Il riconoscimento di un’attenuante comune o speciale non comporta necessariamente anche l’applicazione delle attenuanti generiche (di Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 3^, sentenza n. 10239/2024, udienza del 29 febbraio 2024, ha chiarito che, in tema di circostanze attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Rv. 259899).

Del resto, premesso che in tema di attenuanti generiche, la meritevolezza dell’adeguamento della pena, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni del fatto o del soggetto, non può mai essere data per presunta, ma necessita di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio (Sez. 1, n. 46568 del 18/05/2017, Rv. 271315), quando la relativa richiesta non specifica gli elementi e le circostanze che, sottoposte alla valutazione del giudice, possano convincerlo della fondatezza e legittimità dell’istanza, l’onere di motivazione del diniego dell’attenuante è soddisfatto con il solo richiamo alla ritenuta assenza dagli atti di elementi positivi su cui fondare il riconoscimento del beneficio (Sez. 3, n. 9836 del 17/11/2015, dep. 2016, Rv. 266460).

Nel caso di specie, con l’appello l’imputato si era doluto dell’immotivato mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche da parte del primo giudice, invocate “al fine di adeguare la pena alla concreta entità del fatto ed alla personalità del reo”, nonché “per la pronta e proficua collaborazione con la magistratura” – indice di seria resipiscenza – e “per il buon comportamento processuale”.

La sentenza impugnata – reputa il Collegio – ha confermato la decisione del primo giudice con una motivazione corretta in diritto e non contraddittoria, né illogicamente argomentata.

La sentenza premette che l’attenuazione sanzionatoria connessa alla diminuente in parola «deve essere ancorata a precisi profili ambientali e comportamentali della vicenda, considerata nel suo complesso ed incastonata in un peculiare ambito cronologico, spaziale e storico, o anche ad aspetti della personalità del reo che lo rendano concretamente meritevole di attenuazione del rigore sanzionatorio». Applicando il riportato principio – corretto ed in linea con gli enunciati ermeneutici predicati in materia – essa valuta sfavorevolmente «la vita anteatta dell’imputato», reputando tale dato già sufficiente ad escludere il riconoscimento dell’invocato beneficio, ed aggiunge che nello stesso senso depongono «le modalità della condotta poste in essere dall’imputato…sintomatiche di una spiccata propensione a delinquere dello stesso, tenuto conto in particolar modo del coinvolgimento di altri soggetti, del collegamento con questi ultimi e della sussistenza di una forma di organizzazione».

La motivazione, dunque, non è contradditoria, né insufficiente, avendo il giudice di merito – nella sua libera discrezionalità, in questa sede non sindacabile – ritenuto di dare prevalenza agli elementi concernenti la gravità del reato e, nell’ambito della valutazione della capacità a delinquere, ai precedenti penali ed alla condotta anteatta. È ben vero che non è stata valutata la condotta susseguente al reato – di cui, in altra parte, la sentenza dà conto, riferendo dell’importante collaborazione data dall’imputato all’accertamento dei fatti ascritti a sé medesimo come ad altri – ma, alla luce degli enunciati principi e di quanto immediatamente di seguito si dirà, la ritenuta soccombenza, nel complessivo giudizio, di quei pochi aspetti favorevoli della condotta susseguente al reato che già non sono stati presi in considerazione per riconoscere la circostanza attenuante di cui all’art. 73, comma 7, T.U. Stupefacenti, non presta il fianco a critiche in sede di legittimità.

Occorre considerare, infatti, che la positiva condotta resipiscente e collaborativa successiva al reato è stata autonomamente valorizzata, e premiata, per riconoscere la circostanza attenuante ad effetto speciale da ultimo richiamata ed i profili di cui in ricorso si lamenta l’omessa considerazione sono sostanzialmente riconducibili a quest’ultima.

Si rileva, a tale proposito, che l’art. 62-bis, primo comma, cod. pen. individua le circostanze attenuanti generiche che possono essere prese in considerazione dal giudice al fine di diminuire la pena innanzitutto con una definizione in negativo rispetto alle circostanze attenuanti comuni già considerate dal legislatore: «il giudice, indipendentemente dalle circostanze previste nell’articolo 62, può prendere in considerazione altre circostanze diverse…», donde l’affermato carattere residuale, atteso che con tale disposizione si è introdotta nel sistema penale la possibilità di valutare, ai fini della graduazione della pena, elementi e circostanze non espressamente previsti e tipizzati che solo per questa via trovano accesso nel sistema (Sez. 4, n. 2288 del 29/01/1998, Rv. 210396). L’art. 62-bis, primo comma, cod. pen. aggiunge che la circostanza residuale «può anche concorrere con una o più delle circostanze indicate nel predetto articolo 62».

Posto che il riferimento fatto dalla norma alle circostanze attenuanti comuni di cui all’art. 62 cod. pen., stante la chiara valenza di principio generale, ben può essere esteso alle diminuenti previste da altre disposizioni, da esso si ricava l’ontologica differenza e l’autonomia concettuale tra le circostanze attenuanti comuni (o speciali) e quelle generiche di cui all’art. 62-bis cod. pen., con l’inevitabile conseguenza che laddove sussistano elementi che integrano le diverse ipotesi circostanziate le stesse concorrono, mentre se i fattori considerati sono idonei ad integrare una circostanza attenuante comune o speciale si deve comunque ritenere la sussistenza di quest’ultima, quand’anche – secondo una tesi non incontroversa – i medesimi elementi possano magari essere valorizzati, in un complessivo giudizio che deve tuttavia necessariamente prendere in considerazione ulteriori elementi non ancora valutati, pure al fine di concedere le circostanze attenuanti generiche.

Ed invero, dalla giurisprudenza di legittimità sul punto, affermata a proposito del rapporto tra le circostanze attenuanti generiche e la circostanza attenuante ad effetto speciale oggi codificata nell’art. 416-bis.1, terzo comma, cod. pen. – con riguardo all’ipotesi del ravvedimento attuoso assai simile, per struttura, a quella prevista dall’art. 73, comma 7, T.U. stup. – emerge una linea interpretativa maggioritaria giusta la quale gli elementi posti a fondamento dell’attenuante ad effetto speciale non possono essere utilizzati per giustificare anche il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche (Sez. 1, n. 7184 del 15/11/2022, dep. 2023, Rv. 284374; Sez. 6, n. 43890 del 21/06/2017, Rv. 271099; Sez. 6„ n. 49820 del 05/12/2013, Rv. 258136).

Trattandosi di circostanze che si fondano su distinti e diversi presupposti, la ricorrenza dell’una non esclude, ma non necessariamente implica, il riconoscimento anche dell’altra (Sez. 2, n. 27808 del 14/03/2019, Rv. 276111-02). Anche secondo l’orientamento giusta il quale gli elementi costitutivi di una circostanza attenuante, comune o speciale, possono essere valutati pure ai fini del più ampio giudizio che concerne il riconoscimento delle attenuanti generiche di cui all’art. 62 bis cod. pen. (Sez., 3, n. 10084 del 21/11/2019, dep. 2020, Rv. 278535; Sez. 1, n. 9950 del 06/05/1994, Rv. 199739), è tuttavia necessario che queste ultime si giustifichino per qualche ragione ulteriore rispetto alla valutazione dei favorevoli elementi già considerati ai fini della prima, essendo invece consentito disattendere la richiesta quando l’elemento favorevole già valutato (per l’integrazione di altra attenuante, ovvero di una figura criminosa di minor gravità) costituirebbe la preponderante ragione per sorreggerne il riconoscimento (cfr., con riguardo al rapporto con la fattispecie di reato di lieve entità di cui all’art. 73, comma 5, T.U. stup., Sez. 3, n. 31832 del 04/05/2018, Rv. 273763). Per quanto sopra osservato, è quel che è accaduto nel caso di specie.