Amministratore di società fallita che si sia appropriato di somme della società a titolo di pagamento per prestazioni lavorative svolte in suo favore: è bancarotta per distrazione, non preferenziale (di Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 5^, sentenza n. 38328/2023, udienza del 30 maggio 2023, ha definito, sulle base delle argomentazioni di seguito esposte, un ricorso presentato da imputati del delitto di bancarotta per distrazione.

Il reato in contestazione è integrato da due tipologie di condotte distrattive, poste in essere quando lo stato di crisi della società fallita era ormai irreversibile: da un lato, tutti i ricorrenti, nella loro qualità di amministratori, hanno goduto, in assenza di delibera assembleare, di “fringe benefits” consistenti nell’utilizzazione a titolo personale, di autovetture di prestigio e di valore elevato, i cui costi di acquisto e di esercizio erano stati completamente riversati sulla società; dall’altro PF e LF, tra il 2005 e il 2009, avevano prelevato per uso personale materiali di proprietà della “F. SPA”, per complessivi euro 168.740,20, senza che la società ne chiedesse il pagamento.

La corte territoriale, premesso che gli imputati si erano difesi sostenendo che l’uso delle autovetture, a loro avviso più vantaggioso per la società, rispetto all’erogazione di “benefits” o al rimborso spese, doveva considerarsi rientrare nel compenso complessivo deliberato in sede assembleare, mentre il prelievo dei materiali compensava il credito che gli amministratori vantavano nei confronti della società per i compensi loro dovuti, rilevava come “non vi è prova del credito reclamato dagli amministratori nel periodo del loro mandato; non vi è prova dell’asserita dovuta compensazione tra quanto ad essi dovuto per l’esercizio del mandato e i prelievi e usi effettuati“.

Rilevava, inoltre, il giudice di merito, con motivazione dotata di intrinseca coerenza logica, come l’uso delle autovetture, anche se previsto dallo statuto sociale, fosse privo di autorizzazione, e che la mancata appostazione in contabilità della natura compensativa degli indicati prelievi di merce, aveva consentito agli amministratori di chiedere l’insinuazione al passivo fallimentare per l’intero ammontare dei crediti vantati, senza tenere conto del valore dei debiti della società nei loro confronti, compensati, secondo l’impostazione difensiva, dai suddetti prelievi, come sarebbe stato logico se questi ultimi avessero avuto effettiva natura compensativa.

Tale conclusione appare assolutamente conforme ai principi elaborati in materia dalla giurisprudenza della Suprema Corte, che con costante orientamento, costituente “diritto vivente”, ha affermato il principio secondo cui integra il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione e non quello di bancarotta preferenziale, la condotta dell’amministratore di una società che si appropri di somme della società a titolo di pagamento per le prestazioni lavorative svolte in favore di quest’ultima, non essendo scindibile la sua qualità di creditore da quella di amministratore, come tale vincolato alla società dall’obbligo di fedeltà e da quello della tutela degli interessi sociali nei confronti dei terzi (così, Sez. F, n. 27132 del 13/08/2020, Rv. 279633; Sez. 5, n. 25773 del 20/02/2019, Rv. 277577; Sez. 5, n. 2273 del 06/12/2004, Rv. 231289; Sez. 5, n. 25292 del 30/05/2012, Rv. 253001; Sez. 5, n. 50495 del 14/06/2018, Rv. 274602).

Del pari costante nella giurisprudenza della Suprema Corte risulta l’affermazione del principio che non è giustificabile alcuna autoliquidazione dei compensi dell’amministratore, dovendo la liquidazione di tali compensi trovare adeguata giustificazione in una delibera assembleare congruamente motivata della compagine sociale nel cui interesse egli ha operato. In questa prospettiva si è evidenziato che commette il reato di bancarotta per distrazione, e non quello di bancarotta preferenziale il socio amministratore di una società di capitali che preleva dalle casse sociali somme asseritamente corrispondenti a crediti da lui vantati per il lavoro prestato nell’interesse della società, ovvero l’amministratore che, in assenza di delibera assembleare che stabilisca la misura dei suoi compensi, prelevi somme in pagamento dei crediti verso la società in dissesto, senza l’indicazione di dati ed elementi di confronto che ne consentano un’adeguata valutazione, quali, ad esempio, gli impegni orari osservati, gli emolumenti riconosciuti a precedenti amministratori o a quelli di società del medesimo settore, i risultati raggiunti (cfr. Sez. 5, n. 49509 del 19/07/2017, Rv. 271464; Sez. 5, n. 17792 del 23/02/2017, Rv. 269639).

Si è, pertanto, più volte ribadito che integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione la condotta dell’amministratore che prelevi somme dalle casse sociali, a titolo di pagamento di competenze, ancorché su delibera del consiglio di amministrazione, in quanto la previsione di cui all’art. 2389 cod. civ. stabilisce che la misura del compenso degli amministratori di società di capitali, qualora non sia stabilita nello statuto, sia determinata con delibera assembleare (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 46959 del 27/10/2009, Rv. 245399; Sez. 5, n. 50836 del 03/11/2016, Rv. 268433; Sez. 5, n. 11405 del 12/06/2014, Rv. 263056). Integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, in applicazione di tali principi, anche la condotta dell’amministratore che prelevi dalle casse sociali somme a lui spettanti come retribuzione, se tali compensi sono solo genericamente indicati nello statuto e non vi sia stata determinazione di essi con delibera assembleare, perché, in tal caso, come è stato correttamente sottolineato, il credito è da considerarsi illiquido, in quanto, sebbene certo nell'”an”, non è determinato anche nel “quantum” (cfr. Sez. 5, n. 30105 del 05/06/2018, Rv. 273767) ovvero siano stati determinati nel loro ammontare con una delibera dell’assemblea dei soci adottata “pro forma”, al solo fine di giustificare l’indebito prelievo (cfr. Sez. 5, n. 3191 del 16/11/2020, Rv. 280415).