Affidamento in prova al servizio sociale: legittima la sua esecuzione in uno Stato UE ma con l’obbligo per il condannato di eleggere un domicilio in Italia e di collaborare con l’UEPE (di Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 1^, sentenza n. 17496/2024, udienza del 29 marzo 2024, ha ricordato che, a seguito dell’entrata in vigore del d. lgs. 15 febbraio 2016, n. 38, è consentita l’ammissione all’affidamento in prova al servizio sociale la cui esecuzione debba svolgersi in uno Stato estero membro dell’Unione europea dove il condannato abbia residenza legale e abituale (Sez. 1, n. 20977 del 15/06/2020, Rv. 279338).

Tale misura, infatti, comportando la cessazione dello stato detentivo rientra nell’ambito di applicazione della decisione quadro 2008/947/GAI del 23 ottobre 2019 sul reciproco riconoscimento delle decisioni sulle “misure alternative alla detenzione cautelare” (per l’inapplicabilità della medesima decisione quadro alla detenzione domiciliare cfr. Sez. 1, n. 20771 del 04/03/2022, Rv. 283366 la quale ha espressamente evidenziato che la misura alternativa della detenzione domiciliare non può essere eseguita in altro Stato, membro dell’Unione Europea, in cui il condannato ha la residenza, poiché, non facendo cessare lo stato detentivo di quest’ultimo, non rientra nell’ambito di applicazione della decisione quadro 2008/947/GAI del 23 ottobre 2019 e non è pertanto compresa tra le ipotesi di cui al D.Lgs. 15 febbraio 2016, n. 36, art. 4, lett. c, di attuazione della citata decisione quadro).

È stato così superato, rispetto all’esecutato residente in altro Stato membro dell’Unione europea e che ivi intenda svolgere l’affidamento in prova, il principio per cui è “inammissibile per manifesta infondatezza la richiesta di affidamento in prova al servizio sociale di persona dichiaratamente residente all’estero e privo di stabili rapporti con il territorio nazionale, poiché la misura in questione presuppone accertamenti preventivi da parte dei servizi territoriali sulle prospettive di rieducazione del condannato e di garanzie dal pericolo di recidiva, nonché successivi continui controlli” (Sez. 1, n. 18225 del 25/03/2014).

Se non vi è dubbio che, nella sua fase esecutiva, la misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale possa svolgersi in altro Stato membro dell’Unione, ciò nondimeno permangono i requisiti previsti a pena di inammissibilità per accedere alla misura alternativa, sanciti dall’ordinamento interno e tra questi l’obbligo per il condannato libero di eleggere domicilio sul territorio nazionale, exart. 677, comma 2-bis, cod. proc. pen., nonché di prestare la doverosa collaborazione con gli uffici di esecuzione penale esterna investiti degli accertamenti istruttori.

Nell’ordinanza impugnata il tribunale di sorveglianza non esclude che la misura alternativa di per sé possa essere eseguita all’estero ma rigetta la richiesta di esecuzione della misura dell’affidamento in prova per la mancata collaborazione dell’interessato nella raccolta delle necessarie informazioni socio-familiare, per quanto detto necessaria.

Tuttavia, la mancata collaborazione viene desunta dal solo radicamento del soggetto all’estero, senza che risulti che l’UEPE abbia condotto un tentativo di notifica presso il domicilio eletto in Italia, o che abbia altrimenti tentato di contattare l’interessato, e quindi di instaurare con lui quel rapporto diretto che è certamente indispensabile ai fini della predisposizione dei contenuti prescrittivi e della stessa eseguibilità all’estero della misura.

La conclusione alla quale è pervenuto il tribunale, pertanto, si traduce nella negazione della possibilità di svolgere l’affidamento in prova in altro Stato, salvo che il soggetto istante non faccia rientro in Italia nel tempo della indagine dell’UEPE.

La conclusione finisce per porsi in contrasto con la giurisprudenza di legittimità, recuperando le ragioni del pregresso orientamento, nonché con la esigenza, di non minare i rapporti socio-familiari del richiedente, che giustifica, in un’ottica rieducativa, l’esecuzione all’estero delle misure cautelari non detentive.

Il tribunale di sorveglianza, pertanto, dovrà richiedere all’UEPE un nuovo ed effettivo approfondimento istruttorio, da condurre avendo riguardo al domicilio specificamente dichiarato in Italia.