Durata di dichiarazione ed elezione di domicilio: da illimitata a provvisoria secondo la Cassazione (di Vincenzo Giglio e Riccardo Radi)

Cassazione penale, Sez. 5^, sentenza n. 3118/2024, camera di consiglio del 10 gennaio 2024, segna un’ulteriore tappa del percorso giurisprudenziale attorno al disposto dell’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen., a norma del quale “Con l’atto d’impugnazione delle parti private e dei difensori è depositata, a pena di inammissibilità, la dichiarazione o elezione di domicilio, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio“.

L’occasione è stata offerta dal ricorso di un difensore che ha impugnato la decisione con la quale la Corte territoriale ha dichiarato l’inammissibilità dell’appello dei suoi assistiti per l’omesso deposito di uno dei due atti – dichiarazione o elezione di domicilio – prescritti alternativamente dalla norma.

Il difensore ha motivato il ricorso affermando di avere allegato all’atto di appello l’elezione di domicilio rilasciata dagli interessati al momento della convalida del loro arresto e sostenendo ancora che il testo della norma di riferimento non impone che la predetta elezione debba essere espressamente finalizzata alla notifica del decreto di citazione.

La decisione della Corte di cassazione

Il collegio decidente ha dichiarato inammissibile il ricorso per manifesta infondatezza.

La tesi che ha portato a tale esito è che la dichiarazione/elezione di domicilio deve essere sempre successiva alla sentenza che la parte privata intende impugnare.

Questa certezza deriva in primo luogo dalle modifiche che il d. lgs. n. 150/2022 ha apportato all’art. 164 del codice di rito, mutandone sia la rubrica – prima “Durata del domicilio dichiarato o eletto“, dopo “Efficacia della dichiarazione e dell’elezione di domicilio” – sia il contenuto, attualmente così congegnato: “La determinazione del domicilio dichiarato o eletto è valida per le notificazioni dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare, degli atti di citazione in giudizio ai sensi degli articoli 450, comma 2, 456, 552 e 601, nonché del decreto penale, salvo quanto previsto dall’articolo 156, comma 1“.

Ha un suo rilievo anche il nuovo art. 157-ter, comma 3, cod. proc. pen., a norma del quale “In caso di impugnazione proposta dall’imputato o nel suo interesse, la notifica dell’atto di citazione a giudizio nei suoi confronti è eseguita esclusivamente presso il domicilio dichiarato o eletto ai sensi dell’art. 581, commi -ter e 1-quater“.

Ad avviso del collegio, soprattutto per effetto delle modifiche del citato art. 164 che hanno implicato la cessazione della durata illimitata della dichiarazione o elezione di domicilio, a regime vigente chi voglia impugnare la sentenza di primo grado non può più servirsi, ove esistenti, di dichiarazioni o elezioni di domicilio pregresse poiché non sono più valide in ogni stato e grado del processo: di qui la necessità che nuovi atti di tal genere, rilasciati dopo l’emissione della sentenza da impugnare, siano allegati all’impugnazione: di qui l’erroneità della tesi difensiva espressa nel ricorso.

I giudici di legittimità hanno infine inteso rimarcare la loro condivisione delle precedenti decisioni di varie sezioni penali della Suprema Corte che hanno rigettato questioni di legittimità costituzionale poste in riferimento agli oneri aggiuntivi previsti dai commi 1-ter e 1-quater innestati nell’art. 581 del codice di rito, attestando la ragionevolezza della nuova disciplina, la sua inclusione nella sfera del potere discrezionale del legislatore, la sua palese finalizzazione all’acquisizione della certezza della conoscenza dell’imputato del giudizio celebrato nei suoi confronti, a sua volta indispensabile per scongiurare eventuali successive dichiarazioni di improcedibilità ed assicurare la ragionevole durata del processo.

Note di commento

Abbiamo più volte commentato decisioni di legittimità che si sono misurate con questioni uguali o affini a quella oggetto di questo post e del travaglio interpretativo che pure non è mancato nel dibattito interno alla Suprema Corte.

Abbiamo inoltre dato conto di una proposta di legge a firma dell’On. Calderone ed altri volta ad abolire i due commi di nuovo conio sul presupposto della loro dannosità ed inutilità.

Aggiungiamo adesso che la sentenza qui annotata e le altre simili che l’hanno preceduta propongono una visione consentita dal complesso di norme prese in considerazione e originata dal condivisibile intento di far sì che si proceda solo nei confronti di imputati consapevoli dell’esistenza di un giudizio a loro carico e del suo progressivo dipanarsi in gradi.

Resta dunque una sola domanda: ci sarebbe stato spazio per una visione diversa che, senza necessità di rinnegare il costrutto concettuale che sostiene quella prescelta, valorizzasse di più e meglio dichiarazioni/elezioni che precedono l’emissione della decisione da impugnare e tenesse conto di più e meglio dell’appesantimento degli oneri difensivi implicato dall’interpretazione più restrittiva?

Si sarebbe potuto sostenere che quegli atti pregressi, ovviamente allegati all’atto di impugnazione, confermassero, per il solo fatto di non essere stati smentiti da successive manifestazioni di volontà,  la presunzione di conoscenza cui il legislatore è costretto a ricorrere nell’impossibilità di servirsi sempre e soltanto della notifica a mani proprie?

Si sarebbe potuto ritenere che il difensore che allega all’impugnazione quegli atti stia affermando per fatti concludenti la persistente validità della presunzione di conoscenza e merita fiducia tanto quanto la sua controparte pubblica?

Forse sì, forse no, non siamo in grado di fornire alcuna certezza e del resto il nostro compito è già assolto ponendo domande che, almeno così speriamo, abbiano un senso.

Resta infine un’ultima considerazione ed è questa: in tema di elezione di domicilio e impugnazione il distinguo è se il processo di primo grado si sia tenuto in assenza dell’imputato o in presenza posto che in quest’ultima eventualità la nuova elezione di domicilio non è necessaria come opinato da Cassazione penale, Sez. 2^, sentenza n. 39694/2023; parrebbe dunque discutibile, forse anche fuorviante, presentare come verità universale che l’elezione di domicilio abbia una scadenza.