Cassazione penale, Sez. 6^, sentenza n. 16667/2024, udienza del 13 marzo 2024, ha risolto plurime questioni giuridiche poste attorno all’utilizzabilità di intercettazioni di comunicazioni acquisite all’estero tramite ordine europeo di indagine.
Vicenda giudiziaria
Il tribunale di xxx, sezione per il riesame, ha confermato il provvedimento emesso in data 13 marzo 2023 dal GIP del medesimo tribunale, applicativo della misura della custodia in carcere nei confronti di DO (ed altri), limitatamente ai capi relativi ai delitti di associazione a delinquere finalizzata all’importazione di carichi ingenti di cocaina dal Sudamerica, nonché per il reato di importazione di un carico di 620 kg di cocaina proveniente dalla Colombia e trasportata via mare fino al porto di xxx dalla nave xxx partita dal porto di Cristobal (Panama), occultata in un container all’interno di 19 borsoni e giunta a destinazione in data 9 dicembre 2020.
Il tribunale ha ritenuto che gli elementi acquisiti consentano di ritenere sussistente un quadro indiziario qualificato a supporto delle ipotesi di reato contestate.
Il quadro indiziario è costituito dalle risultanze di intercettazioni di comunicazioni intercorse tramite il sistema criptato “SKY ECC”, acquisite dal PM italiano mediante l’emissione di ordini europei di indagine (di seguito OEI) – essenziale per delineare il ruolo e le attività svolte dall’odierno ricorrente – ritenute utilizzabili a norma dell’art. 234-bis cod. proc. pen., in quanto riguardante il contenuto di comunicazioni non in corso ma effettuate in precedenza, memorizzate come messaggi cifrati in un server di “SKYECC” sito in Francia, ma rese poi intellegibili (e così utilizzate come contenuto di meri documenti informatici) dopo aver acquisito le “chiavi di cifratura” ovvero gli algoritmi che ne aveva permesso la decifrazione.
Quindi, non già di intercettazioni disposte su iniziativa dell’autorità giudiziaria italiana, ma già svolte ed autorizzate dall’A.G. francese nell’ambito di procedimenti penali ivi pendenti. Ne è riprova il fatto che gli OEI risultano emessi in data successiva al mese di marzo 2021, ovvero nel luglio 2021, quando gli indagati dopo aver avuto notizia della intrusione nella piattaforma SKY ECC da parte degli organi inquirenti ne avevano già dismesso l’utilizzo.
Ricorso per cassazione
Avvertenza preliminare: si darà conto, di seguito, di alcuni soltanto dei motivi di ricorso, selezionati tra tutti per l’interesse delle questioni giuridiche sottostanti.
…Primo motivo
Il difensore del ricorrente deduce violazione del divieto di doppia giurisdizione e solleva questioni pregiudiziali europee ex art. 267 del Trattato per il funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). Censura la violazione degli artt. 4 e ss. del d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 29 di attuazione della Decisione Quadro 2009/948/GAI.
Adduce il ricorrente che per gli stessi fatti per cui si procede è in corso di celebrazione un processo penale dinanzi al giudice belga, essendo state messe due diverse misure cautelari in Belgio nel procedimento di cui quello italiano sarebbe un doppione.
Si tratta di fatti connessi che hanno generato due procedimenti penali paralleli, e rispetto al procedimento belga la decisione di non opporre il rifiuto alla richiesta di consegna di DO all’Italia operata attraverso un mandato di arresto europeo (di seguito MAE) sarebbe viziata perché in contrasto con il divieto di un secondo procedimento sul medesimo fatto. Da qui la violazione dell’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea che stabilisce il divieto di un secondo giudizio sul medesimo fatto e della normativa introdotta dal cit. d.lgs. 29/2016 che ha recepito la predetta Decisione Quadro 948/09/GAI per prevenire e risolvere i conflitti di competenza tra le autorità giudiziarie degli Stati europei. In breve, si osserva che i reati per i quali si procede in Belgio hanno la stessa matrice del reato per il quale si procede in Italia, essendo reati che inseriscono nel medesimo contesto associativo ed essendo il medesimo compendio probatorio costituito dalle intercettazioni svolte nel procedimento belga.
…Secondo motivo
Il difensore eccepisce la illegittimità costituzionale ex art. 267 TFUE per violazione dell’art. 50 CEDU della richiesta di consegna avanzata dall’autorità giudiziaria italiana. Si censura la decisione adotta dall’A.G. belga che non ha opposto rifiuto alla consegna in esecuzione del mandato di arresto europeo italiano sebbene in Belgio fosse già pendente un processo penale per la stessa vicenda, peraltro, in una fase più avanzata rispetto al procedimento italiano.
Si solleva questione pregiudiziale europea ex art. 267 TFUE per chiedere alla Corte di Giustizia se un cittadino europeo possa essere perseguito in due Stati membri per la medesima fattispecie laddove lo Stato richiedente sia in fase di indagini e lo Stato richiesto abbia già intrapreso il processo penale.
…Terzo motivo
Con il terzo motivo deduce violazione dell’art. 335 cod. proc. pen. in relazione alla rilevata tardività della iscrizione del ricorrente alla data del marzo/settembre 2022 rispetto ad una indagine belga coordinata con quella italiana che aveva avuto inizio già dal giugno 2019.
Sebbene la fattispecie associativa si collochi temporalmente dal gennaio 2020 al gennaio 2022 e trae fondamento da indagini iniziate in Belgio già nel 2018, ne deriva la tardività dell’iscrizione di DO solo nel 2022 e la conseguente illegittimità delle indagini svolte a suo carico senza una previa formale iscrizione.
Il ricorrente si dilunga, poi, ad illustrare la nuova disciplina introdotta dalla riforma Cartabia sul diritto di verifica della correttezza della data di iscrizione e sui meccanismi processuali introdotti per garantire il sollecito esercizio dell’azione penale da parte del PM, per desumerne la illegittimità costituzionale di una interpretazione della normativa vigente nel senso di ritenere utilizzabili gli atti di indagine compiuti in difetto di iscrizione dell’indagato, perché in contrasto con gli art. 3, 111, 117 della Costituzione e con l’art. 6 CEDU sul giusto processo.
…Settimo, ottavo, nono e decimo motivo
Il difensore deduce violazione degli artt. 191, 291, 292, 294 e 178 cod. proc. pen. in relazione agli artt. 24, 27 e 111 Cost. e 6 e 113 CEDU per omessa motivazione del provvedimento impugnato in riferimento al tema dell’utilizzabilità delle comunicazioni intercorse tramite il sistema di messaggistica “SKY ECC” acquisite a mezzo di OEI.
In particolare, si censura l’omessa motivazione sulle modalità con cui sono state acquisite dette risultanze al fine di verificare il necessario rispetto dei principi fondamentali del nostro ordinamento, per la necessità di garantire il contraddittorio sulle modalità di acquisizione dei dati informatici custoditi nel server straniero e di consentire il controllo sulla natura dell’attività investigativa svolta all’estero. Si cita la giurisprudenza europea in tema di conservazione dei dati esterni di comunicazione (c.d. tabulati), che sono ora soggetti ad una disciplina più rigorosa che ne consente l’acquisizione solo con autorizzazione del giudice. Si obietta che dalla mancata acquisizione dei dati relativi alle modalità con cui è stato operato l’accesso al sistema crittografato con la creazione di un server parallelo sul quale sono confluiti i dati delle intercettazioni grazie al malware introdotto nel sistema informatico, ne è derivata per la difesa la impossibilità di verificare se questo trasferimento abbia riguardato l’intera quantità dei dati. Inoltre, tale modalità di creazione di un server parallelo sarebbe in contrasto con i principi del nostro ordinamento processuale in cui tale modalità operativa non sarebbe consentita per violazione del principio di proporzione. Si censurano, poi, l’omessa ostensione della chiave di decrittazione, le modalità illecite di acquisizione dei dati presso il server che li avrebbe custoditi illecitamente, l’assimilazione ai documenti informatici acquisibili ex art. 234-bis cod. proc. pen. delle corrispondenze telefoniche di messaggistica che la Corte costituzionale ha recentemente incluso nella nozione di corrispondenza, la mancata comunicazione del procedimento tecnico con cui sono stati estratti i dati contenuti nei supporti informatici.
Decisione della Corte di cassazione
…Litispendenza internazionale
I primi due motivi che investono la questione della rilevanza della litispendenza internazionale come causa di improcedibilità dell’azione penale possono essere trattati congiuntamente.
La Decisione Quadro 2009/948/GAI del 30 novembre 2009 sulla prevenzione e la risoluzione dei conflitti relativi all’esercizio della giurisdizione nei procedimenti penali non attribuisce alcun diritto di interlocuzione alla difesa degli imputati, essendo la finalità di detta normativa non quella di attribuire diritti azionabili in sede processuale rispetto all’esercizio della giurisdizione da parte degli Stati membri, ma solo di favorire degli accordi volti ad evitare le conseguenze negative derivanti da procedimenti penali paralleli ed evitare perdite di tempo e risorse delle autorità competenti interessate, oltre che a prevenire la violazione del principio «ne bis in idem».
Al considerando sub paragrafo 11 della direttiva in esame è, infatti, fatto salvo il principio secondo cui “Nessuno Stato membro dovrebbe essere obbligato a rinunciare o a esercitare la competenza giurisdizionale contro la sua volontà. Finché non sia raggiunto un consenso sulla concentrazione dei procedimenti penali, le autorità competenti degli Stati membri dovrebbero poter proseguire un procedimento penale per qualsiasi reato che rientri nella loro giurisdizione nazionale“.
È evidente che il previsto obbligo di consultazioni tra le competenti autorità degli Stati membri interessati non è accompagnato dalla previsione di sanzioni processuali che possano incidere sulla procedibilità dell’azione penale, proprio perché è previsto solo un obbligo di consultazione che opera nei rapporti tra gli Stati membri, ma nella piena autonomia della rivendicazione della giurisdizione nazionale. Ed, infatti, l’art. 11 del d.lgs. 5 febbraio 2016, n. 29, recante le disposizioni di attuazione della decisione quadro 2009/948/GAI del Consiglio, del 30 novembre 2009, sulla prevenzione e la risoluzione dei conflitti relativi all’esercizio della giurisdizione nei procedimenti penali, prevede degli effetti rilevanti in sede processuale, oltre che nei rapporti tra Stati, solo quando le intese abbiano avuto l’effetto di pervenire ad un accordo con il consenso degli Stati interessati, rappresentati dai competenti organi (Ministro della Giustizia e Procuratore Generale presso la Corte di appello) alla concentrazione dei procedimenti paralleli in Italia. In tal caso al comma 1 dell’art. 11 cit. è previsto che il periodo di custodia cautelare sofferto all’estero è computato ai sensi e per gli effetti degli articoli 303, comma 4, 304 e 657 del codice di procedura penale, ed al comma 2, nel caso di accordo sulla concentrazione dei procedimenti in altro Stato membro, è previsto che il giudice dichiari la sopravvenuta improcedibilità.
Le censure difensive sono, pertanto, manifestamente infondate, perché confondono il piano degli obblighi internazionali tra Stati, con quello dei diritti individuali, nella specie, il diritto dell’imputato a non subire due procedimenti paralleli in Stati diversi, che non trova alcuna tutela in tale quadro normativo.
Laddove gli Stati vengano meno agli obblighi di consultazione, nessuna sanzione processuale è stata prevista neppure dalla normativa europea richiamata, essendo prioritario l’interesse di ciascuno Stato ad esercitare la propria giurisdizione sui reati commessi anche solo in parte nel proprio territorio secondo quanto previsto nel nostro ordinamento dall’art. 6 cod. pen.
Conseguentemente nessuna lesione dei diritti di difesa può essere ravvisata nella decisione della A.G. belga di acconsentire alla consegna del ricorrente in esecuzione del mandato di arresto europeo emesso dall’A.G. italiana, anche nel caso in cui fosse in ipotesi effettivamente sussistente la rilevata identità dei fatti oggetto dei due procedimenti pendenti nei due Stati interessati.
Alle considerazioni già esposte nella ordinanza impugnata, è sufficiente aggiungere che in tema di MAE il motivo di rifiuto all’esecuzione della consegna, secondo quanto previsto dall’art. 18-bis, comma 1, lett. b), L. 22 aprile 2005, n.69, nel caso di pendenza di un procedimento penale per lo stesso fatto è solo facoltativo, proprio perché condizionato da valutazioni che afferiscono all’interesse dello Stato a non rinunciare alla propria giurisdizione, mentre è previsto come obbligatorio solo il motivo di rifiuto alla consegna nei confronti di persona che sia stata già giudicata con una sentenza definitiva ex art. 18, lett. b) della legge citata.
Pertanto, anche la dedotta violazione dell’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea che stabilisce il divieto di un secondo giudizio sul medesimo fatto è manifestamente infondata, presupponendo il giudicato europeo la definitività dell’accertamento giudiziario, che nel caso di specie è pacificamente mancante.
Ne discende la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 50 CEDU della richiesta di consegna avanzata dall’autorità giudiziaria italiana con il mandato di arresto europeo poi eseguito dall’Autorità giudiziaria belga.
Del tutto inconsistente, per le medesime ragioni, è anche la sollevata questione pregiudiziale europea ex art. 267 TFUE, volta a richiedere alla Corte di Giustizia se un cittadino europeo possa essere perseguito in due Stati membri per la medesima fattispecie laddove lo Stato richiedente sia in fase di indagini e lo Stato richiesto abbia già intrapreso il processo penale, senza neppure chiarire quale sarebbe la fonte normativa europea di dubbia interpretazione.
Va ribadito il principio consolidato della giurisprudenza di legittimità secondo cui la litispendenza dinanzi all’autorità giudiziaria straniera non fa venir meno la giurisdizione italiana, salvo il caso di pronuncia di sentenza definitiva da parte dell’Autorità estera (Sez. 2, n. 27292 del 04/06/2013, Rv. 255711).
Peraltro, non vi sono ragioni per escludere che una ripartizione di competenze tra le Autorità giudiziarie belga e italiana sia comunque avvenuta, come evidenziato dal Tribunale del riesame che dà atto che non si procede in Italia per le importazioni che sono oggetto del processo in corso in Belgio, mentre non si procede in Belgio per l’unica importazione avvenuta in Italia.
Ne discende così anche l’infondatezza del paventato pericolo di violazione del principio del ne bis in idem, essendo il procedimento italiano pendente per fatti storici diversi da quelli per cui si procede in Belgio.
Anche sotto tale profilo, il ricorrente confonde la nozione di procedimenti collegati per fatti diversi ma connessi tra loro, con quella della identità dei fatti oggetto dei separati procedimenti.
…Asserita tardività dell’iscrizione della notizia di reato
Manifestamente infondato è il terzo motivo con cui viene eccepita la violazione dell’art. 335 cod. proc. pen. in relazione alla rilevata tardività della iscrizione nel registro delle notizie di reato alla data del marzo/settembre 2022 rispetto ad una indagine belga coordinata con quella italiana che aveva avuto inizio già dal giugno 2019.
Al riguardo è sufficiente osservare che anche a volere ritenere applicabile la nuova disciplina introdotta dalla riforma Cartabia sul diritto di verifica della correttezza della data di iscrizione e sui meccanismi processuali introdotti per garantire il sollecito esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero, nessuna disposizione processuale prevede che la tardività dell’iscrizione nel registro degli indagati determini di per sé l’inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti prima dell’iscrizione stessa.
L’interpretazione sostenuta dalla difesa secondo cui gli atti di indagine compiuti prima della iscrizione dovrebbero essere ritenuti inutilizzabili non appare coerente neppure con le ragioni che hanno ispirato la riforma dell’art. 335 cod. proc. pen. con l’introduzione del nuovo art. 335-quater cod. proc. pen. che ha solo previsto una procedura di verifica della correttezza della data di iscrizione senza modificare le conseguenze che ne derivano sotto il profilo dell’inutilizzabilità dei soli atti di indagine compiuti dopo la scadenza del termine di durata delle indagini stesse ai sensi dell’art. 407, comma 3, del codice di rito.
Deve essere ricordato che la tempestiva iscrizione nel registro delle notizie di reato garantisce solo il rispetto dei termini di durata delle indagini, ma non assicura maggiori garanzie per la difesa nello svolgimento delle indagini, atteso che non incide sulle modalità e le forme di assunzione degli atti di indagine, la cui doverosa osservanza prescinde comunque da tale adempimento. A tale riguardo, considerato che non risulta essere stata avanzata la richiesta di verifica della corretta datazione dell’iscrizione, è irrilevante stabilire in questa sede se l’istituto potesse trovare applicazione in base a quanto disposto dalla disciplina transitoria (cfr. art. 88-bis del d. Igs. n. 150 del 2022, introdotto dalla legge 30 dicembre 2022 n. 199, di conversione del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, secondo cui per i procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della riforma – 30 dicembre 2022 – in relazione alle notizie di reato già iscritte a tale data ovvero iscritte successivamente ma relative a procedimenti connessi o collegati a livello investigativo per determinati reati, non trovano applicazione le nuove disposizioni in tema di indagini preliminari ed in particolare il citato art. 335-quater cod. proc. pen.). Orbene, pur essendo ora stata espressamente prevista la possibilità da parte del giudice di sindacare le scelte del PM in ordine al momento dell’iscrizione della notizia di reato nell’apposito registro e nel contraddittorio delle parti, detta verifica presuppone che la persona indagata si faccia carico di attivare il relativo procedimento presentando la richiesta di retrodatazione dell’ iscrizione nel registro degli indagati nei termini perentori previsti dal comma 3 dell’art. 335-quater cod. proc. pen. (entro venti giorni da quello in cui la persona indagata ha preso conoscenza degli atti che dimostrano la tardività dell’iscrizione), ed indicando a pena di inammissibilità le ragioni che sorreggono la richiesta di retrodatazione e gli atti del procedimento da cui è desunto il ritardo.
Non avendo il ricorrente attivato tale procedimento incidentale, neppure davanti al tribunale per il riesame, risulta manifestamente infondata l’eccezione di inutilizzabilità degli atti di indagine neppure specificati, in assenza di un provvedimento giudiziale di rettifica della data di iscrizione. La genericità delle doglianze riferite alla tardività dell’iscrizione è tale, peraltro, da non poter neppure consentire di inquadrare le relative eccezioni difensive come implicita richiesta di rettificazione della data di iscrizione, mancando qualunque riferimento ad una precisa collocazione temporale in cui avrebbero dovuto ritenersi maturati i sufficienti indizi che potessero giustificare – in modo inequivocabile come richiesto espressamente dal comma 2 dell’art. 335- quater cod. proc. pen. – l’iscrizione dell’indagato nel registro di cui all’art. 335 cod. proc. pen. prima di quando disposta dal PM in data 3 marzo 2022 e 22 settembre 2022.
…Utilizzabilità degli esiti delle intercettazioni svolte da autorità giudiziaria estera e trasmesse all’autorità giudiziaria italiana in esecuzione di un ordine europeo di indagine
Passando alla disamina dei motivi dal sesto al decimo con riguardo alle questioni afferenti all’utilizzabilità degli esiti delle intercettazioni svolte dall’Autorità giudiziaria francese e trasmesse a quella italiana in esecuzione di OEI emesso dalla Procura della Repubblica di xxx, se ne deve rilevare l’infondatezza, anche alla luce delle informazioni provvisorie nn. 3 e 4 della decisione delle Sezioni unite del 29 febbraio 2024, chiamata a pronunciarsi su analoghe questioni.
Si deve ricordare che con una prima ordinanza della Sez. 3 R.G.N. 47798/2023 del 3 novembre 2023 erano state rimesse le seguenti questioni:
a) se il trasferimento all’Autorità giudiziaria italiana, in esecuzione di ordine europeo di indagine, del contenuto di comunicazioni effettuate attraverso criptofonini e già acquisite e decrittate dall’Autorità giudiziaria estera in un proprio procedimento penale, costituisca acquisizione di documenti e di dati informatici ai sensi dell’art. 234-bis cod. proc. pen. o di documenti ex art. 234 cod. proc. pen. ovvero sia riconducibile ad altra disciplina relativa all’acquisizione di prove;
b) se il trasferimento di cui sopra debba essere oggetto di verifica giurisdizionale preventiva della sua legittimità, nello Stato di emissione dell’OEI;
c) se l’utilizzabilità degli esiti investigativi di cui al precedente punto a) sia soggetta a vaglio giurisdizionale nello Stato di emissione dell’ordine europeo di indagine.
Con l’ordinanza R.G.N. 41618/2923 del 15 gennaio 2024 della sesta sezione venivano rimessi sempre alla decisione delle Sezioni unite gli ulteriori seguenti quesiti:
a) se l’acquisizione, mediante OEI, dei risultati di intercettazioni disposte da un’autorità giudiziaria straniera, in un proprio procedimento, su una piattaforma informatica criptata e su criptofonini integri l’ipotesi disciplinata, nell’ordinamento nazionale, dall’art. 270 cod. proc. pen.;
b) se, ai fini dell’emissione dell’OEI finalizzato al suddetto trasferimento, occorra la preventiva autorizzazione del giudice;
c) se l’utilizzabilità degli esiti investigativi di cui al precedente punto a) sia soggetta a vaglio giurisdizionale nello Stato di emissione dell’OEI.
All’esito dell’udienza del 29 febbraio 2024, le Sezioni unite, con l’informazione provvisoria n. 3, hanno comunicato le seguenti soluzioni:
– primo quesito: il trasferimento di cui sopra rientra nell’acquisizione di atti di un procedimento penale che, a seconda della loro natura, trova alternativamente il suo fondamento negli artt. 78 disp. att. cod. proc. pen., 238, 270 cod. proc. pen. e, in quanto tale, rispetta l’art. 6 della Direttiva 2014/41/UE;
– secondo quesito: negativa, rientrando nei poteri del pubblico ministero quello di acquisizione di atti di altro procedimento penale;
– terzo quesito: affermativa; l’Autorità giurisdizionale dello Stato di emissione dell’ordine europeo di indagine deve verificare il rispetto dei diritti fondamentali, comprensivi del diritto di difesa e della garanzia di un equo processo.
Con l’informazione provvisoria n. 4, hanno comunicato le seguenti soluzioni, riferite alla seconda ordinanza di rimessione: primo quesito: affermativa. secondo quesito: negativa.
– emissione dell’ordine europeo di indagine deve verificare il rispetto dei diritti fondamentali, comprensivi del diritto di difesa e della garanzia di un equo processo.
Il collegio, condividendo le conclusioni cui sono pervenute le Sezioni unite, reputa che non sia necessario attendere il deposito della motivazione a fronte della insostenibilità delle eccezioni dedotte nel ricorso in disamina, avuto riguardo alla natura degli elementi di prova oggetto dell’ordine europeo di indagine in rapporto alla normativa in conseguenza applicabile.
Appare evidente, infatti, che la ragione principale che conduce all’infondatezza delle dedotte questioni di inutilizzabilità è ravvisabile nell’assoluta genericità delle censure sollevate in merito all’inosservanza dei principi fondamentali dell’ordinamento europeo e nazionale da parte dello Stato di esecuzione dell’OEI, affidato al vaglio dell’A.G. dello Stato di emissione.
La necessità di tale vaglio non è mai stata messa in discussione nella giurisprudenza di legittimità, essendo prevista proprio dalla normativa che ha dato attuazione a tale strumento di cooperazione giudiziaria.
L’art. 1 del d.lgs. 21 giugno 2017 n.108, prevede che l’attuazione nell’ordinamento interno della direttiva 2014/41/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 3 aprile 2014 deve essere improntata al rispetto dei principi dell’ordinamento costituzionale e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea in tema di diritti fondamentali, nonché in tema di diritti di libertà e di giusto processo.
Non è, infatti, revocabile in dubbio che il giudice italiano, sia tenuto a verificare ai fini dell’utilizzabilità degli atti di indagine acquisiti tramite OEI non la loro regolarità in base alle norme nazionali, essendo le attività istruttorie delegate soggette alla lex loci, ma solo il rispetto delle norme inderogabili e dei principi fondamentali dell’ordinamento, ferme restando la presunzione di legittimità dell’attività svolta e la competenza del giudice straniero in ordine alla verifica della correttezza della procedura e alla risoluzione di ogni questione relativa ad eventuali irregolarità (Sez. 6, n.44882 del 4/10/2023, Rv.285386).
Orbene, sotto il profilo del rispetto delle formalità di rito, nel caso di specie trattandosi dell’acquisizione degli esiti di attività di captazione di comunicazioni svolte sulla base delle autorizzazione emesse dalla competente A.G. francese, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente non trova applicazione l’art. 43 del cit. d.lgs. 108/2017 che riguarda il differente caso in cui le attività di intercettazione siano eseguite sulla base dell’autorizzazione del giudice nazionale, e precisamente del provvedimento autorizzatorio emesso dal giudice delle indagini preliminari in applicazione della disciplina delle intercettazioni di conversazioni/comunicazioni degli artt. 266 e 266-bis e ss. del cod. proc. pen. In base a detta disposizione, infatti, il PM che emette l’OEI deve indicare l’autorità giudiziaria che ha disposto l’intercettazione, essendo attribuito al pubblico ministero solo il potere di richiedere le intercettazioni ma non di autorizzarle, secondo le regole nel nostro ordinamento che considera necessaria la decisione del giudice terzo, per la verifica della sussistenza delle condizioni previste dalla legge cui è subordinata la legittimità della violazione della segretezza delle comunicazioni, protetta dall’art. 15 della Costituzione.
Ma neppure trova applicazione l’art. 43 del cit. d.lgs. 108/2017 che disciplina l’acquisizione tramite l’OEI dei dati esterni (c.d. tabulati) relativi al traffico telefonico o telematico nonché l’acquisizione di ogni altra informazione utile in possesso degli operatori di telecomunicazioni. Sebbene anche detta disposizione debba essere ora coordinata con la modifica dell’art. 132 d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali), che prevede che tali dati possano essere acquisiti esclusivamente con provvedimento del giudice, nel caso di specie va osservato che il contenuto dell’ordine europeo di indagine non attiene neppure all’acquisizione dei dati esterni delle comunicazioni, o comunque di altre informazioni presso operatori delle telecomunicazioni.
Non vi è dubbio che in forza della modifica legislativa dell’art. 132 cit. imposta dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 05/04/2022, C. 140/2020, sul trattamento dei dati personali e la tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni nella interpretazione degli artt. 5 e 15 della Direttiva 2002/58, non sia più consentito al PM il potere di emettere l’OEI senza una previa autorizzazione del GIP, sia che si tratti di disporre delle intercettazioni delle comunicazioni telefoniche o digitali e sia che si tratti di disporre l’acquisizione dei dati esterni di dette comunicazioni. Nel caso in esame, tuttavia, si verte in una situazione del tutto diversa, in cui deve essere riconosciuta la competenza del PM, senza la necessità di una preventiva autorizzazione da parte del giudice – conformemente alla notizia di decisione delle Sezioni unite (vedi sopra) – trattandosi dell’acquisizione degli esiti delle intercettazioni svolte in altro procedimento penale pendente davanti all’A.G. francese, e dunque trattandosi del mero trasferimento di prove già legittimamente autorizzate da un giudice terzo, sebbene diverso da quello nazionale.
A tale riguardo sia che si tratti di intercettazioni, sia che si tratti del sequestro di corrispondenza telematica operata attraverso l’acquisizione dei dati archiviati nei relativi supporti elettronici (telefoni, computer), va ribadito che non è richiesta una autorizzazione preventiva da parte del giudice nazionale, analogamente a quanto previsto dall’art. 270 cod. proc. pen. per il trasferimento delle intercettazioni in un procedimento diverso da quello in cui sono state autorizzate, ed in applicazione di quanto previsto dal codice di rito in tema di sequestro di corrispondenza ai sensi degli artt. 254 e 254-bis cod. proc. pen., che resta comunque di competenza del PM.
Deve essere rilevato che quand’anche nel nostro ordinamento dovesse essere prevista — come in quello francese, in cui per l’accesso da remoto alle corrispondenze memorizzate in dispositivi informatici è prevista la stessa disciplina dettata per le intercettazioni — la necessità di un intervento del giudice per disporre il sequestro della corrispondenza archiviata sui supporti informatici (cellulari e computer), una tale disposizione non avrebbe rilevanza nel caso di specie, trattandosi del mero trasferimento di prove comunque già autorizzate da parte di un giudice terzo nello Stato di esecuzione dell’OEI.
In ogni caso, sulla base della normativa ora vigente, per l’acquisizione della corrispondenza anche telematica è sufficiente il provvedimento di sequestro emesso dal PM, e non sono previste cause di nullità o inutilizzabilità per la inosservanza dei protocolli informatici, la cui violazione può essere soltanto valutata ai fini della attendibilità del documento, ma non per espungerlo dal processo (Sez. 6, n. 46482 del 27/09/2023, Rv. 285363).
Sarebbe, peraltro, contrario allo stessa direttiva europea 2014/41/UE che ha introdotto tale nuovo strumento di cooperazione nelle indagini, richiedere un doppio controllo giudiziario in merito alla sussistenza dei presupposti da cui discende la legittimità della intrusione nella sfera inviolabile delle comunicazioni private (id est, doppia valutazione dei gravi indizi dei reati e della indispensabilità di detto mezzo di ricerca delle prove), in quanto in palese contraddizione con la finalità stessa della creazione di uno spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia nell’Unione che si fonda sulla fiducia reciproca e su una presunzione di conformità, da parte di tutti gli Stati membri, al diritto dell’Unione e, in particolare, ai diritti fondamentali.
Peraltro, la necessità di un doppio controllo giurisdizionale nella fase dell’autorizzazione delle operazioni di intercettazioni è prevista dall’art. 13 del d.lgs. n. 108/2017 da parte del GIP nel solo caso in cui si tratti di intercettazioni disposte dal giudice dello Stato richiedente, ed al solo ed esclusivo fine di bloccare eventuali intercettazioni che in Italia non sarebbero consentite in rapporto ai reati oggetto di investigazione (quindi, nel caso di procedura passiva di esecuzione di un OEI emesso da uno Stato estero).
Si tratta di una disciplina che riguarda le intercettazioni nella fase dinamica della loro esecuzione e non anche la materia dell’acquisizione di prove di altro procedimento (c.d. dati freddi), in cui analogamente a quanto previsto dall’art. 270 cod. proc. pen., sono previsti solo dei limiti oggettivi collegati alla gravità dei reati per cui si procede, ma non una nuova verifica della legittimità delle intercettazioni, che resta affidata al giudice del procedimento a quo.
Va ricordato che nel caso di acquisizione degli esiti dell’intercettazione di conversazioni o comunicazioni in procedimento diverso da quello nel quale siano state rilasciate le relative autorizzazioni, il controllo del giudice sulla legalità dell’ammissione e dell’esecuzione delle operazioni – di carattere meramente incidentale e, come tale, ininfluente nel procedimento “a quo” – riguarda esclusivamente la serietà e la specificità delle esigenze investigative, come individuate dal PM in relazione alla fattispecie criminosa ipotizzata, e non comporta alcuna valutazione di fondatezza, neanche sul piano indiziario, della ipotesi in questione (Sez. U, n. 45189 del 17/11/2004, Esposito, Rv. 229247).
Secondo tale consolidato orientamento, l’inutilizzabilità dei risultati di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni per violazione degli artt. 267 e 268, commi primo e terzo, cod. proc. pen., è rilevata dal giudice del procedimento diverso da quello nel quale furono autorizzate solo quando essa risulti dagli atti di tale procedimento, non essendo tenuto il giudice a ricercarne d’ufficio la prova.
Grava, infatti, sulla parte interessata a farla valere l’onere di allegare e provare il fatto dal quale dipende l’eccepita inutilizzabilità, sulla base di copia degli atti rilevanti del procedimento originario che la parte stessa ha diritto di ottenere, a tal fine, in applicazione dell’art. 116 stesso codice (In motivazione la Corte ha osservato che anche nel giudizio “a quo“, poiché l’inutilizzabilità discende dalla violazione delle norme richiamate dall’art. 271, comma primo, cod. proc. pen., e non dalla mera indisponibilità degli atti concernenti l’intercettazione e la sua legittimità, incombe alla parte l’onere di dedurne la sussistenza).
Sebbene, nel caso di specie il giudice del procedimento a quo è un’autorità giudiziaria di altro Stato membro dell’U.E., deve essere comunque la difesa a farsi carico di acquisire elementi concreti a supporto della dedotta illegittimità delle intercettazioni, non potendosi limitare a sollevare presunte violazioni dei principi fondamentali del giusto processo e dei diritti di difesa, operando in ambito europeo — come già sopra evidenziato — l’opposta presunzione.
Una diversa interpretazione avrebbe l’effetto di determinare un arretramento rispetto al principio di reciproca fiducia su cui si basa la creazione di uno spazio giuridico comune europeo, anche rispetto alla disciplina della intercettazioni effettuate all’estero tramite rogatoria internazionale, essendo sempre stato affermato che l’utilizzazione degli atti trasmessi dalle autorità giudiziarie straniere in adesione alle richieste di rogatoria non è condizionata all’accertamento, da parte del giudice italiano, della regolarità degli atti compiuti dall’autorità straniera – vigendo una presunzione di legittimità dell’attività svolta e spettando al giudice straniero la verifica della correttezza della procedura e l’eventuale risoluzione di ogni questione relativa alle irregolarità riscontrate – bensì alla compatibilità del diritto straniero, sulla base del quale l’atto sia compiuto, con i principi inderogabili dell’ordinamento interno, spettando, comunque, a colui che eccepisca il difetto di compatibilità darne la prova, tanto più ove si tratti di paese membro dell’Unione Europea (da ultimo, vedi, Sez. 4 n. 19216 del 06/11/2019, Rv. 279246).
Sotto tale profilo, deve essere rilevata l’infondatezza delle censure articolate nel ricorso, in considerazione della assoluta genericità delle doglianze formulate in merito ad una presunta incompletezza degli atti ai quali sarebbe stato consentito l’accesso alla difesa. Ai fini della verifica della legittimità delle intercettazioni disposte nel diverso procedimento penale pendente davanti all’A.G. francese è sufficiente l’allegazione dei provvedimenti di autorizzazione emessi da quella autorità, essendo consentito al giudice italiano vagliare la sussistenza dei relativi presupposti solo ai limitati fini della verifica del rispetto dei diritti fondamentali dell’ordinamento e del giusto processo. In conclusione, pur non essendo evidentemente pertinente il riferimento all’art. 234-bis cod. proc. pen. operato dal tribunale, vertendosi nel caso di specie nell’acquisizione non già di semplici documenti informatici presso chi ne ha la legittima conservazione e custodia, ma degli esiti di intercettazioni autorizzate nelle forme e nel rispetto delle garanzie previste dall’ordinamento giudiziario francese, tali elementi di prova derivati da procedimento estero restano pur sempre soggetti per la loro acquisizione in altro procedimento alle regole previste dall’art. 270 cod. proc. pen., e specificamente – per quello che qui rileva – alla regola che ne consente l’utilizzazione per i reati per i quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza.
