La firma digitale che c’è ma non c’è (di Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 4, sentenza n. 14898/2024, udienza del 3 aprile 2024, ha analizzato gli effetti della mancata apposizione della firma digitale ad un atto di appello.

Vicenda sottostante al ricorso

Il Tribunale di Bologna, con ordinanza emessa ai sensi degli artt. 87-bis, commi 4 e 7, d. lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 e 591 cod. proc. pen., ha dichiarato l’inammissibilità dell’appello proposto ai sensi dell’art.310 cod. proc. pen. dal difensore di XX, sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari, avverso l’ordinanza del 30 gennaio 2024 con la quale la Corte di appello di Bologna aveva rigettato l’istanza di autorizzazione ad allontanarsi dall’abitazione per svolgere attività lavorativa.

Motivi di ricorso

XX propone ricorso per cassazione deducendo violazione dell’art. 606, comma 1 lett. c), cod. proc. pen. in relazione all’art. 87-bis, comma 7, d. lgs. n.150/2022 e connesso vizio di motivazione.

Secondo la difesa, il provvedimento impugnato viola le predette norme in quanto, nel caso concreto, erroneamente l’atto è stato ritenuto privo di firma digitale, ben visibile in calce all’atto e recante la data del 31 gennaio 2024 ore 11:32.

L’unica particolarità, si assume, consiste nell’avere il difensore firmato digitalmente un documento stampato e scannerizzato al fine di creare un unico file con gli allegati cosicchè, pur trattandosi della scansione di un’immagine, l’apposizione della firma digitale ha trasformato il documento in un nuovo originale.

Decisione della Corte di cassazione

…Ricognizione del quadro normativo

L’appello proposto dal ricorrente è stato legittimamente predisposto in forma digitale e inviato, dal difensore, a mezzo del proprio indirizzo di posta elettronica, in applicazione dell’art. 24, comma 6-bis, d. l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176. Tale modalità impone la trasmissione dell’atto «in forma di documento informatico», «sottoscritto digitalmente secondo le modalità indicate» con provvedimento del DGSIA.

Il decreto legislativo n. 150/2022, poi, ha reso tale modalità non più eccezionale ma ordinaria, anche se non esclusiva, modificando gli artt. 582 e 583 cod. proc. pen. e introducendo l’art. 111-bis cod. proc. pen.

La sottoscrizione dell’atto, trasmesso come documento informatico, deve pertanto avvenire in 1,9- forma digitale; sia l’art. 24, comma 6-sexies, d. l. 28 ottobre 2020, n. 137, sia l’art. 87-bis, comma 7, d. lgs. n. 150/2022, stabiliscono l’inammissibilità dell’impugnazione quando l’atto sia privo della sottoscrizione digitale del difensore.

La Corte di cassazione, in applicazione di tale normativa, ha pertanto affermato che «è inammissibile ai sensi dell’art. 24, comma 6-sexies, d. l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, l’impugnazione che, pur essendo stata trasmessa a mezzo posta elettronica certificata, risulti priva di sottoscrizione digitale» (Sez. 6, n. 8604 del 22/02/2022, Rv. 282940), essendo tale mancanza equiparabile all’assenza della firma su un qualunque atto trasmesso all’autorità giudiziaria, assenza che priva l’atto stesso di qualunque rilevanza (Sez. 4, n. 38467 del 25/10/2006).

Il quadro normativo di riferimento è rappresentato dall’art. 87-bis d. lgs. n. 150/2022 che consente il deposito con valore legale di atti documenti e istanze «mediante invio dall’indirizzo di posta elettronica certificata inserito nel registro generale degli indirizzi elettronici di cui all’art. 7 del regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia 21 febbraio 2011 n. 44», purché effettuato presso gli uffici di posta elettronica certificata degli uffici giudiziari destinatari indicati in apposito provvedimento del Direttore generale per sistemi informativi automatizzati pubblicato nel portale dei servizi telematici del Ministero della giustizia.

L’art. 87-bis d. lgs. 150/2022 prevede:

– al comma 3, che, quando il deposito ha ad oggetto un’impugnazione (come avvenuto nel caso di specie), l’atto «in forma di documento informatico» debba essere «sottoscritto digitalmente secondo le modalità indicate con il provvedimento del Direttore generale per i sistemi informativi automatizzati» e debba contenere «la specifica indicazione degli allegati, che sono trasmessi in copia informatica per immagine, sottoscritta digitalmente dal difensore per conformità all’originale»;

– al comma 4, che l’atto di impugnazione deve essere trasmesso tramite posta elettronica certificata dall’indirizzo cli posta elettronica certificata del difensore a quelli dell’ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato, individuato ai sensi del comma 1, «con le modalità e nel rispetto delle specifiche tecniche ivi indicate»;

– al comma 7, che, fermo restando quanto previsto dall’art. 591 cod. proc. pen., nel caso di proposizione dell’atto a mezzo PEC l’impugnazione è inammissibile, tra l’altro (e per quanto qui rileva), «quando l’atto di impugnazione non è sottoscritto digitalmente dal difensore».

In attuazione di quanto previsto dall’art. 34, comma 1, del decreto del Ministro della giustizia n. 44 del 21 febbraio 2011 («Regolamento concernente le regole tecniche per l’adozione nel processo civile e nel processo penale, delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione…»), il Direttore generale per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia ha emesso due successivi provvedimenti, in data 16 aprile 2014 e 28 dicembre 2015, il cui testo coordinato è stato pubblicato il 28 dicembre 2015.

Questo testo stabilisce all’art. 19-bis che, quando un documento informatico proveniente da un difensore è sottoscritto con firma digitale, «si applica quanto previsto all’art. 12, comma 2».

L’art. 12, comma 2, stabilisce quanto segue: «La struttura del documento firmato è PAdES-BES (o PAdES Part 3) o CAdESBES; il certificato di firma è inserito nella busta crittografica; è fatto divieto di inserire nella busta crittografica le informazioni di revoca riguardanti il certificato del firmatario. La modalità di apposizione della firma digitale o della firma elettronica qualificata è del tipo «firme multiple indipendenti» o parallele, e prevede che uno o più soggetti firmino, ognuno con la propria chiave privata, lo stesso documento (o contenuto della busta).

L’ordine di apposizione delle firme dei firmatari non è significativo e un’alterazione dell’ordinamento delle firme non pregiudica la validità della busta crittografica; nel caso del formato CAdE5 il file generato si presenta con un’unica estensione p7m.

Il meccanismo qui descritto è valido sia per l’apposizione di una firma singola che per l’apposizione di firme multiple.

In data 9 novembre 2020 è stato pubblicato un ulteriore provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi automatizzati del Ministero della Giustizia contenente: l’individuazione degli indirizzi PEC degli uffici giudiziari destinatari dei depositi di cui all’art. 24, comma 4, decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, le specifiche tecniche relative ai formati degli atti e le ulteriori modalità di invio.

Questo provvedimento ha previsto, all’art. 3, comma 1, che: «L’atto del procedimento in forma di documento informatico, da depositare attraverso il servizio di posta elettronica certificata presso gli uffici giudiziari indicati nell’art. 2, rispetta i seguenti requisiti: è in formato PDF; è ottenuto da una trasformazione di un documento testuale, senza restrizioni per le operazioni di selezione e copia di parti; non è pertanto ammessa la scansione di immagini; è sottoscritto con firma digitale o firma elettronica qualificata».

…Ricostruzione della disciplina vigente

Tanto premesso, si deve osservare: che, per espressa previsione di legge, la mancata sottoscrizione digitale dell’atto di impugnazione è causa di inammissibilità della stessa; che, nel caso di specie, la firma digitale è presente ma il documento informatico è una scansione di immagini.

Considerato che l’art. 87-bis, comma 3, d. lgs. n.150/2022 prevede che l’atto d’impugnazione, «in forma di documento informatico», debba essere «sottoscritto digitalmente secondo le modalità indicate con il provvedimento del Direttore generale per i sistemi informativi automatizzati» e che il successivo comma 7 prevede l’inammissibilità dell’atto non sottoscritto digitalmente dal difensore, la questione da risolvere è se l’art. 3, comma 1, provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi automatizzati del Ministero della Giustizia datato 9 novembre 2020, contenente le specifiche tecniche relative ai formati degli atti, abbia introdotto un requisito di ammissibilità dell’impugnazione inerente alla sottoscrizione digitale «secondo le modalità indicate con il provvedimento del Direttore generale per i sistemi informativi automatizzati».

Il collegio ritiene che le modalità inerenti alla sottoscrizione digitale di un documento informatico debbano considerarsi altro rispetto alle specifiche tecniche relative al formato dell’atto e che, tuttavia, nel provvedimento impugnato si fa riferimento alla dicitura «file non firmato» restituita dal sistema ARUBA SIGN con riguardo a entrambi i formati ammissibili.

Sulla base di quanto attestato dal servizio di firma digitale, la firma non risulta, dunque, essere stata apposta all’atto trasmesso in data 31 gennaio 2024.

Il sistema di verifica ha rilevato la mancanza della sottoscrizione digitale e la documentazione in atti non consente di ipotizzare che vi sia stato un errore in quel sistema (Sez. 4, n. 48545 del 25/10/2023, Rv. 285571 – 01).

…Esito

Tali considerazioni impongono il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.

Commento

Si fa fatica a comprendere la decisione qui annotata e le ragioni che l’hanno ispirata.

La sequenza precedente all’intervento della Suprema Corte era chiara: un tribunale aveva dichiarato inammissibile un appello cautelare per la mancata apposizione della firma digitale all’atto di impugnazione; il difensore dell’appellante aveva ricorso per cassazione affermando che la firma digitale c’era ed era ben visibile, pur ammettendo che era stata apposta in calce ad un atto che assemblava ed unificava l’appello in senso stretto e le scansioni degli allegati ivi richiamati.

Alla Cassazione era dunque chiesto di chiarire, a fronte di due versioni conflittuali della realtà, quale fosse quella vera e trarne le conseguenze giuridiche.

Come si è potuto apprezzare, la decisione dei giudici di legittimità si risolve essenzialmente in un lungo elenco ricognitivo delle disposizioni normative e amministrative pertinenti.

Nella sua parte finale è citato l’art. 3, comma 1, del provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi automatizzati del Ministero della Giustizia del 9 novembre 2020, secondo il quale «L’atto del procedimento in forma di documento informatico, da depositare attraverso il servizio di posta elettronica certificata presso gli uffici giudiziari indicati nell’art. 2, rispetta i seguenti requisiti: è in formato PDF; è ottenuto da una trasformazione di un documento testuale, senza restrizioni per le operazioni di selezione e copia di parti; non è pertanto ammessa la scansione di immagini; è sottoscritto con firma digitale o firma elettronica qualificata».

Nel passaggio immediatamente successivo della sentenza si dà atto che “nel caso di specie, la firma digitale è presente ma il documento informatico è una scansione di immagini“.

Ancora dopo si delimita la questione giuridica decisiva per l’esito del ricorso: “la questione da risolvere è se l’art. 3, comma 1, provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi automatizzati del Ministero della Giustizia datato 9 novembre 2020, contenente le specifiche tecniche relative ai formati degli atti, abbia introdotto un requisito di ammissibilità dell’impugnazione inerente alla sottoscrizione digitale «secondo le modalità indicate con il provvedimento del Direttore generale per i sistemi informativi automatizzati»“.

Segue a questo punto una considerazione piuttosto sibillina: “Il collegio ritiene che le modalità inerenti alla sottoscrizione digitale di un documento informatico debbano considerarsi altro rispetto alle specifiche tecniche relative al formato dell’atto e che, tuttavia, nel provvedimento impugnato si fa riferimento alla dicitura «file non firmato» restituita dal sistema ARUBA SIGN con riguardo a entrambi i formati ammissibili“.

La chiusura, infine, si risolve in una mera presa d’atto: “Sulla base di quanto attestato dal servizio di firma digitale, la firma non risulta, dunque, essere stata apposta all’atto trasmesso in data 31 gennaio 2024. Il sistema di verifica ha rilevato la mancanza della sottoscrizione digitale e la documentazione in atti non consente di ipotizzare che vi sia stato un errore in quel sistema“.

E dunque: la firma digitale è presente – e si può immaginare che questa asserzione sia il frutto di un’osservazione empirica, nel senso che i componenti del collegio l’hanno vista con i loro occhi scorrendo il ricorso – ma è anche assente perché così afferma il “sistema di verifica“, cioè ARUBA SIGN, e nulla “consente di ipotizzare che vi sia stato un errore in quel sistema“; la scansione di immagini non è consentita dal provvedimento del 9 novembre 2020 del dirigente della DGSIA ma è anche vero che le specifiche tecniche relative al formato dell’atto sono altro – e non si capisce cosa sia questa altruità e quali effetti comporti – rispetto alle modalità inerenti alla sottoscrizione digitale.

Due cose sembra di poter dire, prima di finire.

Il ricorrente è stato doppiamente sfortunato: il suo ricorso è stato respinto (prima sfortuna); non gli è dato capire perché è stato respinto (seconda sfortuna).

La contrapposizione tra l’osservazione empirica e l’asserzione formale di ARUBA SIGN sembra riecheggiare quella che costò la condanna per eresia e poi l’abiura a Galileo Galilei: lo scienziato pisano giunse alla certezza dell’eliocentrismo, fidandosi più dei suoi sensi e del suo intelletto che delle asserzioni bibliche ma, per sua sfortuna, la medesima certezza era altro (pregasi notare l’assonanza) rispetto a quella delle autorità ecclesiastiche.

Sappiamo tutti come andò a finire:

Diciamo, pronunziamo, sentenziamo e dichiaramo che tu, Galileo sudetto, per le cose dedotte in processo e da te confessate come sopra, ti sei reso a questo Santo Offizio veementemente sospetto d’eresia, cioè d’aver tenuto e creduto dottrina falsa e contraria alle Sacre e divine Scritture, ch’il sole sia centro della terra e che non si muova da oriente ad occidente, e che la terra si muova e non sia centro del mondo, e che si possa tenere e difendere per probabile un’opinione dopo esser stata dichiarata e diffinita per contraria alla Sacra Scrittura“.