Imputato-avvocato: confine tra auto-difesa e difesa tecnica (di Riccardo Radi)

La cassazione sezione 1 con la sentenza numero 5022/2023 ha stabilito che nei casi di imputato-avvocato non si accompagna alla specifica preparazione tecnica, di cui pure il soggetto è portatore, il necessario distacco per garantire effettività della difesa e contrasto all’accusa, nel rilievo costituzionale riconosciuto all’attività di difesa dei diritti quale componente non rinunciabile dello Stato di diritto (art. 24 Cost.).

La preclusione dell’autodifesa-esclusiva nel processo penale opera nel senso della incompatibilità dell’imputato-avvocato a proporre impugnativa e nel giudizio in cassazione lascia altresì esclusa, ove il ricorrente è un avvocato cassazionista, lo svolgimento delle attività difensive d’udienza.

La Suprema Corte ha ricordato che per costante indirizzo di legittimità non è consentita nel nostro ordinamento l’autodifesa nel processo penale anche quando l’imputato sia un avvocato regolarmente iscritto nell’albo professionale, in difetto di una espressa previsione di legge che la legittimi, dovendo la difesa personale essere necessariamente affiancata dalla difesa tecnica terza (Sez. 2, n. 40715 del 16/07/2013, Rv. 257072; Sez. 5, n. 49551 del 03/10/2016, Rv_ 268744 e Sez. 5, n. 32143 del 03/04/2013, Rv. 256085 – 01, che ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 97 cod. proc. peri., sollevata in riferimento all’art. 24 Cost. nella parte in cui il menzionato articolo del codice di rito non prevede la facoltà di autodifesa dell’imputato, trattandosi di scelta politica del legislatore che, in quanto mirata a garantire l’effettività del diritto di difesa, non appare priva di ragionevolezza).

La nozione della difesa giudiziaria penale, ovverosia il complesso delle attività processuali a cui sono ammesse parti private e loro difensori al fine di far valere propri diritti e le proprie ragioni quanto all’accertamento della fondatezza della pretesa punitiva dello Stato nei confronti dell’imputato, va declinata nelle due accezioni di difesa personale e di difesa tecnica.

Alla difesa personale, o autodifesa, è correlata la partecipazione dell’imputato nel processo attraverso l’esercizio dei poteri processuali necessari ad influire sul convincimento del giudice, sia ove questi siano riservati esclusivamente al primo sia ove risultino condivisi nel loro esercizio con il difensore per le distinte previsioni contenute nell’art. 99, comma 1, prima e seconda parte, cod. proc. peri, e nell’art. 111, terzo comma, Cost.

Alla difesa tecnica, contemplata dall’art, 24, secondo comma, Cost., sì accompagna la diversa prospettiva del corretto svolgimento del processo e del funzionamento della giustizia, destinata a cogliere della prima la valenza di strumento di garanzia del contraddittorio da realizzarsi nella parità dialettica tra accusa e difesa.

La finalità di garantire all’imputato il corretto svolgimento del processo per un interesse pubblico destinato, come tale, a superare l’interesse del singolo, rinviene espressione nel consolidato indirizzo del giudice delle leggi (tra le altre: Corte cost. sent„ n. 59 del 1959; Id., n, 188 del 1980; Id., n. 125 del 1979) che qualifica la difesa tecnica quale imprescindibile garanzia del regolare esercizio del potere giurisdizionale.

Il delineato sistema della difesa giudiziaria penale adottato dall’ordinamento italiano non è in contrasto con l’art. 6 paragrafo 3, lett. c) della Convenzione EDU nella parte in cui stabilisce che ogni imputato ha diritto di difendersi da sé medesimo o mediante l’assistenza di un difensore.

Al riguardo la cassazione ha già avuto modo di precisare che tale disposizione non pone all’imputato l’alternativa di scegliere tra autodifesa o difesa tecnica ma vuole piuttosto assicurare al primo un sistema minimo di garanzie diretto a salvaguardare il diritto all’autodifesa in quegli ordinamenti degli Stati aderenti in cui potrebbe non esservi il diritto alla difesa tecnica.

E’ così che il sistema penale dell’ordinamento italiano, in cui si assiste ad un concorso dell’attività difensiva dell’imputato con quella del professionista, difensore tecnico, non urta con il principio convenzionale non traducendosi in una compressione o esclusione della difesa personale, ma nella integrazione di essa con l’attività defensionale tecnica, in tal modo assicurando all’imputato una più incisiva tutela delle sue posizioni, nell’osservanza del principio di effettività sancito dalla Convenzione (Sez. 1, n. 7786 del 29/0112008, Rv. 239237).

D’altra parte, anche la Corte EDU ha chiarito che la Convenzione, non precisando le condizioni di esercizio del diritto, ha lasciato agli Stati contraenti, la scelta di mezzi idonei a consentire al loro sistema giudiziario di garantire siffatto diritto, integrativo dei requisiti di un equo processo, (sentenza del 27 aprile 2006 – Ricorso n. 30961/03 – Sannino c/ Italia).

In coerenza con i delineati principi, la consolidata giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente escluso che non solo l’imputato ma tutte le parti del processo penale, anche se aventi la qualità di avvocato iscritto nel relativo albo professionale, possano esercitare anche l’autodifesa tecnica.

Non è ostativo a tale ricostruzione l’art. 13, comma 1, della legge del 31 dicembre 2012, n. 247, recante la «Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense» là dove si stabilisce che «L’avvocato può esercitare l’incarico professionale anche a proprio favore»

Di quest’ultima norma deve essere data invero una lettura coordinata con le prescrizioni specifiche di ogni ramo dell’ordinamento e le correlate previsioni procedurali in tal modo riconoscendosi alla prima un carattere meramente ricognitivo di fonti aliunde contenute.

L’art. 13 della legge professionale forense vale pertanto a ribadire quanto espressamente disciplinato per il processo civile dall’art. 86 cod. proc. civ., Molato ‘Difesa personale della parte’, ove è stabilito che «la parte o la persona che la rappresenta o assiste, quando ha la qualità necessaria per esercitare l’ufficio di difensore con procura presso il giudice adito, può stare in giudizio senza il ministero di altro difensore», ma non per converso ad introdurre, innovando, nel processo penale analoga previsione, altrimenti assente.

La diversa natura degli interessi coinvolti, che nel processo penale sono quelli della libertà personale, pone in un rapporto di incompatibilità l’autodifesa esclusiva e l’obbligatorietà della difesa tecnica (Sez. 6, n. 14411 del 14/01/2020, Rv. 278846 – 01; Sez. 2, n. 40715 del 16/07/2013, Rv. 257072).

Nel caso di imputato-avvocato non si accompagna alla specifica preparazione tecnica, di cui pure il soggetto è portatore, il necessario distacco per garantire effettività della difesa e contrasto all’accusa, nel rilievo costituzionale riconosciuto all’attività di difesa dei diritti quale componente non rinunciabile dello Stato di diritto (art. 24 Cost.).

La preclusione dell’autodifesa-esclusiva nel processo penale opera nel senso della incompatibilità dell’imputato-avvocato a proporre impugnativa e nel giudizio in cassazione lascia altresì esclusa, ove il ricorrente è un avvocato cassazionista, lo svolgimento delle attività difensive d’udienza.

L’obbligo di assicurare il diritto dell’accusato di contribuire con il difensore tecnico alla ricostruzione del fatto ed alla individuazione delle conseguenze giuridiche è destinato a valere infatti solo nel giudizio di merito sull’accusa e non anche in quello di legittimità (arg. ex Sez. 3, n. 19964 del 29/03/2007, Rv. 236734).

Il ricorso in cassazione proposto dall’avvocato in proprio è pertanto inammissibile stante la divisata incompatibilità, propria del giudizio penale, tra autodifesa e difesa tecnica.