Il diritto di riunione nell’ordinamento penale (di Riccardo Radi)

La cassazione sezione 1 con la sentenza numero 1216/2024 si è soffermata sul diritto di riunione e sulla configurabilità dell’art. 18 R.D. n. 773 del 1931 (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza o TULPS).

La Suprema Corte premette che il diritto di “riunirsi pacificamente e senz’armi” è previsto dall’art. 17 della Costituzione.

Tale disposizione esclude qualunque preavviso alle autorità soltanto per le riunioni che si svolgono in luogo aperto al pubblico.

Il preavviso, invece, “deve essere dato” per le “riunioni in luogo pubblico“, che possono essere vietate soltanto “per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica“.

Tradizionalmente, in assenza di una precisa definizione nella legislazione costituzionale ed ordinaria, si intende per “riunione“, secondo la più accredita Dottrina, “la compresenza volontaria nello stesso luogo di più persone che hanno uno scopo comune ed unità di intenti e che si riuniscono su invito di uno o più promotori o anche senza preventivo accordo“; costituisce, invece, assembramento un raggruppamento di persone in cui ognuno è mosso da motivi autonomi.

Ne segue che rientrano nella nozione di “riunione” non solo le manifestazioni organizzate, le cerimonie, le processioni religiose, i comizi ed i sit-in ma anche i cortei improvvisati o i raggruppamenti di persone sollecitati da un appello estemporaneo.

L’ordinamento penale prende in considerazione il diritto di riunione all’art. 18 del r.d., 19 giugno 1931. n. 773 (T.U.L.P.S.), che testualmente recita: “I promotori di una riunione in luogo pubblico o aperto al pubblico devono darne avviso, almeno tre giorni prima, al Questore.

È considerata pubblica anche una riunione, che, sebbene indetta in forma privata, tuttavia per il luogo in cui sarà tenuta, o per il numero delle persone che dovranno intervenirvi, o per lo scopo o l’oggetto di essa, ha carattere di riunione non privata.

I contravventori sono puniti con l’arresto fino a sei mesi e con l’ammenda da euro 103 a 413.

Con le stesse pene sono puniti coloro che nelle riunioni predette prendono la parola.

Il Questore, nel caso di omesso avviso ovvero per ragioni di ordine pubblico, di moralità o di sanità pubblica, può impedire che la riunione abbia luogo e può, per le stesse ragioni, prescrivere modalità di tempo e di luogo alla riunione.

I contravventori al divieto o alle prescrizioni dell’Autorità sono puniti con l’arresto fino a un anno e con l’ammenda da euro 206 a 413.

Con le stesse pene sono puniti coloro che nelle predette riunioni prendono la parola.

Non è punibile chi, prima dell’ingiunzione dell’Autorità o per obbedire ad essa, si ritira dalla riunione.

Le disposizioni di questo articolo non si applicano alle riunioni elettorali“.

La norma è stata oggetto di tre declaratorie di incostituzionalità della Consulta.

Con una delle sue prime sentenze, la n. 27 del 1958, la Corte costituzionale ha dichiarato la norma incostituzionale, nella parte relativa alle riunioni non tenute in luogo pubblico, con riferimento all’art. 17 della Costituzione.

In seguito, con la sentenza n. 90 del 1970, è stata dichiarata l’incostituzionalità del comma 3 della norma, nella parte in cui non limita la pretesa punitiva a coloro che prendono la parola essendo a conoscenza della omissione del preavviso di cui al comma 1, mentre, con la sentenza n. n. 11 del 1979, la Corte costituzionale è tornata sulla previsione di cui al comma 3, secondo periodo, dichiarandone l’incostituzionalità nella parte in cui prevede l’incriminazione di coloro che prendono la parola in luogo pubblico, pur essendo a conoscenza della omissione del preavviso previsto dal comma 1 della norma.

Dunque, allo stato attuale, l’incriminazione penale è circoscritta ai soli promotori della riunione che omettano di dare avviso al Questore almeno tre giorni prima, e a coloro, ivi compresi gli oratori, che contravvengono al divieto di riunione imposto dal Questore o alle prescrizioni da questi imposte circa le modalità di tempo e di luogo della riunione, ai sensi del comma 4 del citato art. 18.

In conclusione, ciò che rileva per la sussistenza del reato è la riunione di più persone in un luogo pubblico potenzialmente idoneo per qualunque caratteristica a mettere in pericolo la sicurezza o l’incolumità pubblica.

A tale canone ermeneutico si è correttamente conformata la sentenza impugnata che ha valorizzato il numero consistente di partecipanti (circa cinquanta), la peculiare finalità commemorativa condivisa dai presenti con l’esibizione di striscioni, la durata protrattasi per un considerevole lasso temporale (un’ora) anche dopo l’intervento delle Forze dell’ordine, considerando giustificatamente recessivi il luogo e l’orario della manifestazione.