e, dall’altro, quello di assicurare che il giudice che decide non sia passivo fruitore di prove dichiarative già da altri acquisite, ma possa – ai sensi dell’art. 506 cod. proc. pen. – attivamente intervenire nella formazione della prova stessa, ponendo direttamente domande ai dichiaranti e persino indicando alle parti «nuovi o più ampi temi di prova, utili per la completezza dell’esame»: poteri che il legislatore concepisce come strumentali alla formazione progressiva del convincimento che condurrà il giudice alla decisione, idealmente collocata in un momento immediatamente successivo alla conclusione del dibattimento e alla (contestuale) discussione.

L’esperienza maturata in trent’anni di vita del vigente codice di procedura penale restituisce, peraltro, una realtà assai lontana dal modello ideale immaginato dal legislatore. I dibattimenti che si concludono nell’arco di un’unica udienza sono l’eccezione; mentre la regola è rappresentata da dibattimenti che si dipanano attraverso più udienze, spesso intervallate da rinvii di mesi o di anni, come emblematicamente illustra l’odierno giudizio a quo (Ritenuto in fatto, punto 2.).

In una simile situazione, il principio di immediatezza rischia di divenire un mero simulacro: anche se il giudice che decide resta il medesimo, il suo convincimento al momento della decisione finirà – in pratica – per fondarsi prevalentemente sulla lettura delle trascrizioni delle dichiarazioni rese in udienza, delle quali egli conserverà al più un pallido ricordo.

D’altra parte, la dilatazione in un ampio arco temporale dei dibattimenti crea inevitabilmente il rischio che il giudice che ha iniziato il processo si trovi nell’impossibilità di condurlo a termine, o comunque che il collegio giudicante muti la propria composizione, per le ragioni più varie. Il che comporta, oggi, la necessità di rinnovare le prove dichiarative già assunte in precedenza, salvo che le parti consentano alla loro lettura.

Frequente è, d’altra parte, l’eventualità che la nuova escussione si risolva nella mera conferma delle dichiarazioni rese tempo addietro dal testimone, il quale avrà d’altra parte una memoria ormai assai meno vivida dei fatti sui quali, allora, aveva deposto: senza, dunque, che il nuovo giudice possa trarre dal contatto diretto con il testimone alcun beneficio addizionale, in termini di formazione del proprio convincimento, rispetto a quanto già emerge dalle trascrizioni delle sue precedenti dichiarazioni, comunque acquisibili al fascicolo dibattimentale ai sensi dell’art. 511, comma 2, cod. proc. pen. una volta che il testimone venga risentito.

La dilatazione dei tempi processuali che deriva dalla necessità di riconvocare i testimoni – dilatazione che può assumere dimensioni imponenti in dibattimenti complessi, come quello pendente di fronte al giudice a quo – produce costi significativi, in termini tanto di ragionevole durata del processo, quanto di efficiente amministrazione della giustizia penale; e ciò anche in considerazione della possibilità che, proprio per effetto delle dilatazioni temporali in parola, il reato si prescriva prima della sentenza definitiva.

Il tutto a fronte di una assai dubbia idoneità complessiva di tale meccanismo a garantire, in maniera effettiva e non solo declamatoria, i diritti fondamentali dell’imputato, e in particolare quello a una decisione giudiziale corretta sull’imputazione che lo riguarda.

3.2.– In un simile contesto fattuale – con il quale non può non fare i conti ogni discorso sulla tutela dei diritti fondamentali – questa Corte ritiene doveroso sollecitare l’adozione di rimedi strutturali in grado di ovviare agli inconvenienti evidenziati, assicurando al contempo piena tutela al diritto di difesa dell’imputato.

Il che potrebbe avvenire non solo favorendo la concentrazione temporale dei dibattimenti, sì da assicurarne idealmente la conclusione in un’unica udienza o in udienze immediatamente consecutive, come avviene di regola in molti ordinamenti stranieri; ma anche, ove ciò non sia possibile, attraverso la previsione legislativa di ragionevoli deroghe alla regola dell’identità tra giudice avanti al quale si forma la prova e giudice che decide. Al riguardo, occorre infatti considerare che il diritto della parte alla nuova audizione dei testimoni di fronte al nuovo giudice o al mutato collegio «non è assoluto, ma “modulabile” (entro limiti di ragionevolezza) dal legislatore» (ordinanza n. 205 del 2010), restando ferma – in particolare – la possibilità per il legislatore di introdurre «presidi normativi volti a prevenire il possibile uso strumentale e dilatorio» del diritto in questione (ordinanze n. 318 del 2008 e n. 67 del 2007).

La stessa giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo – che pure ascrive alle garanzie dell’equo processo la possibilità, per l’imputato, di confrontarsi con i testimoni in presenza del giudice che dovrà poi decidere sul merito delle accuse, sul presupposto della maggiore affidabilità epistemologica dell’osservazione diretta del comportamento dei testi (ex multis, Corte EDU, sentenze 27 settembre 2007, Reiner e altri contro Romania, paragrafo 74 e 30 novembre 2006, Grecu contro Romania, paragrafo 72) – riconosce cionondimeno che il principio dell’immediatezza può essere sottoposto a ragionevoli deroghe, purché siano adottate misure appropriate per assicurare che il nuovo giudice abbia una piena conoscenza del materiale probatorio. Ad esempio, la Corte EDU ha indicato quale “misura compensativa” adeguata la possibilità, per il nuovo giudice, di disporre la rinnovazione della deposizione dei (soli) testimoni la cui deposizione sia ritenuta importante (Corte EDU, sentenze 2 dicembre 2014, Cutean contro Romania, paragrafo 61, e 6 dicembre 2016, Škaro contro Croazia, paragrafo 24); e ha escluso la violazione dell’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1955, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, in un caso in cui non era stata rinnovata l’escussione dei testimoni nonostante la sostituzione di un membro del collegio giudicante, sottolineando come i verbali delle deposizioni in precedenza raccolte fossero a disposizione del nuovo componente del collegio, e l’imputato non avesse chiarito quali elementi nuovi e pertinenti la rinnovazione avrebbe potuto apportare (Corte EDU, sentenza 10 febbraio 2005, Graviano contro Italia, paragrafi 39-40; in senso analogo, decisione 9 luglio 2002, P. K. c. Finlandia).

Resta, dunque, aperta per il legislatore la possibilità di introdurre ragionevoli eccezioni al principio dell’identità tra giudice avanti al quale è assunta la prova e giudice che decide, in funzione dell’esigenza, costituzionalmente rilevante, di salvaguardare l’efficienza dell’amministrazione della giustizia penale, in presenza di meccanismi “compensativi” funzionali all’altrettanto essenziale obiettivo della correttezza della decisione – come, ad esempio, la videoregistrazione delle prove dichiarative, quanto meno nei dibattimenti più articolati –, e ferma restando la possibilità (già oggi implicitamente riconosciuta dall’art. 507 cod. proc. pen.: ex plurimis, Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenza 18 settembre 1997, n. 10015) per il giudice di disporre, su istanza di parte o d’ufficio, la riconvocazione del testimone avanti a sé per la richiesta di ulteriori chiarimenti o l’indicazione di nuovi temi di prova, ai sensi dell’art. 506 cod. proc. pen.“.

La Corte di cassazione (Sezioni unite penali, sentenza n. 41736/2019, udienza del 30 maggio 2019, Bajrami)

Alle Sezioni unite era chiesto di pronunciarsi su due quesiti:

se il principio d’immutabilità di cui all’art. 525, comma 2, cod. proc. pen. richieda la corrispondenza, rispetto al giudice che abbia proceduto alla deliberazione finale, del solo giudice dinanzi al quale la prova sia stata assunta, ovvero anche del giudice che abbia disposto l’ammissione della prova stessa“;

se, ai fini di ritenere la sussistenza del consenso delle parti alla lettura degli atti assunti dal collegio che sia poi mutato nella sua composizione, sia sufficiente la mancata opposizione delle stesse, ovvero sia invece necessario verificare la presenza di ulteriori circostanze che la rendano univoca“.

Hanno risposto formulando tre principi di diritto:

«il principio d’immutabilità del giudice, previsto dall’art. 525, comma 2, prima parte, cod. proc. pen., impone che il giudice che provvede alla deliberazione della sentenza sia non solo lo stesso giudice davanti al quale la prova è assunta, ma anche quello che ha disposto l’ammissione della prova, fermo restando che i provvedimenti sull’ammissione della prova emessi dal giudice diversamente composto devono intendersi confermati, se non espressamente modificati o revocati»;

«l’avvenuto mutamento della composizione del giudice attribuisce alle parti il diritto di chiedere, ai sensi degli artt. 468 e 493 cod. proc. pen., sia prove nuove sia la rinnovazione di quelle assunte dal giudice diversamente composto, in quest’ultimo caso indicando specificamente le ragioni che impongano tale rinnovazione, ferma restando la valutazione del giudice, ai sensi degli artt. 190 e 495 cod. proc. pen., anche sulla non manifesta superfluità della rinnovazione stessa»;

«il consenso delle parti alla lettura ex art. 511, comma 2, cod. proc. pen. degli atti assunti dal collegio in diversa composizione, a seguito della rinnovazione del dibattimento, non è necessario con riguardo agli esami testimoniali la cui ripetizione non abbia avuto luogo perché non chiesta, non ammessa o non più possibile».

Di nuovo il legislatore (riforma Cartabia)

…Legge delega n. 134/2021, art. 1, n. 11, lettera d): dà mandato al Governo di: «prevedere che, nell’ipotesi di mutamento del giudice o di uno o più componenti del collegio, il giudice disponga, a richiesta di parte, la riassunzione della prova dichiarativa già assunta; stabilire che, quando la prova dichiarativa è stata verbalizzata tramite videoregistrazione, nel dibattimento svolto innanzi al giudice diverso o al collegio diversamente composto, nel contraddittorio con la persona nei cui confronti le dichiarazioni medesime saranno utilizzate, il giudice disponga la riassunzione della prova solo quando lo ritenga necessario sulla base di specifiche esigenze».

…decreto legislativo n. 150/2022, art. 30, comma 1, lettera f): ha introdotto il comma 4-ter nell’art. 495 cod. proc. pen. laddove è disposto che «Se il giudice muta nel corso del dibattimento, la parte che vi ha interesse ha diritto di ottenere l’esame delle persone che hanno già reso dichiarazioni nel medesimo dibattimento nel contraddittorio con la persona nei cui confronti le dichiarazioni medesime saranno utilizzate, salvo che il precedente esame sia stato documentato integralmente mediante mezzi di riproduzione audiovisiva. In ogni caso, la rinnovazione dell’esame può essere disposta quando il giudice la ritenga necessaria sulla base di specifiche esigenze».

decreto legislativo n. 150/2022, art. 93-bis (come modificato dal decreto-legge n. 162/2022, art. 5-decies: «La disposizione di cui all’art. 495, comma 4-ter, del codice di procedura penale, come introdotta dal presente decreto, non si applica quando è chiesta la rinnovazione dell’esame di una persona che ha reso le precedenti dichiarazioni in data anteriore al 1° gennaio 2023».

I principi nascono e muoiono

…L’immediatezza e il suo significato

Secondo Irene Scordamaglia, Tre anni dopo la sentenza Bajrami: l’immutabilità del giudice nella riforma Cartabia, in Giurisprudenza Penale, 10 marzo 2023, consultabile a questo link), “nella logica del modello accusatorio, il momento valutativo della prova è inscindibilmente ancorato a quello della sua formazione dibattimentale, è evidente che è proprio la sua partecipazione all’’esame incrociato delle fonti dichiarative che consente al giudice di effettuare una valutazione “di prima mano” della loro credibilità e dell’attendibilità delle dichiarazioni. Se il giudice non assume direttamente la prova dichiarativa in dibattimento non può avere la percezione dell’individuo dichiarante nella sua totalità, finendo con il rinunciare agli imprescindibili contenuti extra-verbali della deposizione, quali le esitazioni, i ripensamenti, le contraddizioni, le reazioni alle domande: in effetti, egli, prima ancora di valutare il contenuto delle dichiarazioni (attendibilità intrinseca oggettiva), è chiamato ad apprezzare l’attendibilità intrinseca soggettiva del teste anche attraverso l’osservazione diretta del comportamento da questi tenuto nel corso dell’escussione” .

…Il realismo rinunciatario e ribassista della Corte costituzionale

Nei periodi che compongono l’ossatura centrale della sentenza 134/2029 il relatore indugia, curiosamente, non sull’importanza del principio di immediatezza quanto piuttosto sulla sua insostenibilità.

Sottolinea che può funzionare solo in un dibattimento fortemente concentrato per poi, subito dopo, mettere in primo piano “una realtà assai lontana dal modello ideale immaginato dal legislatore” e quindi sferrare il colpo mortale: “In una simile situazione, il principio di immediatezza rischia di divenire un mero simulacro: anche se il giudice che decide resta il medesimo, il suo convincimento al momento della decisione finirà – in pratica – per fondarsi prevalentemente sulla lettura delle trascrizioni delle dichiarazioni rese in udienza, delle quali egli conserverà al più un pallido ricordo“.

Come non bastasse, introduce considerazioni marcatamente efficientistiche, evocando i danni che un simile feticcio infligge alla ragionevole durata del processo e all’efficiente amministrazione della giustizia.

Ancora un argomentare singolare: un principio essenziale nell’economia del giusto processo viene di fatto accantonato a favore di altri (la ragionevole durata e l’efficiente amministrazione) con i quali dovrebbe convivere. Basti qui dire, a tacer d’altro, che solo dieci anni prima, con la sentenza n. 317/2009, la stessa Consulta aveva negato che il diritto a difendersi del contumace cosiddetto “inconsapevole”, dovesse essere bilanciato con il principio della ragionevole durata del processo, trattandosi di un diritto e di un principio che “non possono entrare in comparazione, ai fini del bilanciamento, indipendentemente dalla completezza del sistema delle garanzie“, sul presupposto che un processo che non assicura le garanzie essenziali all’accusato non è conforme all’idealtipo costituzionale, qualunque sia la sua durata.

Infine, i suggerimenti al legislatore: favorire la concentrazione dei dibattimenti e prevedere ragionevoli deroghe alla regola dell’immutabilità del giudice.

Quanto al primo rimedio, rimasto peraltro inesplicato nella sua concreta attuabilità, esso appare prima facie irrealizzabile con i numeri monstre della nostra giustizia penale.

Il secondo è doppiamente censurabile, fondato com’è sul pregiudizio che le richieste di rinnovazione della prova siano o possano essere sintomo di condotte strumentali e dilatorie – in altre parole di abuso del processo – e sulla concessione al giudice di un potere discrezionale – sarebbe questa la ragionevole deroga – che può facilmente sconfinare nell’arbitrio (rinnovare solo la deposizione dei testimoni che il giudice ritenga importante).

E poi la trovata finale: la videoregistrazione delle prove dichiarative come barriera alla loro riassunzione, come se guardare un video fosse la stessa cosa che partecipare in presa diretta all’assunzione di una prova dichiarativa e concorrere alla sua formazione.

…Le Sezioni unite penali a braccetto della Consulta

La sentenza Bajrami è stata decisa il giorno dopo del deposito della sentenza n. 134/2019 e pubblicata il 10 ottobre dello stesso anno.

È degno di nota che l’appello rivolto dalla Corte costituzionale al legislatore perché si ingegnasse a individuare soluzioni “ragionevoli” sia stato nel frattempo raccolto dalle Sezioni unite.

Il collegio nomofilattico, senza essere stato sollecitato in tal senso dall’ordinanza di rimessione, ha destinato infatti a tale scopo il secondo principio di diritto, quello in cui, dopo essersi compiaciuto di riconoscere alle parti, a mutamento avvenuto, il diritto di chiedere sia prove nuove sia la rinnovazione di quelle assunte in precedenza, si è affrettato a precisare che tale seconda richiesta deve essere sostenuta dalla specificazione delle sue ragioni, “ferma restando la valutazione del giudice […] anche sulla non manifesta superfluità della rinnovazione stessa“.

Il che è come dire che chiedere è possibile, rispondere è cortesia.

…La tiepida riforma Cartabia

Come si è visto, il meccanismo introdotto dalla riforma per il caso di mutamento del giudice ruota attorno a tre perni: nessuna riassunzione della prova dichiarativa in assenza di una richiesta di parte; idem se la prova dichiarativa sia stata documentata mediante videoregistrazione; sempre possibile la riassunzione se il giudice ravvisi specifici motivi per disporla.

Anche a mettere da parte le regole intertemporali – che pure meriterebbero una riflessione – ciò che rimane è la marginalizzazione delle richieste di rinnovazione delle parti che si tramuterà in annichilimento quando la videoregistrazione diverrà di applicazione universale e, ancora una volta, l’attribuzione al giudice di un potere discrezionale i cui presupposti sono di sconcertante vaghezza: necessità e specifiche esigenze.

È facile prevedere, dati gli attuali trend giurisprudenziali di legittimità e il crescente diaframma posto dalla Cassazione tra se stessa e il cuore del giudizio, che il modo di esercizio di quel potere – che sia esercitato in favore della riassunzione o per escluderla – sarà pressoché sempre giustificato sul presupposto che le scelte decisorie di merito sono sindacabili solo a fronte di una manifesta illogicità.

Conclusione

Non trovo miglior modo di finire che citare il titolo di due scritti: L’età dei diritti di Norberto Bobbio e Il diritto di avere diritti di Stefano Rodotà.

Due tra i più grandi intellettuali del nostro tempo hanno attribuito ai diritti essenziali dell’uomo una centralità identitaria e irrinunciabile ma, a quanto pare, avevano entrambi torto.