Delitto di bancarotta fraudolenta impropria e società interamente partecipata da un Comune: condizioni per la responsabilità del Sindaco (di Riccardo Radi)

La Cassazione sezione 5 con la sentenza numero 7723/2024, in tema di reati fallimentari, ha affermato che un sindaco non risponde del delitto di bancarotta fraudolenta impropria derivante da operazioni dolose poste in essere da una società interamente partecipata dal comune per effetto della sola qualifica di legale rappresentante dell’ente pubblico, posto che, nel caso in cui non vi sia prova della sua qualità di amministratore di fatto della società partecipata, la sua responsabilità sarà configurabile solo in qualità di “extraneus”, concorrente nel reato, a condizione che sia dimostrato lo specifico contributo fornito al legale rappresentante della società.

La Suprema Corte rileva che la sentenza impugnata ha inoltre correttamente richiamato i principi fissati dalla giurisprudenza civile della cassazione che a seguito di una lunga e complessa elaborazione – nell’affermare che la società di capitali con partecipazione in tutto o in parte pubblica è assoggettabile al fallimento in quanto soggetto di diritto privato agli effetti dell’art. 1 L. fall. – ha delineato, per quanto di specifico interesse, il rapporto esistente tra l’ente pubblico socio unico e la società interamente partecipata.

AI riguardo le Sezioni unite civili hanno chiarito che la società per azioni con partecipazione pubblica non muta la sua natura di soggetto di diritto privato solo perché il Comune ne possegga, in tutto o in parte, le azioni: il rapporto tra società ed ente locale è di assoluta autonomia, al Comune non essendo consentito incidere unilateralmente sullo svolgimento del rapporto medesimo e sull’attività della società per azioni mediante l’esercizio di poteri autoritativi o discrezionali, ma solo avvalendosi degli strumenti previsti dal diritto societario, da esercitare a mezzo dei membri di nomina comunale presenti negli organi della società. (S. U. civ. n.7799 del 15/04/2005, Rv. 580283 – 01).

La giurisprudenza successiva, in applicazione dei principi suindicati, ha ribadito che la posizione dell’ente pubblico è unicamente quella di socio in base al capitale conferito, senza che gli sia consentito influire sul funzionamento della società avvalendosi di poteri pubblicistici, né detta natura privatistica della società è incisa dall’eventualità del cd. “controllo analogo”, mediante il quale l’azionista pubblico svolge un’influenza dominante sulla società, così da rendere il legame partecipativo assimilabile ad una relazione interorganica che, tuttavia, non incide affatto sulla distinzione sul piano giuridico-formale, tra Pubblica Amministrazione ed ente privato societario, che è pur sempre centro di imputazione di rapporti e posizioni giuridiche soggettive diverso dall’ente partecipante. (Sez.1 civ., n. 5346 del 22/02/2019, Rv. 653095).

Più precisamente “[..]La relazione interorganica determinata dal cd. controllo analogo non incide sull’alterità soggettiva dell’ente societario nei confronti dell’amministrazione pubblica: i due enti – quello pubblico e quello privato societario – restano distinti sul piano giuridico-formale, in quanto la società in house rappresenta pur sempre un centro di imputazione di rapporti e posizioni giuridiche soggettive diverso dall’ente partecipante.(..) Resta intatta la considerazione, però, che nell’ambito dell’ordinamento nazionale (che solo rileva ai fini specifici) non è prevista – per le società in house così come per quelle miste – alcuna apprezzabile deviazione rispetto alla comune disciplina privatistica delle società di capitali, nel senso che la posizione dei comuni all’interno della società è unicamente quella di socio in base al capitale conferito. Donde soltanto in tale veste l’ente pubblico può influire sul funzionamento della società, avvalendosi non di poteri pubblicistici ma dei soli strumenti previsti dal diritto societario, da esercitare a mezzo dei membri presenti negli organi della società [..]” (Sez.1 civ., n. 5346 del 22/02/2019, cit.)

Tali indicazioni sono state riaffermate nell’ambito dell’ampio dibattito dottrinario e giurisprudenziale sulle società a partecipazione pubblica ed in particolare su quelle di gestione dei servizi pubblici locali affidatarie di servizi “in house providing” evidenziando che in tema di reddito d’impresa, la società “in house providing” anche sotto il profilo fiscale è centro autonomo di imputazione di rapporti e posizioni giuridiche soggettive rispetto all’ente locale che su di essa esercita il cd. “controllo analogo”, con conseguente sussistenza di autonomo titolo giuridico per dedurre i costi e detrarre l’IVA in relazione a contratti dalla stessa stipulati, operando essa come società di diritto privato. (Sez. 5 civ., n. 21658 del 29/07/2021, Rv. 661900).

Di recente la cassazione (Sez. trib. n.7646 del 03/04/2023, non mass.), nel considerare soggetto passivo ai fini dell’applicazione dell’IVA una società interamente partecipata dall’ASL, ha ribadito che il rapporto di sostanziale autonomia tra la società e l’ente locale non viene meno in caso di società cd. in house providing in funzione dell’esistenza di un controllo analogo dell’ente: il controllo che consente all’azionista pubblico di svolgere “un’influenza dominante” sulla società, se del caso attraverso strumenti derogatori rispetto agli ordinari meccanismi di funzionamento, non incide sull’alterità soggettiva della società rispetto all’amministrazione pubblica “[..] in quanto la società in house rappresenta pur sempre un centro di imputazione di rapporti e posizioni giuridiche diverso dall’ente partecipante[..]“; la circostanza che le società interamente partecipate risultino affidatarie di servizi d’interesse pubblico o gestiscano beni di natura demaniale non crea un rapporto di immedesimazione tra l’ente territoriale e le stesse (Sez. 1 civ., Ord. n. 8794 del 28/03/2023, Rv. 667470 quanto alla assoggettabilità di tali società alla procedura concorsuale).

La sentenza impugnata ha operato buon governo dei principi ora richiamati evidenziando che il Sindaco, quale legale rappresentante del Comune socio unico, era in rapporto di alterità rispetto al Consiglio di amministrazione della società partecipata: nella sua veste di legale rappresentante del Comune socio, non era titolare di poteri impeditivi dell’evento dedotto in imputazione.

Non è ravvisabile una responsabilità penale del Sindaco sulla base della mera qualifica rivestita e della coincidenza di legale rappresentante del Comune socio unico della società in house e di rappresentante dell’Ente locale: se non vi è la prova della sua qualità di amministratore di fatto della società partecipata, la sua responsabilità sarà configurabile solo quale extraneus concorrente nel reato a condizione che sia dimostrato in concreto il contributo specifico dallo stesso fornito al legale rappresentante della società.