Procura generale che ricorre per chiedere l’assoluzione di una condannata: Sogno? No, realtà (di Riccardo Radi)

Una Procura generale della Repubblica ricorre in cassazione per chiedere l’annullamento della sentenza di condanna: quante volte vi è capitato di leggerlo?

Vi racconto in esclusiva l’ennesimo caso di giustizia quanto meno superficiale che vede protagonista una signora, ultraottantenne, incensurata, sottoposta ad amministrazione di sostegno per deterioramento di grave entità delle principali funzioni cognitive, che è stata condannata per truffa informatica consistita nell’inserire sul sito subito.it la vendita di un Apple Watch con tanto di descrizione, e pagamento mediante Postepay.

La donna era chiamata a rispondere: “del delitto p. e p. dall’art. 640 c.p., perché, con artifizi e raggiri, consistiti dell’inserire sul sito internet di e-commerce subito.it l’offerta in vendita di un orologio Apple Watch al prezzo di Euro 215 nel condurre con O.O. le trattative di vendita, nell’ambito delle quali richiedeva, ottenendolo, il versamento della somma di Euro 100 a titolo di anticipo che veniva accreditata mediante l’operazione di ricarica postepay 533…. a lei intestata ed attivata presso gli sportelli della Poste Italiane, induceva in errore O.O., in ordine alla reale disponibilità dell’oggetto posto in vendita, in tal snodo procurandosi l’ingiusto profitto di Euro 100, con pari danni per la parte offesa che nulla otteneva in cambio”.

La sentenza di condanna di primo grado ha trovato conferma in appello e la Signora è stata condannata alla pena di mesi quattro, giorni venti di reclusione ed Euro 133, 00 di multa.

L’interessata è stata fortunata ad incontrare un magistrato che non si ferma alle apparenze e il suo procedimento è giunto in cassazione che dovrà esaminare il ricorso della Procura generale che riportiamo qui di seguito:

Non solo è sconcertante, come ho scritto nelle conclusioni, con quanta superficialità la sentenza (di primo grado) radichi in capo all’imputata una responsabilità che, per le sole qualità soggettive della stessa, avrebbe dovuto suscitare più di solo qualche dubbio e meritato un rigoroso approfondimento, ma è, se possibile, ancora più sconcertante che la Corte d’appello, venendo meno al suo obbligo motivazionale, ma anche di controllo, ha ritenuto di non dare alcuna considerazione agli elementi di grave criticità, tutti ricavabili dagli atti, e alle censure mosse dallo scrivente Procuratore Generale alla sentenza di primo grado.

La Corte di merito si è limitata a dare dato atto di avere acquisito le “conclusioni del Procuratore Generale, che ha chiesto – in riforma della sentenza impugnata – l’assoluzione dell’imputata” ma è di tutta evidenza che non le ha nemmeno lette.

Certamente non ha affrontato alcuno degli argomenti che lo scrivente Procuratore Generale ha, seppur succintamente, tanto apparivano evidenti e fondati, sottoposto all’attenzione della Corte che quindi è incorsa nel vizio della mancanza di motivazione sotto il profilo dell’omessa valutazione delle conclusioni di una parte processuale che, seppur non rientrante in una delle ipotesi di nullità di cui all’art. 178, 1° co., lett. c) c.p.p., rappresenta pur sempre una violazione del contraddittorio. Ignorato, quindi, totalmente il Procuratore Generale, la Corte sì è limitata ad affrontare i motivi di appello del difensore e nel farlo è incorsa nel vizio della motivazione contradditoria e manifestamente illogica.

Il riferimento è soprattutto al primo dei motivi di appello che ha dei punti di contatto con quelli sollevati nelle conclusioni dello scrivente Procuratore Generale.

In merito all’età e alle condizioni soggettive dell’imputata la Corte – dopo aver radicato la responsabilità penale della D.S. nella banale equazione: identità certa + apertura postepay + nessuna denuncia di furto o smarrimento = colpevole – liquida il più che ragionevole dubbio che possa non essere stata proprio lei ad avere materialmente perpetrato la truffa, non foss’altro che la parte offesa aveva interloquito con un uomo, affermando addirittura che, se anche non avesse agito da sola, sarebbe comunque responsabile a titolo di concorso, affermando che a tale fine il fatto che si tratti di una donna ultraottantenne è un dato “neutro”, così come un dato “neutro” è l’amministrazione di sostegno posto che questa è stata aperta solo tre anni dopo i fatti di cui è imputata.

Orbene, a prescindere sull’incertezza dal significato da dare all’aggettivo “neutro” in relazione a due circostanze molto significative se non decisive, è di tutta evidenza come questa motivazione sia del tutto contraddittoria e manifestamente illogica se solo si considera:

1) Che il reato è contestato all’imputata a titolo di responsabilità diretta e non in concorso con terzi; 2) Che l’imputata all’epoca dei fatti aveva 82 anni, un dato tutt’altro che “neutro” dato che è un’età in cui è difficile anche solo pensare che una persona sia in grado, non solo di svolgere in prima persona tutte le attività e le azioni descritte nell’imputazione (“inserire sul sito internet di e-commerce subito.it l’offerta in vendita di un orologio Apple Watch”), ma addirittura di conoscerle, di sapere cosa sia e come funzioni un Apple Watch;

3) Che, se è vero che l’amministrazione di sostegno è stata aperta solo l’1 febbraio 2020, ovvero due anni e otto mesi (non tre anni) dopo la data della commissione del reato, è però anche vero che dal momento in cui si palesa la patologia che rende necessaria un’amministrazione di sostegno, al momento in cui è tale che i familiari si determinano a chiederla, all’instaurazione del procedimento davanti al Tribunale e fino alla conclusione dell’iter giudiziario, passano molti mesi, probabilmente anni.

In altre parole, è altamente inverosimile, e quindi un dato tutt’altro che “neutro”, come D.S. fino al 31 gennaio 2020 sia stata una callida truffatrice per poi il giorno successivo avere bisogno dell’amministrazione di sostegno.

A tale proposito una semplice richiesta alla Cancelleria della Volontaria Giurisdizione del Tribunale di …. avrebbe consentito di accertare come la signora D.S. al momento dell’apertura dell’ADS fosse “affetta da deterioramento di grave entità delle principali funzioni cognitive” quindi in condizioni di incapacità tale da escludere in radice che possa avere inserito sul sito internet di e-commerce subito.it l’offerta in vendita di un orologio Apple Watch al prezzo di Euro 215, avere condotto trattative di vendita, avere richiesto, ottenendolo, il versamento di un anticipo di 100 Euro ed  avere aperto un conto postepay a suo nome.

Certo è davvero preoccupante con quale facilità, dovuta non so se a incuria, a superficialità o altro, ci si può trovare condannati sulla base di poco più del nulla”.

Terzultima Fermata seguirà il giudizio in cassazione e vi terrà informati dell’esito, intanto chapeau al Procuratore generale. Per una volta possiamo dire “meno male che il PG c’è“.