Chiunque frequenti il mondo dei social si imbatte prima o poi in una delle tante bufale che vi attecchiscono con facilità allarmante.
La rivista Wired ha compilato un elenco di quelle più assurde (lo si può consultare a questo link).
Ne cito qualcuna:
- l”astronauta Samantha Cristoforetti non esiste;
- il Covid-19 è stato scatenato dalla parte ricca della popolazione;
- la performer Marina Abramovic avrebbe cambiato sesso ma prima di farlo avrebbe concepito Lady Gaga di cui è quindi il padre;
- Carlo d’Inghilterra è un vampiro;
- i servizi sociali svedesi hanno l’abitudine di rapire bambini appartenenti a famiglie di fede musulmana per poi affidarli a famiglie cristiane che li costringerebbero a mangiare carne di maiale e bere alcolici.
Accanto a queste bufale, che si potrebbero definire non ideologiche, dovrebbero essere poste quelle ideologiche che si configurano come movimenti fondati su teorie insostenibili poiché smentite da evidenze scientifiche o fondate su elementi insignificanti ma di fatto sostenute e appoggiate da fedeli seguaci.
Tra queste è compreso il “suprematismo bianco”, fondato sulla convinzione che gli uomini bianchi siano superiori a qualsiasi altro gruppo umano e sulla conseguente necessità di attribuire agli stessi bianchi il potere necessario per governare il mondo e di emarginare e “tenere sotto” le cerchie inferiori.
Conosciamo tutti gli effetti scellerati di queste teorie ogni qualvolta si sono tradotte in reali programmi politici ed esperienze di governo.
Come qualsiasi altra bufala, il suprematismo bianco nasce da odio, fanatismo e ignoranza e, ciò che è peggio, li genera a sua volta dando vita a catene difficili da arrestare.
Si propone adesso una storia, inventata di sana pianta, per dare l’idea dei danni che situazioni simili possono creare in menti ancora in formazione.
Tre sono le voci che la animano: Silvia, una professoressa di italiano; Francesco, uno studente, figlio di genitori entrambi avvocati, intenzionato a iscriversi a giurisprudenza, talvolta bullizzato dai compagni per la sua eccentricità; la classe, l’insieme dei compagni di Francesco.
Silvia rappresenta la razionalità, Francesco rappresenta il caos dell’età evolutiva e l’influenza degli stimoli familiari; la classe rappresenta la folla e i suoi umori profondi.
Il luogo è una stanza di un istituto scolastico di istruzione superiore, sito nelle periferie di una grande città.
Il presupposto è un ciclo di discussioni programmato da Silvia per rendere consapevoli i suoi studenti della necessità del pensiero critico, l’occasione è una discussione sul suprematismo.
Ecco cosa ne viene fuori.
Silvia: buongiorno, ragazzi. Oggi discuteremo del suprematismo bianco. Abbiamo già messo a fuoco le sue aberranti fondamenta ideologiche, le sue manifestazioni storiche, l’influenza che ancora esercita. Adesso tocca a voi e vorrei che chi interviene offra una sua personale definizione del suprematismo e una sua attuale manifestazione. Chi vuole iniziare?
Francesco: posso, professoressa?
Classe: risatine.
Silvia: ma certo che puoi, Francesco. Ti ascoltiamo con piacere.
Classe: continuano le risatine. E come no, ce stiamo a sganascià per quanto ce piace.
Francesco: ho pensato molto al suprematismo e credo di averlo capito; è quando qualcuno si sente migliore di qualcun altro a prescindere.
Classe: anfatti, a te certo non te capita mai.
Silvia: è una buona definizione, Francesco, coglie la radice del problema ma con una precisazione: il suprematismo è una relazione tra gruppi prima che tra singoli individui.
Classe: che ve dicevo, raga, sta sempre a dì cazzate.
Silvia: e dicci, Francesco, hai pensato a qualche esempio attuale di suprematismo?
Francesco: sì, professoressa, ma non mi veniva niente in testa e così mi sono confrontato con i miei genitori.
Silvia: va bene così, Francesco, il confronto è il sale della terra.
Classe: nun se po’ sentì sta cosa: alla sua età sta ancora appresso ai suoi.
Francesco: ho chiesto prima a mio padre e mi ha detto che devo per prima cosa valorizzare la parola; gli ho chiesto cosa voleva dire e mi ha risposto che se voglio capire il suprematismo devo partire dalla radice della parola.
Silvia: mi sembra un punto di vista interessante, continua.
Classe: Avoglia se è interessante, me stanno a cascà le …
Francesco: secondo mio padre la chiave sta in suprema e mi ha detto che lui ce l’aveva una storia vera; sai, Francesco, ha detto, io spesso vado negli uffici di una Suprema; non mi piace ma mi tocca farlo per lavoro; lì trovo uomini vestiti di nero che devono dare risposte a chi gli fa domande; nero è il loro abito e spesso nere sono le loro risposte; per me, ha continuato mio padre, quella parola, Suprema, è la spiegazione di tutto quel nero; perché se fai parte della Suprema presto o tardi pensi di essere supremo anche tu e, una volta che ti senti supremo, ci vuole un attimo per diventare suprematista, sentirti sempre meglio degli altri, soprattutto di quegli altri che bussano alla tua porta per fare ognuno la sua domanda. Io, professoressa, non so ancora bene cos’è quella Suprema, chi sono gli uomini in nero e cosa fanno; però mio padre era proprio convinto di quello che diceva; e io adesso lo racconto a tutti voi perché mi pare giusto.
Silvia: le storie degli uomini prendono spesso strade inaspettate, Francesco, quella che ti ha raccontato tuo padre vale come tutte le altre. Grazie, puoi sederti.
Classe: boh, me sembra una storia de paura, de terore. Uomini neri che stanno lì a spaventà la ggente, ma veramente ce stanno? Secondo me, er padre de Francesco se l’è inventata sta storia.
