Dichiarazioni del fallito al curatore inserite nella relazione ex art. 33 L.F.: pienamente utilizzabili e non soggette alla disciplina ex art. 63, comma 2, cpp (di Riccardo Radi)

La Cassazione sezione 5 con la sentenza numero 6989/2024 ha ribadito che sono utilizzabili legittimamente i contenuti della relazione del curatore, anche quelli che riportano le dichiarazioni di chi risulti essere colui al quale venga attribuita la responsabilità del reato di bancarotta fraudolenta, quale fallito o amministratore legale della fallita.

Infatti, le dichiarazioni rese dal fallito al curatore non sono soggette alla disciplina di cui all’art. 63, comma 2, cod. proc. pen. – che prevede l’inutilizzabilità di tali dichiarazioni se siano state rese alla autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria da chi, sin dall’inizio, avrebbe dovuto essere sentito in qualità di indagato – in quanto il curatore non appartiene alle categorie indicate da detta norma e la sua attività non può considerarsi ispettiva o di vigilanza ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 220 disp. coord. cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 12338 del 30/11/2017, dep. 2018, Rv. 272664; Sez. 5, n. 46422 del 25/09/2013, Rv. 257584; Sez. 5, n. 13285 del 18/01/2013, Rv. 255062).

Parallelamente, è stata esclusa qualsiasi frizione costituzionale con i paradigmi del diritto di difesa (art. 24 Cost.) e le linee guida del “giusto processo” (art. 111 Cost.) della scelta di consentire la testimonianza del curatore su quanto dichiaratogli dal fallito in sede di procedura fallimentare (Sez. 5, n. 41134 del 15/10/2001, Rv. 220257, che ha richiamato la sentenza della Corte costituzionale n. 136 del 1995).

Secondo i giudici delle leggi, “è sicuramente da escludere che le dichiarazioni destinate al curatore possano considerarsi rese nel corso del procedimento penale, non potendo certo sostenersi che la procedura fallimentare sia preordinata alla verifica di una notitia criminis” (Corte cost. n. 136 del 1995).

Ed infatti, le garanzie procedurali previste in favore dell’indagato per l’assunzione delle prove del procedimento, comprese le prove dichiarative, valgono per gli atti che si compiono all’interno dello stesso procedimento e non all’esterno di esso.

Più di recente, la Cassazione ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 62, 63, 64, 191, 195 e 526 cod. proc. pen. per contrasto con gli artt. 3, 24, 111 e 117 Cost., in relazione agli artt. 6 CEDU, 47, comma 2, e 48 C.D.F.U.E., nella parte in cui non è prevista l’inutilizzabilità processuale delle dichiarazioni rese al curatore nel corso della procedura fallimentare e da questi trasfuse nella propria relazione, posto che il curatore non svolge attività ispettive e di vigilanza, ma, in qualità di pubblico ufficiale, è tenuto a rappresentare nella relazione a  sua firma anche “quanto può interessare ai fini delle indagini preliminari in sede penale”, dando corso all’audizione dei soggetti diversi dal fallito per richiedere informazioni e chiarimenti occorrenti “ai fini della gestione della procedura” (Sez. 5, n. 17828 del 9/2/2023, Rv. 284589).

Ed anche confrontandosi con obiezioni collegate alla tenuta sul piano convenzionale del principio ermeneutico di utilizzabilità piena delle dichiarazioni rese al curatore dal fallito o dal soggetto, che, in prosieguo, sia divenuto imputato nel processo sorto per reati di bancarotta, la Cassazione ha spiegato le ragioni della sua compatibilità con le garanzie previste dalla CEDU, come declinate dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani. Sez. 5, n. 38431 del 17/5/2019, Rv. 277342 ha spiegato, così, che il principio espresso dalla Corte Edu nelle sentenze 17 dicembre 1996, Saunders c. Regno Unito e 27 aprile 2004, Kansal c. Regno Unito, secondo cui il diritto inglese viola l’art. 6 della CEDU nella parte in cui consente l’utilizzo contro il fallito delle dichiarazioni rese al curatore ed ottenute esercitando poteri obbligatori, non è applicabile al diritto nazionale per la diversità dei poteri riconosciuti al curatore dalla legge fallimentare italiana e, di conseguenza, non preclude la possibilità di utilizzare le dichiarazioni rese dal fallito ed inserite nella relazione ex art. 33 legge fallimentare.