Caso dossieraggi: chi dice cosa, chi controlla cosa, chi vuole cosa (di Vincenzo Giglio)

L’uomo attorno alle cui attività è nato il cosiddetto caso dossieraggi è un ufficiale inferiore della Guardia di Finanza ma quello che gli viene contestato, cioè i suoi accessi asseritamente abusivi nelle banche dati utilizzate dalla Direzione nazionale antimafia (DNA), avviene in virtù del suo distacco presso tale organismo e della sua destinazione al gruppo di lavoro che si occupa delle segnalazioni di operazioni sospette (SOS).

E allora a chi rispondeva l’uomo in questione?

La prima catena gerarchica è quella della DNA e sappiamo dalle cronache che l’ufficiale aveva come immediato referente gerarchico il magistrato di quell’ufficio assegnato alle SOS il quale, a sua volta, risponde al capo della DNA.

La seconda filiera è quella della Guardia di Finanza e qui vale la gerarchia interna di tale forza armata che si interseca con l’appartenenza dell’ufficiale al nucleo speciale della polizia valutaria.

Approfondiamo la prima catena.

L’ufficiale dice di avere sempre e solo agito su input del magistrato suo controllore.

Quest’ultimo dice di avere chiesto all’ufficiale solo accertamenti che era in suo potere e dovere di compiere e aggiunge di avere sempre tenuto informato il capo della DNA di tutto quanto faceva.

Il capo della DNA dell’epoca non dice nulla, non risultando al momento che qualcuno gli abbia chiesto di dire qualcosa, ma in compenso ascolta, essendo deputato e vicepresidente della Commissione antimafia e partecipando in tale veste a tutte le audizioni sul caso dossieraggi che si stanno tenendo proprio in questi giorni.

Passiamo alla seconda catena.

Il comandante generale della Guardia di Finanza dice che il ruolo funzionale dell’ufficiale prevaleva sul suo status di finanziere e tiene a precisare che, anche se costui si serviva della banca dati SIVA (Sistema informativo valutario) in uso alla polizia tributaria, lo faceva solo perché non c’era altro modo di fare il suo lavoro sul quale, pertanto, l’unico controllore legittimato era il magistrato addetto della DNA.

E si torna così al punto di partenza.

Stando alle dichiarazioni delle fonti DNA del passato (versione 1.0 per comodità), le cose lì dentro andavano che meglio non si poteva, tutto era fatto sempre e solo nell’interesse pubblico, la DNA è sempre stata un baluardo della democrazia e del contrasto alle mafie, i suoi poteri sono stati esercitati in pieno ossequio alle regole e, se proprio si vuole trovare il pelo nell’uovo, c’è un solo difetto: quei poteri sono troppo modesti rispetto all’immane compito di un’agenzia antimafia come si deve e dovrebbero essere aumentati di molto.

Non avremmo alcuna difficoltà a credere a questa versione se non fosse per un minuscolo dettaglio: è la stessa DNA nella versione 2.0 ed in persona del suo attuale capo, che esprime preoccupazione per quanto è successo, definendo gravissimi i fatti avvenuti, così gravi da avere imposto modifiche organizzative interne di vasta portata, avvicendamenti e rotazioni di personale che non si facevano da anni, allontanamento dal servizio SOS del controllato e del controllore di prima.

E allora, di nuovo?

E allora, possiamo solo dire che grande è la confusione sotto il cielo.