Ancora un caso di sentenze “senza giudizio”: la decisione pre-compilata di Firenze (di Vincenzo Giglio e Riccardo Radi)

Vari organi di stampa (tra gli altri, Il Dubbio, a questo link) hanno dato notizia di un infortunio – chiamiamolo per ora così – verificatosi in un processo.

La città è Firenze, il luogo è un’aula giudiziaria, il contesto è un processo celebrato nei confronti di una persona accusata di maltrattamenti, lo stimolo viene da un avvocato che sfoglia il fascicolo dibattimentale, il fatto è che dentro ci trova un dispositivo già pronto con la decisione di condanna (per di più a cinque anni e sei mesi di reclusione, mica poco) sebbene non ancora sottoscritto dal presidente del collegio, l’infortunio è che quella decisione non dovrebbe ancora esserci perché le parti non hanno ancora discusso e la camera di consiglio finale è conseguentemente di là da venire.

Seguono gli eventi prevedibili: il difensore chiede ai giudici fiorentini di astenersi, i giudici accolgono il suo invito e si astengono, la presidente del tribunale accoglie l’astensione e chiede spiegazioni al presidente del collegio, il processo viene rinviato, la locale Camera penale si indigna e protesta e lo stesso fa l’UCPI con un vibrante comunicato (lo si può leggere a questo link).

Abbiamo esordito parlando di un infortunio ma avvertendo che si trattava di una definizione provvisoria.

Per classificarlo come tale occorrerebbe poter dire che si è trattato in primo luogo di un errore e poi di un caso isolato.

Pare invece di poter dire che l’evento verificatosi a Firenze non sia né l’uno né l’altro.

Sarebbe stato infatti legittimo parlare di una semplice sciatteria se il difensore avesse trovato un foglietto di appunti o una vera e propria scheda riepilogativa dell’iter processuale: censurabili anch’essi per essere stati lasciati lì dove non dovevano stare ma nessuno avrebbe potuto attribuire ad atti del genere la valenza di una decisione anticipata.

Un dispositivo completo in ogni sua parte (fatta eccezione per la sottoscrizione presidenziale) è tutt’altra cosa: significa che una decisione si è già prospettata come convincente, talmente convincente da avere incluso non solo l’esito di condanna ma perfino il quantum di pena da infliggere; e significa pure che questa decisione è stata nutrita esclusivamente dalle valutazioni di uno o più dei componenti del collegio, negando per ciò stesso qualsiasi valore al futuro contributo delle parti processuali.

Non un errore quindi ma un progetto avanzato di sentenza maturato quando non era ancora arrivato il momento processuale fisiologicamente riservato alla decisione, cioè la camera di consiglio finale.

Può essere almeno un fatto isolato?

Non ci risultano altri casi a Firenze né possiamo fare illazioni su ciò che avrebbe scoperto l’ignaro avvocato se, oltre al fascicolo di suo immediato interesse, avesse curiosato anche negli altri fascicoli dell’udienza.

Ci risultano invece casi perfettamente sovrapponibili verificatisi in passato nelle sedi giudiziarie di Venezia, Napoli e Asti.

Avevamo raccontato il caso veneziano nella sezione Gran Bazar della rivista Percorsi Penali di cui siamo stati entrambi condirettori.

Lo riproponiamo tale e quale adesso così che se ne possa apprezzare la similitudine a quello fiorentino.

Il suo titolo era “Pre-giudizi veneziani“, segue il testo in corsivo.

Per non trascurare nulla riportiamo anche la citazione d’apertura.

Sono invece omesse le note che riportavano a documenti allegati all’articolo: chi volesse consultarle può leggere lo scritto nella sua versione originale, a questo link.

Ed infine, chi volesse documentarsi anche sul caso napoletano, può farlo leggendo “Sentenze pre-compilate: le sentenze senza giudizio di Venezia e Napoli”, pubblicato su Filodiritto e consultabile a questo link.

Nelle corti superiori si può fare sfoggio

della propria eloquenza, della propria scienza,

della propria voce e della propria abilità:

quattro mezzi ugualmente necessari

affinché un avvocato, a Venezia, sia di primo rango

C. Goldoni, Memorie, Libro I, cap. XXIV

Venezia, una citta sospesa che regala emozioni e sorprese.

Nel luglio di quest’anno in un’afosa giornata tra calli assolate e deserte comincia una strana storia: un avvocato riceve una PEC dagli uffici della cancelleria della Corte d’appello lagunare ed ecco che …

I fatti

È l’8 luglio 2020.

L’Unione delle camere penali del Veneto invia una nota ai capi degli uffici giudiziari di vertice del distretto di Venezia.

La nota segnala insolite circostanze avvenute due giorni prima nel corso di un’udienza tenuta dinanzi alla prima sezione penale della Corte di appello di Venezia.

Un difensore afferma di avere ricevuto tre giorni prima via PEC la sentenza del processo in cui esercita la sua funzione difensiva e precisa che si tratta di una decisione di rigetto dell’appello proposto nell’interesse del suo assistito.

Ad altri difensori vengono consegnate copie delle relazioni predisposte dal consigliere relatore che tuttavia, anziché limitarsi a una riassunzione dei motivi di appello, assumono la forma di una vera e propria sentenza completa di dispositivo e motivazione.

Il presidente della Corte di appello, primo destinatario della nota, si attiva rapidamente e chiede e ottiene dal presidente della prima sezione penale i verbali di udienza e la documentazione allegata dei giudizi ai quali è riferita la segnalazione dell’organismo forense.

Il capo della Corte risponde infine all’Unione delle camere penali venete trasmettendole il medesimo materiale ricevuto.

Dall’esame dei citati verbali si ricava che l’anomalia segnalata dall’Unione ha riguardato sette procedimenti penali, tutti pendenti da molti anni sul ruolo della prima sezione penale (i più recenti risalgono al 2011).

Risulta confermato che in uno dei procedimenti (identificato dal n. 3423/2010 R. G. Appello) il difensore ha ricevuto prima dell’udienza, via PEC, un documento quasi interamente assimilabile ad una sentenza, fatta eccezione per l’assenza di sottoscrizione del presidente del collegio e dell’estensore.

È ugualmente confermato che in tutti gli altri sei procedimenti la relazione scritta predisposta dal relatore ha la forma di una sentenza.

Emerge inoltre che in tutte le cosiddette “relazioni” il collegio decidente assegna al relatore un termine di 60 giorni per il deposito della motivazione benché questa sia già contenuta interamente o quasi negli atti predisposti dal relatore.

Risulta infine che tutti i procedimenti interessati sono stati rinviati preliminarmente all’udienza del 21 gennaio 2021 all’esplicito scopo di sostituire il relatore poiché, avendo costui espresso “elementi di valutazione anticipatori della decisione”, la sua presenza nel collegio che deciderà i giudizi interessati è diventata inopportuna.

Le parole

Nella sua nota di risposta alla segnalazione dell’Unione, il presidente della Corte di appello assimila le relazioni “incriminate” a “un progetto di schema di deliberazione che il relatore avrebbe eventualmente potuto sottoporre alla consueta discussione in camera di consiglio, in esito alla discussione in aula”.

In una missiva inviata al quotidiano locale Il Gazzettino, lo stesso presidente aggiunge: “Nessuna sentenza già scritta, ma una semplice bozza di ipotesi di decisione, predisposta dal giudice relatore sulla base di uno schema predisposto dal CSM e consentito dalla Cassazione”.

Dichiarazioni di uguale tenore sono state rese da uno dei presidenti di sezione della Corte lagunare il quale ha affermato che le motivazioni pre-compilate “non si sottrarrebbero al ripensamento collegiale ma contribuirebbero, se condivise, ad implementare l’efficienza produttiva della Corte”.

Di segno totalmente opposto l’opinione dell’Unione delle camere penali italiane, sintetizzata così dal suo presidente nazionale: “Quelle trasmesse per errore ai difensori sono sentenze scritte e definite in ogni dettaglio, e sono quelle che riceveranno al cento per cento il timbro definitivo del depositato in cancelleria. Punto. […] Alle corte: qui il problema è accertare ora in quale misura quel “metodo” appartenga anche ad altre Corti di Appello. Da tempo la Magistratura italiana spinge per ridurre l’appello ad un processo scritto. Ogni proposta è legittima, e non ci siamo mai sottratti al confronto di idee sulla necessità di risolvere la cronica inefficienza del nostro processo penale, purché si ripristini senza equivoci una inderogabile regola democratica: le riforme le decide il Parlamento, non se le scrive per proprio conto la Magistratura, ora con interpretazioni creative delle norme, ora addirittura con circolari o -peggio ancora- prassi organizzative degli uffici. Questa vicenda veneziana è l’occasione imperdibile per fare chiarezza su questo punto. La sovranità legislativa è del Parlamento, la Magistratura si limiti a rispettare e ad applicare le leggi, anche quelle che non le piacciono e che non condivide. Ancora una volta, è in gioco l’equilibrio tra poteri dello Stato. Quanto all’efficientismo, la Magistratura italiana farebbe bene a riflettere approfonditamente sulla disastrosa paralisi degli Uffici Giudiziari che amministra, invece di trastullarsi in micidiali “metodi” di organizzazione della giurisdizione che letteralmente sovvertono la forza vincolante delle leggi, cioè la essenza stessa della nostra vita democratica”.

Le opinioni

Solo innocenti e niente affatto impegnativi schemi preliminari?

Può essere, tutto può essere.

Ma se così fosse non si comprenderebbe perché tutti i procedimenti penali ai quali si riferiscono quegli schemi siano stati rinviati preliminarmente dal collegio d’udienza sul presupposto di un comportamento inusuale del relatore che ha espresso valutazioni impegnative nel merito prima e al di fuori della sede fisiologica, né si capirebbe perché quel comportamento sia stato giudicato così grave da rendere opportuna una parziale modifica del collegio, con la rimozione del relatore originario e la sua sostituzione con altro giudice.

Collegi pronti a ribaltare le decisioni proposte dal relatore?

Anche questo è possibile ma non si dovrebbe sottovalutare la formidabile forza inerziale delle scelte già fatte e la fisiologica difficoltà degli esseri umani ad ammettere gli errori e correggerli.

La pre-compilazione delle sentenze fa sì che un ambito di dibattito libero, come deve essere la camera di consiglio, corra il rischio di diventare il suo contrario, una sede di ratifica di decisioni raggiunte e giustificate prima.

Schemi avallati dal Consiglio superiore della Magistratura e approvati dalla Corte di Cassazione?

Non sembrerebbe proprio.

È certamente vero che il CSM, di comune intesa con il CNF (Consiglio nazionale forense), ha emanato linee guida in materia di esame preliminare delle impugnazioni e modalità stilistiche di redazione dei provvedimenti, ma non ha mai avallato la stesura anticipata di sentenze complete di dispositivo e motivazione redatte addirittura prima dell’inizio del giudizio di appello né ha mai autorizzato il loro redattore ad indicare un termine di deposito della motivazione superiore a quello ordinario sul falso presupposto di una motivazione ancora da scrivere.

È ugualmente vero che anche la Corte di Cassazione e il CNF hanno stipulato protocolli sulla redazione di atti ma ancora una volta non si vede a quale potere o funzione o indirizzo interpretativo la nostra Corte suprema potrebbe attingere per avallare la decisione di cause prima del loro svolgimento.

Comportamenti isolati o prassi diffuse?

In questo scritto si discute di un caso circoscritto.

Un certo giudice in occasione di una certa udienza ha tenuto un certo comportamento.

Si tratta di un giudice senza responsabilità direttive, non legittimato pertanto ad adottare soluzioni organizzative che vadano oltre il suo personale carico di lavoro.

Si prospettano di conseguenza due possibili alternative: che quanto è successo all’udienza del 6 luglio 2020 sia frutto di un’iniziativa solitaria, di un personale metodo di lavoro di quel giudice; che sia invece frutto di una prassi coerente a indicazioni impartite o suggerite da altri giudici cui spetta adottare soluzioni organizzative per ambiti funzionali più vasti o, addirittura, così diffusa da non richiedere alcun concerto con chicchessia.

Il complesso degli elementi di cui si dispone consente anzi impone di accordare preferenza alla seconda opzione.

Ci si riferisce alle dichiarazioni dei magistrati cui spetta, secondo il rispettivo ruolo funzionale, la vigilanza e l’organizzazione del lavoro del relatore di cui è parlato.

Entrambi hanno di fatto avallato la legittimità del suo operato e ne hanno riconosciuto la coerenza a uno schema comportamentale che sarebbe stato indicato come idoneo dall’organo di autogoverno della magistratura e dall’organo giurisdizionale di vertice.

È chiaro allora che entrambi sono consapevoli di quello schema e ne agevolano la diffusione o quantomeno non la ostacolano.

Si può contare su argini istituzionali?

Non sembra, non al momento. Nell’immediatezza della vicenda e del suo clamore mediatico è sembrato che intendessero muoversi secondo le rispettive attribuzioni sia il Ministero della Giustizia che il CSM.

Allo stato, tuttavia, non si ha notizia di alcun evento significativo conseguenziale ad un qualche intervento dei due organi.

Hanno prodotto maggiore efficienza le sentenze pre-compilate?

No, per nulla.

Procedimenti già autonomamente decrepiti con imputazioni da tempo estinte per prescrizione sono stati rinviati di sei mesi.

Hanno migliorato i rapporti con l’Avvocatura?

Non si direbbe proprio.

Hanno prodotto al contrario una diffusa indignazione e alimentato il timore che si stia progressivamente svuotando di significato la funzione delle impugnazioni e il principio del contraddittorio.

Hanno migliorato la reputazione della Magistratura?

Neanche questo si direbbe.

Eventi del genere sembrano fatti apposta, al contrario, per aumentare la sfiducia verso l’ordine giudiziario e la sua capacità di interpretare in senso costituzionalmente orientato il suo altissimo ruolo.

È efficienza quella di cui si parla?

No, è solo la sua scadente imitazione, l’efficientismo. È sciatteria laddove occorrerebbe cura, è indifferenza al destino di esseri umani laddove ci vorrebbero attenzione e scrupolo.

È la negazione dell’impegno che bisogna associare alla giustizia.

Per finire

Chiudiamo con due pensieri che riportano entrambi al teatro.

Ricordiamo la piacevole pièce “Camera di consiglio” scritta dal magistrato veneziano Giancarlo Bagarotto – sicuramente sarà un caso – ove i tre giudici nel ritirarsi nella camera di consiglio dialogano tra di loro.

Presidente: “Certo; e la decisione richiede del tempo. Bisogna farlo passare”.

Giudice: (con ironia). “In modo che la nostra decisione non sembri precostituita”.

Presidente: “Proprio per questo non ho fatto anticipazioni prima di ritirarci. Il collegio deciderà qui e adesso se sia necessario proseguire la camera di consiglio…”.

Pensiamo anche che le speranze del giovane avvocato Carlo Goldoni, fiducioso di potersi mettere in mostra di fronte alla corte superiore con la sola forza del suo intelletto e del suo eloquio, oggi probabilmente rimarrebbero deluse“.

Basta? No, non basta. Perché, se si volesse apprezzare la situazione nella sua reale dimensione, bisognerebbe ampliare di molto questo post parlando delle sentenze fulminee (quelle emesse dopo camere di consiglio durate pochi minuti), delle sentenze minimaliste (ad esempio: “gli atti dimostrano la colpevolezza dell’imputato in ordine al reato ascrittogli” e poi niente più), delle sentenze presuntive (si pensi all’evergreen “non poteva non sapere“), delle sentenze smemorate (quelle che dimenticano di confrontarsi con le proposizioni delle parti), delle sentenze pre-comprensive (quelle che espressamente o implicitamente si fondano sulle cosiddette pre-comprensioni del giudice, note a lui e solo a lui) e di tutte le altre tipologie sperimentate nella prassi.

Va bene così? A noi sembra di no, al contrario ci sembra che casi come quelli di Venezia, Napoli e Asti siano la negazione del giudizio come prodotto del giudice che segue ad un percorso la cui costruzione è avvenuta in modo corale col contributo, ascoltato non ignorato o svilito, di tutte le parti.

Ma, a giudicare dalle reazioni istituzionali o meglio dalla loro assenza, parrebbe che siamo davvero in pochi ad avere questa opinione.