L’avvocato che aziona più volte lo stesso titolo esecutivo per un credito già pagato non commette truffa (di Riccardo Radi)

La Cassazione sezione 2 con la sentenza numero 13004/2024 ha premesso che la condotta contestata all’indagato può essere sintetizzata nel senso che l’avvocato T. attivava più volte il medesimo titolo esecutivo, introducendo varie procedure esecutive, nonostante che il credito portato dal titolo fosse già stato precedentemente soddisfatto, così provocando l’emissione di più ordinanze con cui il giudice dell’esecuzione assegnava ai clienti dell’indagato o a lui stesso- somme non dovute, in quanto già pagate.

Il tema della questione sottoposta alla Suprema Corte è il seguente: è configurabile la truffa?

Decisione

La Cassazione premette che va ulteriormente precisato che tanto avveniva senza alcuna alterazione della realtà, atteso che i titoli portati in esecuzione erano autentici e validi e venivano regolarmente notificati al debitore; così come gli venivano notificati l’atto di precetto, il successivo pignoramento, l’atto di intervento e l’ordinanza di assegnazione.

Tanto vale a far emergere che, nessun artificio è stato realizzato dall’indagato per indurre in errore il debitore.

L’indagato, invero, con la notificazione del titolo esecutivo, del precetto e del pignoramento e con l’atto di intervento ha palesato al debitore l’intenzione di attivare (e dipoi di avere iniziato) una procedura esecutiva per il soddisfacimento di un credito già soddisfatto, rispetto alla quale l’ADER – così resa edotta di ciò- avrebbe potuto (e dovuto) attivare gli strumenti apprestati dall’ordinamento per far valere l’estinzione dell’obbligazione, ossia, tra l’altro ed esemplificativamente, l’opposizione agli atti esecutivi o l’opposizione all’esecuzione.

Strumenti che non sono stati attivati dall’ADER, neanche avverso l’ordinanza di assegnazione che, invero, non veniva impugnata, ma veniva eseguita, pur nella consapevolezza della non dovutezza dell’importo di cui quell’ordinanza ordinava il pagamento.

Tali notazioni fanno emergere la fondatezza delle doglianze del ricorrente, che ha correttamente eccepito che non vi sono stati artifici o raggiri intesi a incidere sul procedimento della formazione della volontà del debitore; che, conseguentemente, l’atto di disposizione patrimoniale (il pagamento) non è il risultato dell’induzione in errore, in quanto esso è stato un atto necessitato dall’ordine impartito dal giudice con l’ordinanza di assegnazione.

L’unica condotta intesa ad alterare la realtà, in effetti, risulta realizzata soltanto verso il giudice, cui veniva sottaciuto che il credito attivato era già stato soddisfatto.

A fonte di quanto fin qui rilevato, va ribadito che «non integra il reato di truffa la condotta di chi, mediante l’induzione in errore del giudice in un processo civile o amministrativo, ottenga una decisione a sé favorevole, mancando l’elemento costitutivo dell’atto di disposizione patrimoniale, posto che il provvedimento adottato non è equiparabile a un libero atto di gestione di interessi altrui, ma costituisce esplicazione del potere giurisdizionale, di natura pubblicistica, né può assumere rilevanza la riserva contenuta nell’art. 374 cod. pen., che si riferisce ai casi in cui il fatto sia specificatamente preveduto dalla legge nei suoi elementi caratteristici», (Sez. 2, Sentenza n. 48541 del 21/10;2022, Rv. 284172 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 35943 del 22/06/2022, Rv. 283546 – 01).

Diversamente da quanto sostenuto dal tribunale, quindi, il fatto così come ritenuto, ricade ancor con più forza nella disciplina dell’enunciato principio di diritto, ove si consideri che -come già evidenziato- nel caso delle procedure esecutive, il debitore è pienamente edotto dei contenuti del titolo esecutivo, che gli viene notificato, così come gli viene notificato il pignoramento e l’eventuale atto di intervento, tutti atti avverso i quali viene messo nelle condizioni di difendersi e opporsi, attivando gli strumenti riconosciuti dalla legge.

Da qui la mancanza di artifici e/o raggiri intesi a indurre in errore la persona offesa. L’unico raggiro, come visto è costituito dal sottacere al giudice che quei crediti per cui è stata iniziata la procedura esecutiva erano già stati soddisfatti.

Da ciò discende che anche in questo caso, l’atto di disposizione patrimoniale non è stato indotto da un errore provocato nella formazione della volontà della vittima, ma si risolve in un atto dovuto perché ordinato da un provvedimento giudiziale emesso in esito a una procedura in cui il debitore è rimasto inerte, così legittimando l’ordinanza di assegnazione.