La difesa d’ufficio come componente essenziale del diritto di difesa nel procedimento penale (di Francesco Buonomini e Daniele Caprara)

Difendersi è il principale diritto dell’accusato in sede penale, in virtù di quanto disposto dall’art. 24 comma secondo della Costituzione che sancisce: “La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento“.

Il principio, riconosciuto dagli ordinamenti giuridici moderni, trova conferma nelle previsioni della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (all’art. 6), nel Patto Internazionale dei diritti civili e politici di New York, nella cd. “Carta di Nizza”.

Corollario immediato di tale fondamentale principio è l’istituto della difesa d’ufficio prevista dall’art. 97 c.p.p. al fine di garantire il diritto di difesa in ogni processo a ciascun imputato che non abbia provveduto a nominare un proprio difensore di fiducia o ne sia rimasto privo.

Un obbligo funzionale al diritto inviolabile di avere un difensore che garantisca e tuteli sempre l’imputato.

La figura dell’avvocato, difensore penale, è unica.

Egli può essere incaricato fiduciariamente dalla persona indagata o imputata, oppure, laddove manchi tale conferimento, nominato dall’autorità giudiziaria procedente (quindi dallo Stato), secondo meccanismi di turnazione automatici e prestabiliti (attraverso la consultazione dell’elenco nazionale degli avvocati che siano disponibili ad assumere la difesa di ufficio)

Entrambi, tanto il difensore di fiducia, quanto quello di ufficio, devono essere retribuiti dall’assistito, salvi i casi in cui versi in condizioni economiche tali da poter accedere al patrocinio a spese dello Stato.

Ma, diversamente dal professionista che abbia ricevuto un incarico fiduciario, il difensore d’ufficio ha l’obbligo di prestare il suo patrocinio, non può, salvo giustificato motivo, essere sostituito, rifiutarsi di prestare la propria attività o interromperla, deve garantire la propria reperibilità quando sia inserito nei turni giornalieri.

La difesa d’ufficio, quindi, rappresenta il primo fondamentale baluardo del diritto di difesa nella trincea del processo penale.

Proprio per la sua particolare natura, e contrariamente alla non corretta, e purtroppo diffusa, opinione, essa riveste un’importanza fondamentale.

Essenziale, quindi, emancipare la difesa di ufficio dai luoghi comuni che la relegano ad attività difensiva di serie B, per evitare che l’assistenza si trasformi in una difesa-simulacro, che si limiti a consentire semplicemente la celebrazione del processo senza esplicare attività utili ed efficaci a tutela dell’imputato; intervenendo per garantire la dignità che le deve essere propria; per garantire che la difesa di ufficio sia libera ed effettiva, sempre indipendente dall’ordine giudiziario.

 L’avvocato nominato d’ufficio spesso si trova a svolgere il proprio compito in condizioni di particolare difficoltà, in una situazione di povertà di mezzi e limitato nelle scelte processuali; quasi sempre deve anticipare le spese per le copie degli atti processuali e per tentare un contatto, non sempre semplice, con l’assistito, per raccogliere la sua versione dei fatti e costruire insieme un’efficace strategia.

All’avvocato d’ufficio che non riesca a stabilire un contatto con il proprio assistito, infatti, è precluso non solo l’accesso a riti alternativi, ma anche, più semplicemente, la presentazione di prove a discarico.

A ciò si aggiunga anche l’introduzione dei famigerati commi 1-ter e 1- quater dell’art. 581 del codice di rito, che hanno introdotto forti limitazioni al diritto di impugnazione degli imputati assenti, evidentemente, colpisce maggiormente, se non esclusivamente, le difese d’ufficio.

Di tutta evidenza il difensore di ufficio che non sia riuscito a contattare il proprio assistito possiede, quale unico patrimonio conoscitivo, gli atti e i documenti raccolti nella fase delle indagini preliminari dal Pubblico Ministero. Un Pubblico Ministero che dovrebbe, come prescrive il codice di procedura penale (art. 358 c.p.p.) raccogliere elementi di prova anche a favore dell’imputato, ma che quasi mai adempie a tale onere.

E allora, alla impossibilità di interlocuzione tra difensore di ufficio e assistito corrisponde, quale conseguenza ineluttabile, una difesa menomata, monca, priva di strumenti (quali, a titolo esemplificativo, l’individuazione di testimoni, la raccolta di documenti e atti, lo sviluppo di approfondimenti tramite una consulenza tecnica) che possano contribuire alla formazione del convincimento del giudice circa la richiesta punitiva esercitata dal pubblico ministero.

Occorre a questo punto comprendere quali siano i motivi all’origine di tale condizione: se essa sia da ricondurre in via esclusiva al disinteresse dell’imputato circa le sorti del proprio processo, ovvero se le modalità comunicative della pendenza del processo e dei diritti dell’imputato siano da considerarsi congrue (nel senso di correttamente comprensibili a chiunque).

Non è infrequente, invero, che i destinatari di un decreto penale di condanna interpretino in termini erronei la portata e le conseguenze dell’atto ricevuto, equiparandolo ad una, meno grave, sanzione amministrativa.

In tale prospettiva appare auspicabile una riflessione seria, che vada al di là della formale rispondenza alle prescrizioni codicistiche, finalizzata a rinnovare il contenuto comunicativo di atti, scarsamente comprensibili soprattutto alle fasce di popolazione con scolarizzazione inadeguata. Rispetto alle quali l’osservanza del principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione impone un intervento congruo rispetto alle finalità che l’atto notificato si propone.

Tale riflessione appare ancor più stringente ove si considerino le forme della comunicazione giudiziaria, ad oggi rimessa alla notifica di un unico, atto, successivamente al quale l’imputato non riceverà più nulla (neppure un estratto dell’eventuale sentenza di condanna) in virtù di una presunzione di conoscenza derivante dal recapito della prima notificazione.

Recapito che non offre alcuna garanzia circa la effettiva e tempestiva conoscenza dell’atto, spesso effettuato attraverso il servizio postale ed il meccanismo della “compiuta giacenza”, in virtù della quale la mancata effettiva consegna dell’atto giudiziario è surrogato dal recapito, nella cassetta delle lettere, di una busta contenente la generica indicazione “atti giudiziari”. Locuzione assai generica e utilizzata per comunicazioni di molteplice e diversa natura.

Talché la celebrazione del processo avviene, in tali casi, sulla scorta della presunta conoscenza che l’imputato ha di esso.

Tali sono i motivi per i quali, nella prassi quotidiana delle aule di giustizia, in cui circa il 60% dei processi è svolto a carico di soggetti difesi d’ufficio, quel presidio di legalità costituito dall’istituto della difesa di ufficio appare, di tutta evidenza, basato su fondamenta di sabbia.

Quel diritto fondamentale che la Costituzione attribuisce ad ogni cittadino (anche straniero) è stato – nonostante gli sforzi dell’Avvocatura – svuotato di significato e trasformato in un simbolo privo di contenuti, proprio in considerazione delle numerose criticità che in parte si sono elencate sopra.

Sta accadendo, quindi, ciò che uno Stato democratico dovrebbe con ogni sforzo evitare: utilizzare la figura del difensore d’ufficio per garantire la correttezza formale del meccanismo che conduce alla sentenza ma allo stesso tempo, in concreto, non garantendo l’esercizio effettivo di qualsivoglia attività difensiva.

E la situazione è tanto più grave se si pensa che la figura del difensore di ufficio è stata oggetto di aggressione, da parte di rappresentanti dello Stato.

È ancora vivo il ricordo delle parole di chi, nella propria qualità dell’allora Ministro dell’Interno, Matteo Salvini, nell’aprile 2019 ha dichiarato che “in Italia c’è una lobby dei difensori di ufficio che si sta arricchendo con denaro pubblico grazie ai ricorsi avverso il diniego della domanda di asilo ai migranti”.  

Parimenti emblematico il recente appellativo di avvocato d’ufficio piuttosto che avvocato del popolo elargito con intento denigratorio e squalificante da una parlamentare della Repubblica all’allora Presidente del Consiglio Conte.

Per lungo tempo, anche la formazione dei difensori d’ufficio ed il numero troppo spesso elevato ne ha indebolito la funzione riducendola troppo spesso a formule sterili (mi rimetto al Giudice al quale si dà una mano a smaltire i processi sul ruolo).

Qualche passo in avanti, allo stato comunque del tutto insufficiente, è stato fatto con la riforma del 2015, (Decreto legislativo 30 gennaio 2015 n. 6, recante “Riordino della disciplina della difesa di ufficio”) con la quale il legislatore ha introdotto requisiti più stringenti di ammissione all’Elenco unico nazionale dei difensori di ufficio, introducendo l’obbligo di accertate competenze professionali (una comprovata esperienza professionale o la partecipazione ad un corso biennale di formazione e aggiornamento quali requisiti imprescindibili).

Ma ancora molto deve essere fatto, anche in termini culturali, considerato che anche una porzione non irrilevante dell’Avvocatura continua a derubricare la difesa di ufficio ad attività di second’ordine.

È necessario “alzare l’asticella” della competenza, affinché l’accesso all’elenco nazionale dei difensori di ufficio divenga distintivo dell’appartenenza ad una classe qualificata e indipendente di difensori, e il titolo di specialista sia, in concreto e non solo formalmente, strumento imprescindibile per l’accesso alla difesa di ufficio.

È indispensabile garantire che la difesa di ufficio sia continua ed effettiva: ancora oggi, troppo spesso il difensore di ufficio che non sia presente in udienza viene sostituito, con modalità speditive e superficiali, con un altro difensore che sia prontamente reperibile nell’aula di giustizia.

Un meccanismo che non garantisca alcuna stabilità della difesa, e consenta – come oggi accade – una macabra giostra nella quale il destino processuale dell’imputato viene affidato alle decisioni e alle scelte estemporanee di un difensore che conosce il contenuto del capo d’imputazione lì per lì, non offre alcuna garanzia del diritto fondamentale di difesa.

In tale ottica è essenziale, proprio ai fini della continuità ed effettività, l’istituzione di un principio che individui inderogabilmente, per la fase dell’esecuzione, il medesimo difensore di ufficio che ha curato la fase cognitiva, rafforzando così il dettato dell’art. 656 comma 5, nella parte in cui prevede che “… l’ordine di esecuzione e il decreto di sospensione sono notificati al condannato e al difensore che lo ha assistito nella fase del giudizio”.

È recente la pronuncia di legittimità nella quale la Corte ribadisce che “La nomina del difensore di fiducia effettuata per il giudizio di cognizione non è efficace per la fase esecutiva, salva la deroga prevista dall’art. 656, comma 5, c.p.p., anche se in essa sia genericamente contemplata la eventuale successiva fase di esecuzione” (Cass. pen., Sez. 1^, 10 agosto 2020, n. 23734)

Solo intendendo l’amministrazione della Giustizia come un Servizio Pubblico nel quale il cittadino deve essere inteso come committente protagonista, titolare di diritti e non spettatore destinatario della “grazia ricevuta”, in esecuzione concreta dei principi e diritti costituzionalmente garantiti dagli artt. 24, 27 e 111 Costituzione si potrà invertire la rotta e rimettere al centro del processo penale l’Imputato e le garanzie effettive di difesa che gli spettano.

Le armi di difesa, anche d’ufficio, e accusa devono essere pari e tutti i cittadini devono essere effettivamente uguali davanti alla legge e alla giurisdizione.

Occorre, pertanto, operare su due fronti.

Da un lato, rafforzare gli strumenti a disposizione del difensore d’ufficio affinché la difesa sia efficace e non solo di facciata, dall’altro occorre formare, sensibilizzare, e controllare – attraverso i Consigli dell’Ordine territoriali – difensori di ufficio affinché svolgano il loro ruolo nella consapevolezza della sua fondamentale importanza.

Al fine di garantire da un lato un effettivo diritto di difesa tecnica e dall’altro anche la velocizzazione dei procedimenti penali, si suggerisce, quindi:

– investire ulteriormente sulla formazione dei difensori d’ufficio, delegandola, come oggi previsto, agli Ordini forensi e alle Camere penali, con la previsione di un serio esame finale sia teorico che pratico e di controlli periodici sull’effettivo svolgimento del compito e, quindi, sulla stabilità dell’attività difensiva prestata;

– istituire criteri più stringenti nella prospettiva di garantire che l’accesso all’Elenco unico nazionale dei difensori di ufficio sia riconosciuto a professionisti in grado di assicurare una difesa effettiva, efficace e indipendente.

-stanziare risorse per garantire al difensore d’ufficio l’estrazione gratuita delle copie degli atti nonché il rimborso per la ricerca dell’assistito, in modo tale che possa, senza anticipare spese che forse non recupererà mai, prendere contezza della situazione processuale e garantire quell’effettività della difesa tecnica prevista dalla Costituzione. Calcolando che circa il 60% delle difese è garantita da difensori d’ufficio è fondamentale che questi riescano ad inquadrare la strategia difensiva migliore e, soprattutto, a prendere contatto con l’assistito anche in un’ottica deflattiva di scelta di procedimenti alternativi impediti dall’assenza dell’interessato.

In tale ottica dovrebbe essere prevista in sede di elezione di domicilio l’indicazione obbligatoria dell’utenza telefonica dell’indagato con consegna al medesimo sin da subito dei recapiti del difensore d’ufficio. Al fine di garantire il più possibile la parità delle parti processuali nel processo penale è necessario che la difesa privata abbia gli stessi mezzi dell’accusa pubblica o, almeno, ci si avvicini il più possibile.

Altre risorse dovrebbero essere destinate alla detraibilità fiscale delle spese legali e per i consulenti sostenute per difendersi in un giudizio dinanzi a tutte le autorità giudiziarie ed in qualsiasi materia.

Emblematica al riguardo la situazione degli irreperibili i cui procedimenti, seppur sospesi, aumentano il carico del ruolo ad oltranza.

Aumentare le risorse per il patrocinio a spese dello Stato prevedendo, inoltre, l’ammissione, in caso di difesa d’ufficio, anche in assenza di richiesta diretta dell’interessato, come nel caso dei minorenni e per le vittime di alcuni reati, ma previa semplice verifica fiscale e patrimoniale facilmente evadibile con un semplice collegamento all’Agenzia delle Entrate e/o alla G.d.F. già in fase di procedura di ammissione e non successivamente alla stessa.

In quest’ottica parte delle risorse dovrebbe essere finalizzata ad eliminare o almeno ad abbattere fortemente le spese per l’estrazione di copie soprattutto allorquando si tratta di faldoni voluminosi e/o di cd rom audio/video. Appare contro la Costituzione che per avere contezza dei documenti su cui si fonda l’accusa occorre a volte pagare cifre non irrilevanti mentre il Pubblico Ministero può estrarre copie dal Tribunale gratuitamente.

Rafforzare i riti alternativi e deflattivi con aumento della premialità e codificazione normativa delle inutilizzabilità degli atti di indagine affetti da nullità cd. patologica valutando, in alcuni casi, la possibilità per il difensore d’ufficio di accedervi senza necessità di procura speciale dell’imputato al quale, altrimenti, è precluso l’accesso ad una premialità per mancanza di effettiva conoscenza della possibilità e di contatto col difensore stesso in violazione del principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della nostra Costituzione.

Abrogare i commi 1-ter e 1-quater dell’art. 581, cod. proc. pen., per restituire il pieno potere di impugnazione al difensore degli imputati assenti;

Prevedere tassativamente le circostanze nelle quali il giudice deve nominare un difensore di ufficio ai sensi dell’art 97, comma 1 c.p.p. onde scongiurare un susseguirsi di nomine estemporanee ex art 97, comma 4, c.p.p., che non garantisce la pienezza e stabilità della difesa.

Prevedere il diritto di chiedere termini a difesa anche per il difensore nominato ex art. 97, 4 comma c.p.p. quando l’attività da svolgersi non è di mero rinvio e/o estremamente semplice.

Prevedere espressamente che il difensore di ufficio per la fase esecutiva sia il medesimo che ha curato la difesa nella fase di cognizione.