L’esordio di ChatGPT tra gli elementi a base di una richiesta di revisione (di Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 3^, sentenza n. 14631/2024, udienza dell’11 gennaio 2024, merita una speciale menzione perché, ameno per quanto a mia conoscenza, è la prima sentenza del comparto penale della Suprema Corte che menziona esplicitamente ChatGPT.

I tre ricorrenti hanno chiesto l’annullamento della sentenza della Corte territoriale che ha rigettato la richiesta di revisione della sentenza del 23 marzo 2010 di altra Corte che, pronunciando in sede rescissoria, li aveva definitivamente condannati alla pena di giustizia per vari reati in materia edilizia e per violazione di sigilli.

A differenza del solito, in questo caso la vicenda giudiziaria sottostante al ricorso e la decisione della Corte di cassazione possono essere tranquillamente relegate sullo sfondo.

Conta invece che nella richiesta di revisione poi respinta gli istanti, interessati a confutare l’esistenza di vincoli sull’area ove avevano realizzato i manufatti che gli erano costati la condanna, avevano inserito tra gli altri una specifica considerazione, così riassunta (sul finire di pagina 3 nel formato PDF) dall’estensore della sentenza oggetto di questo post: “che anche l’intelligenza artificiale ChatGPT aveva confermato che l’area in questione non era soggetta a vincoli“.

Appare chiaro che l’opinione di ChatGPT non è stata valorizzata da alcun giudice come i ricorrenti si aspettavano.

Un tentativo doppiamente pionieristico, questo è chiaro: per avere utilizzato l’output di un software di intelligenza artificiale a sostegno di una richiesta di revisione e per avere per così dire personalizzato quel software attribuendo il valore di un parere pro veritate al risultato della ricerca richiestagli.

Questa volta non è andata bene e il tentativo è stato respinto con perdite. La prossima chissà.