Intelligenza artificiale applicata alla giustizia: rischi e opportunità in un mondo che cambia (di Vincenzo Giglio)

Si conclude oggi l’evento organizzato dal Consiglio nazionale forense, tenutosi a Roma presso la Pontificia Università della Santa Croce, denominato G7 delle Avvocature e focalizzato sull’incrocio tra intelligenza artificiale e valori democratici.

Dai resoconti di stampa emerge un dibattito ricco di riflessioni interessanti.

La maggior parte di esse hanno espresso preoccupazione.

Si teme che l’introduzione massiccia di intelligenza artificiale (di seguito IA) nella giustizia impatterà assai negativamente sull’avvocatura diminuendo la necessità di consulenza legale, aumentando il cosiddetto digital divide tra i professionisti che sapranno tenere il passo con le innovazioni tecnologiche e quelli che non ce la faranno, annullando o ridimensionando le tradizionali competenze e rendendone necessarie di nuove che poco avranno a che fare con la cultura giuridica e molto invece con software e algoritmi.

Lo stesso timore riguarda il versante della magistratura, paventandosi il rischio che i giudici, pur rimanendo formalmente responsabili dell’amministrazione della giustizia, si affidino sempre di più all’IA e ai suoi algoritmi per le decisioni di loro competenza, sia per via della loro già manifesta propensione ad un uso esteso delle motivazioni per relationem e della tecnica del “copia e incolla”, sia perché in tal modo potrebbero massimizzare a basso costo personale la loro produttività.

Altri dubbi sono stati sollevati sui possibili abusi dell’IA al punto che il Governo starebbe pensando a introdurre una nuova fattispecie di reato che dovrebbe sanzionare chi la utilizza per scopi diversi da quelli leciti, come ad esempio danneggiare qualcuno indebitamente.

Queste preoccupazioni sono comprensibili in una fase in cui il dibattito politico e sociale oltre che giuridico sull’IA è ben lontano dal raggiungimento di certezze e risulta ancora vago se non addirittura incomprensibile per ampie cerchie di cittadini.

Lo stesso Sottosegretario di Stato Alfredo Mantovano, intervenuto al G7 delle Avvocature, ha ricordato che nessuna delle formazioni politiche che hanno partecipato alle ultime elezioni politiche ha inserito nel suo programma alcun punto che riguardasse il “governo” dell’IA e la prevenzione dei rischi ad essa connessi, intendendo con ciò sottolineare che la rapidissima evoluzione del settore ha colto tutti di sorpresa.

Dato atto di questo, sia consentito dire che è altrettanto preoccupante che la reazione prevalente all’IA sia quella del timore e che tale atteggiamento predisponga ad approntare barriere e difese piuttosto che – come invece sarebbe necessario – a comprendere ciò che accade e accadrà e a trarne benefici più che svantaggi.

Perché, appunto, le cose stanno già accadendo e sono già entrate nelle aule giudiziarie.

Ci aiuta a capirlo un interessante scritto di Guido Camera, A proposito dell’indagine conoscitiva sull’impatto dell’intelligenza artificiale nel settore della giustizia, pubblicato il 15 aprile 2024 su Sistema Penale (consultabile a questo link).

Ne riporto un passaggio importante, direttamente attinente alla giustizia penale:

L’uso dell’intelligenza artificiale per la ricostruzione del fatto processuale – in termini oggettivi e soggettivi – è quello che avrà l’impatto più prossimo, da un punto di vista temporale. Del resto, la prova digitale è alla base di una quotidiana moltitudine di processi: basta pensare alla frequenza con cui reati anche non di natura informatica, vengono giudicati e decisi mediante la ricostruzione delle responsabilità attraverso flussi di comunicazioni telematiche identificati, in termini di ammissibilità, rilevanza e pertinenzialità, dal giudice. Tutto ciò è avvenuto in questi anni denotando un approccio altamente inconsapevole delle possibili lesioni ai tradizionali principi del nostro ordinamento: un esempio eclatante è la facilità con cui per anni sono stati acquisiti – spesso in modo esorbitante – contenuti di memorie digitali, smartphone o altri device senza garanzie giurisdizionali, mediante decreti di perquisizione informatica emessi da pubblici ministeri senza alcun limite. Attività investigativa non meno invasiva delle libertà rispetto alle intercettazioni, ma con presupposti di applicabilità molto meno garantiti. Ed è altrettanto sotto gli occhi di tutti che solo recentemente la giurisprudenza ha introdotto la necessità di un maggiore controllo, da parte della difesa, sulle attività di ricerca del pubblico ministero in ordine all’effettiva pertinenzialità dei dati e delle comunicazioni informatiche acquisite coattivamente, oltre che sulla genuinità della prova: controllo indispensabile per evitare palesi lesioni ai diritti costituzionali che ben possono essere determinate da attività di selezione unilaterale dei dati ritenuti rilevanti, ad esempio attraverso l’impiego di forme di intelligenza artificiale nella individuazione dei criteri di ricerca, e della relativa rilevanza ai fini investigativi. Ed è lo stesso Parlamento che ha recentemente colto l’importanza di un intervento legislativo di adeguamento della materia, attraverso il nuovo articolo 254-ter del codice di procedura penale“.

Rimando per i tanti altri temi di rilievo alla lettura integrale dello scritto di Guido Camera.

Ognuno di essi e gli altri che si pongono e si porranno meritano un approfondimento individuale che è nostro intendimento far seguire al più presto.