La nomina difensiva ex art. 96 c.p.p. non necessità di formule sacramentali (di Riccardo Radi)

Difensore di fiducia: l’art. 96 cod. proc. pen. “non costituisce una norma inderogabile, ma tipicamente ordinatoria e regolamentare, suscettibile, pertanto, di una interpretazione ampia ed elastica in bonam partem”.

La Cassazione sezione 2 con la sentenza numero 9914/2024 ha stabilito in tema di nomina del difensore di fiducia, è necessario che l’autorità giudiziaria abbia la certezza della riferibilità alla parte della volontà di avvalersi del professionista incaricato, la prova della quale può inferirsi anche da comportamenti concludenti idonei a documentare l’esistenza di un rapporto fiduciario.

In motivazione, la Suprema Corte ha precisato che la disposizione di cui all’art. 96 cod. proc. pen. ha natura di norma ordinatoria e regolamentare, suscettibile di interpretazione in “bonam partem“, in conformità al principio del “favor defensionis“.

La Cassazione ritiene condivisibile il prevalente e più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui in tema di formalità per la nomina del difensore l’art. 96 cod. proc. pen. non costituisce una norma inderogabile, ma tipicamente ordinatoria e regolamentare, suscettibile, pertanto, di una interpretazione ampia ed elastica in bonam partem, con la conseguenza che i comportamenti concludenti idonei a documentare la riferibilità della nomina all’imputato costituiscono elementi sintomatici dell’esistenza di un rapporto fiduciario tra lo stesso imputato e l’avvocato che ha svolto di fatto le funzioni di difensore (tra le tante, Sez. 1, n. 11232 del 18/02/2020, Rv. 278815- 02; Sez. 3, n. 47133 del 24/04/2018, Rv. 274323-01).

In definitiva, per il corretto svolgimento del rapporto processuale, è essenziale che l’autorità giudiziaria acquisisca la certezza che la parte interessata abbia manifestato realmente la volontà di conferire al professionista l’incarico di difenderla.

Non è, invece, essenziale che essa sia espressa, ben potendo ugualmente raggiungere lo scopo una manifestazione tacita di volontà attraverso comportamenti concludenti. In altre parole, in omaggio al favor defensionis, che ispira la disciplina del processo, il termine «dichiarazione» contenuto nell’art. 96 cod. proc. pen., va interpretato estensivamente come «manifestazione di volontà», che può essere espressa o tacita (così, in motivazione, Sez. 3, n. 17056 del 26/172006, Rv. 234188).

Tale ultima affermazione, si ritiene (così, Sez. 1, n. 39235 del 14/3/2014, Rv. 260513), costituisce il logico sviluppo di quanto affermato, sia pure con riferimento ad una tematica in parte diversa, e, precisamente, in tema di nomina del difensore del querelante, da Sez. Un., n. 26549 dell’11/7/2006, Scafi, Rv. 233974 che, in motivazione, ha evidenziato che «se una dichiarazione della parte costituisce – per espresso disposto dell’art. 96, comma 2, cod. proc. pen. – il requisito fondamentale per la validità della nomina del difensore, essa non necessita di formule sacramentali come quelle richieste dall’art. 83 cod. proc. civ. per la procura alle liti e ciò in quanto la disciplina prevista dall’art. 96 cod. proc. pen. si distingue da quella del codice di procedura civile per una maggiore duttilità, conseguente alle differenze tra i due tipi di processo: è, quindi, sufficiente – ai fini della validità della nomina del difensore del querelante – che quest’ultimo abbia chiaramente manifestato, con una sua dichiarazione, la volontà di essere assistito da un determinato avvocato».

Nel caso di specie, secondo quanto si evince dagli atti del procedimento, allegati anche al ricorso – il cui esame è consentito in sede di legittimità, attesa la natura processuale della questione – il Sig. M. aveva nominato l’Avv. L. difensore di fiducia dinanzi ai Carabinieri di G., in sede di escussione ai sensi dell’art. 350 cod. proc. pen. su delega della Procura di Milano, come risulta dal relativo verbale del 5 ottobre 2018, sottoscritto dall’interessato e trasmesso all’autorità giudiziaria delegante; atto di non equivoco tenore circa il conferimento del mandato al professionista.

Inoltre, in virtù di tale nomina, l’Avv. L., nella dichiarata qualità di difensore di fiducia, aveva richiesto in data 3 novembre 2018 il certificato di cui all’art. 355 cod. proc. pen., rilasciato dalla Procura di Milano che nulla aveva obiettato circa la legittimazione del professionista a presentare istanza in nome e per conto del M., in relazione al procedimento in fase di indagine.

Una sequenza, quella appena descritta, certamente idonea a configurare una chiara manifestazione di volontà dell’imputato in ordine alla nomina del suddetto difensore di fiducia, al quale doveva essere, quindi, notificato l’avviso di conclusione delle indagini, ai sensi dell’art. 415 cod. proc. pen.

La nullità del decreto di citazione a giudizio per l’omessa notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari al difensore di fiducia è a regime intermedio e, pertanto, deve essere eccepita prima della deliberazione della sentenza di primo grado (Sez. 6, n. 2382 del 28/12/2017, dep. 2018, Rv. 272025-01).

In ossequio a tale principio, il ricorrente ha eccepito tale nullità tempestivamente, in sede di udienza preliminare, riproponendo l’eccezione nel corso del dibattimento di primo grado; a seguito del rigetto del tribunale, ha formulato specifico motivo di appello che la corte territoriale ha disatteso, sulla base di una lettura, come evidenziato, non condivisibile – ancorché accredita in giurisprudenza – dell’art. 96 cod. proc. pen., secondo cui la nomina del difensore di fiducia è atto formale che non ammette equipollenti, per la validità del quale è necessaria l’osservanza delle prescrizioni di cui ai commi 2 e 3 della norma.