Bancarotta fraudolenta per distrazione mediante scissione di società (di Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 5^, sentenza n. 10163/2024, udienza del 13 febbraio 2024, integra il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione la scissione di società, successivamente dichiarata fallita, mediante conferimento dei beni costituenti l’attivo alla società beneficiaria, qualora tale operazione, sulla base di una valutazione in concreto che tenga conto della effettiva situazione debitoria in cui operava l’impresa al momento della scissione, si riveli volutamente depauperativa del patrimonio aziendale e pregiudizievole per i creditori nella prospettiva della procedura concorsuale (Sez. 5, n. 42272 del 13/06/2014, Rv. 260393; Sez. 5, n. 13522 del 21/01/2015, Rv. 262964). In particolare è destituita di fondamento la doglianza di violazione di legge ancorata all’asserita esclusione del carattere distrattivo dell’operazione di scissione, in quanto legalmente assistita dal vincolo di solidarietà della società beneficiaria per i debiti della società scissa, previsto dall’art. 2506 quater c.c. e, quanto ai dipendenti, dall’art. 2112 cod. civ.

È fuor di dubbio che l’operazione societaria di scissione sia regolarmente disciplinata dall’art. 2506 c.c. e ss., in termini che consentono anche, come segnatamente disposto dall’art. 2506 bis, comma 2, l’assegnazione alla società beneficiaria dell’intero patrimonio della società scissa; e che, come osservato in altra occasione dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 5, n. 10201 del 18/01/2013, Rv. 254788), l’ordinamento preveda tutele per i creditori della società scissa, da un lato con la possibilità di opposizione degli stessi al progetto di scissione, e dall’altro con la previsione della responsabilità della società beneficiaria, nei limiti del suo patrimonio netto, per gli elementi del passivo non assegnati, ai sensi dell’art. 2506 bis, comma 3, e comunque per i debiti della società scissa dalla stessa non soddisfatti, secondo l’art. 2506 quater, comma 3, cod. civ.

Da tanto non deriva tuttavia una conclusione in termini generali, per la quale la scissione non assumerebbe connotazioni di rilevanza penale in materia fallimentare, con particolare riguardo all’ipotesi della bancarotta fraudolenta per distrazione. Le condotte riferibili a tale ipotesi presentano connotati intrinseci di offensività (Sez. 5, n. 16759 del 24/03/2010, Rv. 246879) nei confronti della garanzia generica che il patrimonio dell’imprenditore, secondo la previsione dell’art. 2740 cod. civ., offre ai creditori, messa in pericolo dalla destinazione di componenti del patrimonio a finalità diverse da quelle inerenti all’attività imprenditoriale (Sez. 5, n. 36629 del 05/06/2003, Rv. 227148).

Tale dimensione di pericolosità, costantemente riconosciuta come tipica dell’offesa propria dei reati di bancarotta (Sez. 5, n. 12897 del 06/10/1999, Rv. 214860; Sez. 5, n. 11633 dell’08/02/2012, Rv. 252307; Sez. 5, n. 3229 del 14/12/2012, Rv. 253932), assume, per effetto della previsione di punibilità del fatto a seguito dell’intervento della dichiarazione di fallimento o degli altri provvedimenti alla stessa a tali fini equiparati, il contenuto effettivo del pericolo che, nell’eventualità dell’intervento della procedura concorsuale, il soddisfacimento per quanto possibile delle pretese creditorie, a cui la stessa è funzionale, sia pregiudicato dalla pregressa e indebita diminuzione patrimoniale (Sez. 5, n. 1354 del 07/05/2014). E tanto prescinde dall’eventuale, astratta riconducibilità della condotta ad una categoria di atti gestionali leciti e disciplinati dall’ordinamento. Ciò che rileva, in altri termini, è che una determinata operazione, per le modalità con le quali è stata realizzata, si presenti come produttiva di effetti immediatamente e volutamente depauperativi del patrimonio (connotazione che distingue la fattispecie della bancarotta fraudolenta per distrazione da quella della bancarotta semplice per compimento di operazioni manifestamente imprudenti di cui alla L. Fall., art. 217, comma 2, n. 2, v. Sez. 5, n. 15850 del 26/06/1990, Rv. 185886; Sez. 5, n. 6462 del 04/11/2004, dep. 2005, Rv. 231394) e in prospettiva pregiudizievoli per i creditori laddove si addivenga a una procedura concorsuale. Orbene, come pure già rilevato dalla Suprema Corte (Sez. 5, n. 1597 del 28/11/2013), le descritte tutele normative per la posizione dei creditori, rispetto agli effetti della scissione, risultano inidonee ad escludere interamente il danno o quanto meno il pericolo per le ragioni dei creditori della società scissa, nel caso in cui venga dichiarato il fallimento di quest’ultima. Se è vero infatti che ai creditori è riconosciuto il diritto di rivalersi sui beni conferiti alle società beneficiane, che rimangono obbligate per i relativi debiti, è vero altresì che un pregiudizio per gli stessi è comunque ravvisabile nella necessità di ricercare detti beni. Ma, soprattutto, all’esito di tale ricerca i creditori potranno trovarsi nella condizione di dover concorrere con i portatori di crediti nel frattempo maturatisi nei confronti delle società beneficiarie, con la concreta possibilità che tanto riduca le possibilità di un effettivo soddisfacimento delle loro pretese (Sez. 5, n. 20370 del 10/04/2015, Rv. 264078 – 01; Sez. 5, n. 27930 del 01/07/2020, Rv. 279636 – 02).