Colloqui tra detenuti in custodia cautelare e i loro difensori: illegittimi gli ostacoli pretestuosi (di Vincenzo Giglio)

Per Cassazione penale, Sez. 1^, sentenza n. 23557/2023, udienza del 30 marzo 2023, costituisce ormai principio di diritto consolidato che i provvedimenti con i quali vengono assunte decisioni sulle istanze di colloquio dei detenuti in custodia cautelare, potendo comportare un inasprimento del grado di afflittività della misura, sono ricorribili per cassazione, ex art. 111, comma settimo, Cost. (Sez. 5, Sentenza n. 8798 del 04/07/2013, Rv. 258823).

Le conversazioni telefoniche del detenuto con il difensore rientrano nell’ambito di applicazione della disciplina penitenziaria generale della corrispondenza telefonica di cui all’art. 39 reg. pen.

Per costante giurisprudenza «la disciplina di cui all’art. 39 del d.P.R. n. 230 del 2000, in tema di corrispondenza telefonica, nella parte in cui prevede un limite numerico settimanale e la sottoposizione alla valutazione del direttore dell’istituto di pena, si riferisce anche al difensore, senza alcuna distinzione fra detenuti per condanna definitiva e detenuti ancora sottoposti a processo» (Sez. 1, sentenza n. 40011 del 21/05/2013, Rv. 257405).

Correttamente il difensore ricorrente ha anche richiamato il fondamentale principio sancito dall’art. 18 Ord. pen. secondo cui «i detenuti e gli internati hanno diritto di conferire con il difensore, fermo quanto previsto dall’articolo 104 del codice di procedura penale, sin dall’inizio della misura o della pena».

Tanto premesso, osserva la Corte che il giudice territoriale ha negato i richiesti colloqui telefonici del ricorrente con il difensore (giustificati dell’ampia distanza intercorrente tra il luogo della detenzione (presso la Casa Circondariale di Voghera) e il luogo di svolgimento in Roma dell’attività professionale del difensore (Roma), opponendo “l’assenza di ostacoli per i colloqui in presenza“.

Di tutta evidenza la non pertinenza della evocata motivazione, che da un lato non tiene conto della giustificazione invero espressa in seno alla richiesta, dall’altro non appare rispettosa delle esigenze difensive del detenuto.

Il provvedimento impugnato deve quindi essere annullato con rinvio, per nuovo esame.