Saranno fumosi: i ricorsi inammissibili per eccessiva prolissità e verbosità (di Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 7^, ordinanza n. 18331/2024, udienza del 24 aprile 2024, ha ribadito che è inammissibile, perché generico, il ricorso per cassazione articolato in un numero abnorme di censure concernenti gli stessi capi d’imputazione e i medesimi punti e questioni della decisione.

Ciò perché tale eccessiva prolissità e verbosità rende confusa l’esposizione delle doglianze e difficoltosa l’individuazione delle questioni sottoposte al vaglio dell’organo della impugnazione (Sez. 6, n. 10539 del 10/02/2017, Rv. 269379).

A conclusioni analoghe è pervenuta Cassazione penale, Sez. 2^, sentenza n. 3126/2024, udienza del 29 novembre 2023, che ha dichiarato inammissibile un ricorso a causa dell’inidoneità del suo contenuto a rappresentare comprensibilmente i vizi denunciati.

Il collegio di legittimità ha osservato a tal fine che l’impugnazione in esame, in quanto sviluppata in complessive 515 pagine di ricorso, articolato in venti motivi che alternano parti espositive di doglianza con atti del giudizio di merito, parziali ripetizioni pedisseque dei motivi di appello ed allegati documentali, è poco rispondente alla tipologia di un rituale ricorso per cassazione “secondo il paradigma del codice di rito ed il pertinente modulo procedurale, funzionale al più efficace disimpegno del controllo di legittimità devoluto alla Cassazione, nel pieno rispetto delle precipue finalità istituzionali del relativo sindacato” (sez. 5, n. 32143 del 03/04/2013, v. anche, Sez. F, n. 40256 del 23/08/2016, n.m.).

A queste prime caratteristiche si aggiunge l’articolazione di dieci motivi aggiunti, con medesime caratteristiche, mediante deposito, frazionato nel tempo, di memorie difensive ed ulteriori allegati.

In una fattispecie simile, la Suprema Corte ha già osservato che “non è, ovviamente, questione di consistenza materiale del ricorso, quanto piuttosto dell’ineludibile esigenza di un ordinato inquadramento delle ragioni di censura nella griglia dei vizi di legittimità deducibili a mente dell’art. 606 cod. proc. pen., attraverso l’individuazione, quanto più sintetica possibile, delle specifiche ragioni di censura che ne abilitino la proposizione. E se questa è la funzione essenziale di un’ordinata impugnativa, è evidente che con il relativo schema concettuale non è compatibile un’esposizione prolissa, magmatica e caotica, che fuoriesca dai canoni di una ragionata censura del percorso motivazionale della sentenza impugnata e che riversi nel processo una quantità enorme di informazioni ed argomentazioni spesso ripetitive, ridondanti (…). Un’impugnazione così concepita e strutturata, proprio perché rende assai arduo il controllo di legittimità, al di là del nominalistico richiamo all’art. 606, si candida già di per sé all’inammissibilità, proprio per genericità di formulazione, laddove per genericità deve intendersi non solo aspecificità delle doglianze, ma anche tenore confuso e scarsamente perspicuo, che renda particolarmente disagevole la lettura” (sez. 5, n. 32143 del 2013, cit., in motivazione).

E più di recente, la stessa Corte ha ribadito che è inammissibile il ricorso per cassazione che si sviluppi mediante un’esposizione disordinata, generica, prolissa e caotica, che fuoriesca dai canoni di una ragionata censura del percorso motivazionale della sentenza impugnata senza consentire un ordinato inquadramento delle ragioni di doglianza nella griglia dei vizi di legittimità deducibili ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen. (sez. 2, n. 29607 del 14/05/2019, Rv. 276748).

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