Tutti i caos sono uguali ma alcuni caos sono più uguali degli altri: la caotica tenuta del fascicolo informatico del PM e i suoi effetti (di Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 3^, sentenza n. 13077/2024, udienza del 20 settembre 2023, ha escluso che la scorretta tenuta del fascicolo informatico del PM implichi violazioni del diritto di difesa se comunque il difensore ha avuto la possibilità, sia pure disagevole, di visionarne il contenuto.

Vicenda giudiziaria

Con ordinanza in data 3 aprile 2023 il Tribunale del riesame di Napoli ha confermato l’ordinanza in data 23 febbraio 2023 del GIP del Tribunale di Napoli Nord che aveva applicato a MB la misura degli arresti domiciliari per il reato dell’art. 440 cod. pen., perché, come amministratore di fatto della società L.D. SRL., in concorso con altri, deteneva per il commercio e metteva in vendita alcol denaturato, risultato, in seguito alle analisi di laboratorio, non idoneo al consumo umano e pericoloso per la salute pubblica.

Ricorso per cassazione

La difesa dell’indagato ricorre per cassazione sulla base di vari motivi.

Si riporta soltanto il primo, l’unico di interesse ai fini di questo post.

Il difensore deduce la violazione di norme processuali in relazione all’art. 309 cod. proc. pen., 24 e 111 Cost., 6 CEDU, perché il fascicolo informatico era costituito da una mole di atti, confusa e moltiplicata nella sua dimensione, tale da rendere difficoltosa la difesa. Inoltre, prima dell’udienza, uno dei pacchetti informatici era scomparso mentre erano stati ulteriormente depositati otto supporti informatici e due pen drive, per cui le originali 60.000 pagine erano diventate 150.000, senza ragione né utilità processuale, ma con aggravio di studio.

Decisione della Corte di cassazione

La prima censura attiene alla lesione del diritto di difesa, a causa della trasmissione di un fascicolo informatico, pieno di atti confusi, senza indice e soprattutto ripetuti.

L’eccezione si compone di tre parti, una relativa alla trasmissione di atti indicizzati in maniera imprecisa e inefficace dal PM, l’altra relativa alla moltiplicazione dei pacchetti informatici, contenenti gli atti del GIP successivi alla richiesta e una parte degli atti del fascicolo del PM, l’altra ancora relativa alla sparizione di un pacchetto informatico e al deposito fisico di hard disk e pen drive.

La difesa lamenta che il Tribunale del riesame non ha accolto la richiesta di “trasmissione di copia degli atti in maniera ordinata, non confusa e non moltiplicata nella dimensione” e ha ricordato che la Corte costituzionale attribuisce al giudice il potere di sollecitare il PM a sistemare il fascicolo nel rispetto dell’art. 3 D.M. n. 334 del 1989.

La censura, per come formulata, è generica.

Dalla complessiva esposizione dei fatti pare possibile desumere che la moltiplicazione dei pacchetti informatici (e la sparizione di uno di questi prima dell’udienza), che non è chiaro se sia dipesa da un errore dell’operatore nell’inserimento dei dati o da un difetto di funzionamento del TIAP (Trattamento informatico di atti processuali), non abbia arrecato alcun pregiudizio alla difesa, ma solo il disagio di aprire questi pacchetti (forse a campione), per verificare la medesimezza del contenuto.

Per la stessa ragione, nessun pregiudizio si è verificato per la sparizione di uno di questi pacchetti o per il deposito di supporti informatici contenenti sempre lo stesso materiale.

Situazioni che hanno, al limite, determinato una perdita di tempo.

Diversa è la questione della trasmissione ordinata degli atti del fascicolo del PM.

La Corte costituzionale con la sentenza n. 142 del 2009 ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 416 cod. proc. pen., sollevata, con riferimento agli art. 24, secondo comma, e 111, terzo comma, della Costituzione, perché le disposizioni legislative e regolamentari, che disciplinano le modalità di formazione dei fascicoli, pur se dettate da esigenze di organizzazione razionale del lavoro in funzione dell’agevolazione dell’esercizio dei diritti spettanti alle parti, non contemplano sanzioni in caso di loro inosservanza.

Pertanto, il giudice può solo sollecitare il PM “ad effettuare la corretta sistemazione del fascicolo, nel rispetto delle prescrizioni contenute nell’art. 3 del decreto ministeriale n. 334 del 1989” nonché rinviare la causa assegnando un termine a difesa alla parte interessata, per garantire la parità delle armi.

L’invito a riordinare il fascicolo trova il suo fondamento nell’art. 124 cod. proc. pen., che fa obbligo ai magistrati, ai cancellieri e agli altri ausiliari del giudice di osservare le norme processuali, la cui violazione è causa di responsabilità disciplinare, ma non determina una nullità degli atti o della fase di giudizio.

La Corte costituzionale ha ulteriormente precisato che il disordine del fascicolo, a determinate eccezionali condizioni, può integrare il caso dell’omesso deposito, solo laddove sia del tutto impedita l’attività difensiva e in ossequio a tali principi, la Suprema Corte, con la sentenza Sez. 6, n. 46139 del 29/10/2019, Rv. 277388 – 01, in un caso di trasmissione di documenti tramite il TIAP, ha ritenuto abnorme il provvedimento con cui il GUP aveva disposto la restituzione al PM della richiesta di rinvio a giudizio e del fascicolo processuale allegato, privi della numerazione delle pagine, per ottenere l’ordinata fascicolazione degli atti, perché avulso dal sistema processuale.

Del pari, nel processo civile e tributario, la irregolare tenuta del fascicolo di parte non comporta sanzioni processuali, ma produce conseguenze in merito all’assolvimento degli oneri probatori (Cass. civ., Sez. 3, n. 11617 del 2011, Rv. 618216; Sez. 6-5, n. 12670 del 2015, Rv. 635745-01, Sez. 3, n. 24461 del 2020, Rv. 659757 – 01, Sez. 6-1, n. 12751 del 2021, Rv. 661444-01), con la precisazione però, per il processo telematico, che la formazione o la trasmissione del documento in violazione delle regole tecniche è irregolare o nulla, stante l’espressa disposizione normativa (Cass. civ., Sez. 1, n. 28721 del 2020, Rv. 660049-01 e n. 15771 del 2020, Rv. 658469-01).

Nel caso in esame, il Tribunale del riesame ha escluso, o comunque ha ritenuto irrilevante, il “disordine” del fascicolo del PM, lamentato dall’indagato, perché ha osservato che gli atti erano stati tempestivamente inseriti nel TIAP, consultabili dalle parti e consultati dal collegio ai fini della decisione. E il ricorrente non ha confutato tale affermazione né ha offerto elementi di giudizio sufficienti a equiparare, nel limitato ambito tracciato dalla Corte costituzionale, questa situazione a quella dell’omesso deposito del fascicolo, ma anzi ha dimostrato, nonostante le ben rappresentate difficoltà, di essere in grado di espletare con pienezza le proprie difese.

Il Tribunale del riesame ha affermato di non disporre di poteri per tutelare l’interessato dal “disordine” del fascicolo del PM, dichiarazione mal intesa dal ricorrente, che ha invocato l’applicazione dei principi di diritto costituzionali e convenzionali.

In realtà, il Tribunale si riferiva all’assenza di poteri coercitivi rispetto alla richiesta di regolarizzazione degli atti. Ciò che è corretto, allo stato della legislazione vigente, siccome la tutela del diritto di difesa può consistere, come detto, nel rinvio dell’udienza, nell’assegnazione del termine a difesa, e solo in casi estremi nella dichiarazione di inesistenza degli atti, che ridonda in definitiva sulla valutazione della prova.

Sotto questo profilo, l’invocazione da parte del difensore della violazione dell’art. 6 CEDU pare inappropriata, perché il disagio nella gestione informatica degli atti non è trasmodato nell’impossibilità o nella maggiore difficoltà di approntare un’adeguata difesa per il proprio assistito.

Commento

La difesa ricorrente ha segnalato nel ricorso la condizione di disordine del fascicolo informatico degli atti del procedimento penale di interesse.

Ha evidenziato in particolare la loro indicizzazione imprecisa ed inefficace, la moltiplicazione dei pacchetti informatici unita alla sparizione di uno di essi e le modalità ibride del deposito degli atti, attraverso hard disk e pen drive.

Il collegio di legittimità non ha contestato l’esattezza della segnalazione difensiva ma ha escluso che la moltiplicazione/sparizione dei pacchetti informatici abbia nuociuto alla difesa, limitandosi ad ammettere “il disagio di aprire questi pacchetti (forse a campione), per verificare la medesimezza del contenuto” ed a riconoscere che le situazioni descritte nel ricorso “hanno, al limite, determinato una perdita di tempo“.

Con la stessa sostanziale noncuranza ha trattato la questione della trasmissione disordinata degli atti del fascicolo del PM.

Ha sciorinato un’analisi della sentenza n. 142/2009 della Consulta e della giurisprudenza di legittimità per legittimare la conclusione che nessuna sanzione presidia l’inosservanza delle disposizioni legislative e regolamentari che disciplinano le modalità di formazione dei fascicoli e che, in ogni caso, il giudice non dispone di altro potere nei confronti del PM che non sia quello della mera sollecitazione a sistemare correttamente il fascicolo.

Ha stigmatizzato infine l’assenza di indicazioni da parte del ricorrente che dimostrassero una reale lesione dei diritti difensivi.

L’esito è stato quello solito: inammissibilità, condanna alle spese processuali e ammenda di € 3.000.

Sembrerebbe una sequenza cartesiana fatta da segmenti rigorosamente oggettivi ognuno dei quali è giustificato da quello precedente e giustifica quello successivo.

Eppure, la sua perfezione è sciupata da una nota stonata e un’asimmetria evidente.

Viene in mente Cassazione penale, Sez. 1^, sentenza n. 51876/2019, udienza del 29 ottobre 2019, nella parte in cui afferma che “l’impugnazione manca di autosufficienza, e non può essere scrutinata per tale assorbente ragione. Nel denunciare il vizio di travisamento della prova in ordine alla circostanza della previa conoscenza del provvedimento cui ottemperare, il ricorrente non si avvede che era suo onere far risultare la relativa circostanza mediante modalità idonee, quali l’integrale riproduzione in ricorso, o l’allegazione in copia, degli atti implicati nella censura, ovvero, quanto meno, l’individuazione precisa di essi nel fascicolo processuale di merito, in modo da non costringere la Corte di cassazione alla lettura indiscriminata del fascicolo stesso e ad una ricerca “al buio“.

Le stesse parole riecheggiano nella più recente Cassazione penale, Sez. 1^, sentenza n. 24989/2022, udienza del 13 aprile 2022: “il ricorrente non si avvede che era suo onere far risultare la circostanza della avvenuta presentazione dell’istanza di revoca del beneficio mediante modalità idonee, quali l’integrale riproduzione in ricorso della istanza stessa, l’allegazione in copia, o, quanto meno, l’individuazione precisa dell’atto nel fascicolo processuale di merito, in modo da non costringere la Corte di cassazione alla lettura indiscriminata del fascicolo stesso e ad una ricerca “al buio” (ex pluribus, Sez. 3, n. 43322 del 02/07/2014, Rv. 260994-01). Il mancato assolvimento dell’onere pregiudica il motivo sotto l’aspetto considerato“.

Si consideri adesso che l’autosufficienza è un onere di pura creazione giurisprudenziale, eppure la Suprema Corte è implacabile tanto nella sua imposizione quanto nella giustificazione che ne dà (inesigibilità di letture indiscriminate del fascicolo e di ricerche al buio) quanto, infine, negli effetti letali che ne trae pur in assenza di un’espressa prescrizione normativa (inammissibilità del ricorso).

Dall’altro lato, quello della corretta formazione dei fascicoli, le norme legislative e regolamentari esistono ma le sanzioni non sono previste e quindi la loro violazione deve essere tollerata.

Da un lato la regalità di una Corte Suprema al cui cospetto qualunque sciatteria si paga con il massimo della pena, dall’altro la trascurabile difesa dell’accusato cui tutto si può imporre e che tutto deve sopportare.