Ogni processo ha la sua stella, lo conferma la Cassazione (Vincenzo Giglio)

Habent sua sidera lites

Tutti i giuristi di una certa età hanno ascoltato o pronunciato la frase “Habent sua sidera lites” la cui traduzione in italiano dà il titolo a questo scritto.

È sempre servita ad esprimere l’imponderabilità del giudizio e l’impossibilità di prevederne razionalmente l’esito.

Calamandrei la contestò con tutta l’indignazione di cui era capace. Nel suo notissimo “Elogio dei giudici scritto da un avvocato” scrisse così: “Chi fu l’inventore del motto comodo e vile habent sua sidera lites, col quale, sotto decoroso manto latino, si vuol dire in sostanza che la giustizia è un giuoco da non prendersi sul serio? Lo inventò certamente un causidico senza scrupoli e senza passione, che voleva con esso giustificare tutte le negligenze, addormentare tutti i rimorsi, scansare tutte le fatiche. Ma tu, o giovine avvocato, non affezionarti a questo motto di rassegnazione imbelle, snervante come un narcotico: brucia il foglio su cui lo trovi scritto; e quando hai accettato una causa che ti par buona, mettiti fervidamente al lavoro colla sicurezza che chi ha fede nella giustizia riesce in ogni caso, anche a dispetto degli astrologi, a far cambiare il corso delle stelle. Per trovar la giustizia, bisogna esserle fedeli: essa, come tutte le divinità, si manifesta soltanto a chi ci crede“.

Quasi un secolo è passato dall’Elogio ed è un tempo sufficiente per affermare che Calamandrei ebbe allo stesso modo ragione e torto: non si sbagliava affermando che la giustizia è roba seria con cui non si dovrebbe scherzare, si sbagliava e anche tanto ritenendo che per farla trionfare bastasse disporre di solide ragioni, studiare con impegno ed esserle fedeli.

Oggi, come sempre, la giustizia conserva rilevanti margini di imprevedibilità che si manifestano non solo nelle grandi questioni di principio ma anche nei dettagli marginali e non risparmiano neanche casi identici rispetto ai quali l’uomo della strada si aspetterebbe soluzioni identiche.

È come se l’attenzione al singolo caso, che pure è dovuta, finisse per esaurire le energie e la capacità di analisi del giudice e gli impedisse pertanto di guardare oltre alla ricerca di una visione più ampia.

Continuando ad usare metafore stellari, bisogna allora dare ragione ad Edgar Allan Poe quando diceva che “Se si guarda troppo fisso una stella, si perde di vista il firmamento“.

Seguirà adesso un esempio che potrebbe servire a dimostrarlo.

Il caso

Pende un procedimento presso una Procura della Repubblica ed è identificato dal n. 0000/00 RGNR [il numero reale è ben diverso, ovviamente].

Su richiesta del PM il GIP emette un decreto di sequestro preventivo.

Una persona fisica e un ente, in quanto terzi interessati, si rivolgono al medesimo avvocato perché chieda il riesame del provvedimento, e a tal fine ognuno di essi rilascia al legale una procura concepita come segue.

In quella rilasciata dalla persona fisica in alto al centro c’è l’intestazione dello studio, nel rigo successivo a sinistra è riportato il numero di RGNR, più sotto di nuovo al centro c’è la dicitura “Nomina di difensore”, segue infine questo testo: “Il sottoscritto xxx, nato a xxx, in qualità di persona titolare di diritto reale nel procedimento in epigrafe, nomina l’Avv. xxx [seguono i riferimenti nominativi del legale] proprio difensore e procuratore speciale in ogni stato e grado del giudizio. Dichiara domicilio presso lo studio del suddetto professionista in xxx. La presente anche ai fini di cui all’art. 335, 3° comma, c.p.p.“. Concludono l’atto la firma dell’interessato e la sua autentica da parte del legale.

La procura rilasciata dall’ente in persona della legale rappresentante è in tutto e per tutto identica a quella precedente, fatta ovviamente eccezione per i riferimenti identificativi dell’interessata.

Sulla base di tale investitura il legale presenta per entrambi gli assistiti la richiesta di riesame, allegando ad ognuna di esse la procura ricevuta.

L’esito è infausto: sia nell’uno che nell’altro caso il tribunale del riesame dichiara inammissibile la richiesta sul presupposto che il difensore non fosse munito di una valida procura speciale.

Il difensore ricorre per cassazione contro le due ordinanze di inammissibilità deducendo lo stesso vizio di violazione di legge in riferimento all’art. 100, cod. proc. pen.

Sostiene che la procura speciale rilasciatagli dagli assistiti, contrariamente al convincimento del TDR, lo legittimava a chiedere il riesame poiché tale atto non richiede particolari formule sacramentali.

Capita che i due ricorsi siano assegnati entrambi alla seconda sezione penale della Suprema Corte ma discussi in differenti udienze e decisi da collegi differentemente composti.

Il primo ricorso, quello nell’interesse dell’ente, messo sul ruolo dell’udienza del 14 novembre 2023, viene deciso da Cassazione penale, Sez. 2^, sentenza n. 50034/2023.

Vi si legge quanto segue: “Il ricorso è manifestamente infondato. Dal controllo degli atti – che la Corte ha potuto visionare stante la natura processuale della questione – risulta che la procura speciale ad impugnare l’ordinanza del Tribunale del riesame è del tutto generica, facendo solo riferimento alla assunzione dell’incarico “in ogni stato e grado del giudizio“.

Ne consegue che il Tribunale ha fatto corretta applicazione del principio di diritto secondo cui, in tema di riesame avverso il decreto di sequestro preventivo la procura speciale, di cui deve essere munito il difensore del terzo interessato a pena di inammissibilità a norma dell’art. 100 cod. proc. pen., deve contenere la chiara manifestazione di volontà di affidare ad un determinato professionista l’incarico di svolgere le difese necessarie alla tutela delle proprie ragioni in quella specifica procedura, senza che sia necessaria l’adozione di formule sacramentali […] Quel che manca nella specie è il riferimento, ineludibile, alla specifica procedura inerente alla impugnazione dell’ordinanza genetica davanti al Tribunale del riesame“.

Il secondo ricorso, quello nell’interesse della persona fisica, messo sul ruolo dell’udienza del 6 dicembre 2023, viene deciso da Cassazione penale, Sez. 2^, sentenza n. 3180/2024 (TF ha commentato di recente questa decisione; il relativo post può essere consultato a questo link).

Vi si legge quanto segue: “Nel caso in esame la procura ritenuta non legittimante l’impugnazione risultava firmata dal ricorrente, con autentica del difensore, riportava il corretto numero di registro delle notizie di reato ed incaricava l’avvocato di svolgere attività defensionale “in ogni stato e grado del giudizio”, indicazione idonea a conferire al difensore la legittimazione processuale denegata dal Tribunale. L’ordinanza impugnata deve, pertanto, essere annullata, con rinvio al Tribunale, sezione per il riesame delle misure cautelari reali, per nuovo esame“.

Uguali la procura speciale ed il ricorso, diametralmente differente l’esito.

Nel primo caso l’esito di inammissibilità per manifesta infondatezza è stato motivato per via dell’assenza nella procura speciale di uno specifico riferimento alla procedura in cui il difensore se ne sarebbe servito.

Nel secondo caso, identico al primo, quell’assenza è stata considerata irrilevante per via della presenza di tutti gli altri elementi identificativi (firma, autentica, numero di RGNR, dicitura “in ogni stato e grado del giudizio“) citati nello stralcio della motivazione che si è riportato poco sopra.

Resta solo da segnalare, prima di passare alle conclusioni, che in entrambe le udienze il collegio era presieduto dallo stesso magistrato.

Il commento

Due casi identici sono stati trattati in modo diverso: questa è la verità essenziale del caso raccontato in questo post.

Non dovrebbe accadere, è ingiusto che accada, ma è accaduto lo stesso.

Si potrebbero elencare le varie possibili ragioni di questo fenomeno ma non si aggiungerebbe nulla che non sia già stato detto molte volte e si sconfinerebbe nella noia.

Si conclude quindi tornando al punto di partenza: ogni processo ha la sua stella e tutto dipende da quella su cui si fissa lo sguardo del giudice.