“Non poteva non sapere”, almeno questa volta la Cassazione dice no (di Riccardo Radi)

La cassazione sezione 2 con la sentenza numero 2885 depositata il 23 gennaio 2024 annulla senza rinvio la sentenza di condanna ad anni 4 e mesi 6 di reclusione per riciclaggio emessa nei confronti dell’amministratore di una società sul presupposto che: “sembra implausibile ritenere che l’imputato non fosse a conoscenza dell’operazione in questione, posta in essere a nome della società da lui amministrata dal socio e zio dell’appellante“.

La Suprema Corte sottolinea che va escluso che l’amministratore formale di una società debba rispondere automaticamente, per il solo fatto della carica rivestita, dei reati commessi da altri soggetti che abbiano operato nell’ambito dell’attività societaria, dovendosi verificare la sua compartecipazione materiale e morale al fatto che potrebbe anche essere sfuggito alla sua cognizione.

In tema, ricordiamo la sentenza della cassazione sezione 5, numero 33582/2022 che ha stabilito il principio di diritto secondo cui, in tema di bancarotta fraudolenta, ai fini della configurabilità del concorso dell’amministratore privo di delega per omesso impedimento dell’evento, è necessario che, nel quadro di una specifica contestualizzazione delle condotte illecite poste in essere dai consiglieri operativi in rapporto alle concrete modalità di funzionamento del consiglio di amministrazione, emerga la prova, da un lato, dell’effettiva conoscenza di fatti pregiudizievoli per la società o, quanto meno, di “segnali di allarme” inequivocabili dai quali desumere l’accettazione del rischio – secondo i criteri propri del dolo eventuale del verificarsi dell’evento illecito e, dall’altro, della volontà di non attivarsi per scongiurare detto evento (Sez. 5, n. 42568 del 19/06/2018, Rv. 273925; Sez. 1, n. 14783 del 09/03/2018, Rv. 272614).

L’enunciato criterio costituisce espressione di condivisibile linea interpretativa, attenta ad evitare che siano pronunciate condanne basate su una responsabilità di posizione ovvero fondate su un rimprovero per colpa anziché per dolo, come richiesto per l’integrazione delle fattispecie di bancarotta di cui agli artt. 216 e 223 LF.

In proposito, è stato chiarito che non è sufficiente la presenza di dati (c.d. segnali d’allarme) da cui desumere un evento pregiudizievole per la società o almeno il rischio della verifica di detto evento, ma è necessario che il consigliere privo di delega ne sia concretamente venuto a conoscenza e sia rimasto volontariamente inerte così avallando le condotte mendaci o distrattive degli amministratori dotati di deleghe (Sez. 5, n. 23000 del 05/10/2012 – dep. 28/05/2013, Rv. 256939).

Tanto perché la sussistenza di fattori di anomalia evidenti, se comporta in chi li colse un chiaro addebito per colpa, finanche grave, non consente di affermare, oltre ogni ragione le dubbio, che l’inerzia, ciò nonostante serbata, da parte di chi sarebbe stato tenuto ad attivarsi – nel caso di specie, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2381, comma 6, e 2392 cod. civ. – sia ex sé espressiva della volontaria adesione all’evento pregiudizievole, rappresentato dalla condotta criminosa altrui, il cui concreto verificarsi si sia affacciato nella prospettiva conoscitiva del soggetto agente che ne abbia accettato il rischio.

Poiché la responsabilità dell’amministratore senza deleghe, a titolo di concorso nel reato di bancarotta fraudolenta degli altri componenti del collegio di amministrazione, non può fondarsi sulla sola posizione di garanzia e discendere, tout court, dal mancato esercizio dei relativi doveri di intervento, postulando, invece, l’esistenza di puntuali elementi sintomatici, dotati del necessario spessore indiziario, dimostrativi di un’omissione esorbitante dalla dimensione meramente colposa ed espressiva, piuttosto, di una volontaria partecipazione alle condotte illecite degli amministratori con delega, nella forma del dolo eventuale, anche il rilievo dell’esistenza di segnali di allarme esige una loro considerazione contestualizzata: ad esempio, non può non essere accompagnato dall’accertamento dell’elaborazione che degli stessi sia stata fatta dal consigliere non operativo, ben essendo possibile che questi li abbia sottovalutati o non adeguatamente percepiti, tanto indirizzando, se del caso, verso un suo comportamento colposo e non certo doloso.

In definitiva, dei segnali di allarme della situazione di squilibrio finanziario e patrimoniale della società occorre effettuare una valutazione alla luce di tutte le circostanze del caso concreto, tale da rendere affidabilmente dimostrato il moto interiore dell’amministratore senza delega, nel senso che egli si sia «rappresentata la significativa possibilità di verificazione dell’evento concreto e ciò nonostante, dopo aver considerato il fine perseguito e l’eventuale prezzo da pagare, si sia determinato ad agire comunque, anche a costo di causare l’evento lesivo, aderendo ad esso, per il caso in cui si verifichi», secondo quanto statuito dal diritto vivente con la sentenza Sez. U, n. 38343 del 24/0412014, Espenhahn e altri.

Alla stregua, pertanto, di tale dictum, la prova del dolo eventuale, anche ai fini della distinzione rispetto alla colpa cosciente, esige la rigorosa dimostrazione del fatto che il soggetto agente si sia confrontato con la specifica categoria di evento che si è verificata nella fattispecie concreta aderendo psicologicamente ad essa e a tal fine l’indagine giudiziaria, volta a ricostruire l’iter” e l’esito del processo decisionale, può fondarsi sugli indicatori fattuali esemplificativamente enucleati dalla Corte di legittimità nella sua più autorevole composizione:

 a) la lontananza della condotta tenuta da quella doverosa;

b) la personalità e le pregresse esperienze dell’agente;

c) la durata e la ripetizione dell’azione;

d) il comportamento successivo al fatto;

e) il fine della condotta e la compatibilità con esso delle conseguenze collaterali;

f) la probabilità di verificazione dell’evento;

g) le conseguenze negative anche per l’autore in caso di sua verificazione;

h) il contesto lecito o illecito in cui si è svolta l’azione nonché la possibilità di ritenere, alla stregua delle concrete acquisizioni probatorie, che l’agente non si sarebbe trattenuto dalla condotta illecita neppure se avesse avuto contezza della sicura verificazione dell’evento] (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Rv. 261105; Sez. 5, n. 23992 del 23/02/2015, Rv. 265306).

Percorso epistemologico, quello delineato, che non può non valere anche nel caso di specie, onde far luce sull’atteggiarsi dell’elemento psicologico dell’amministratore di diritto.