La Cassazione fissa i paletti per l’applicabilità dall’art. 581, commi 1-ter e quater, cpp, ed esclude profili di incostituzionalità delle due norme (di Riccardo Radi)

La cassazione sezione 6 con la sentenza numero 223 del 3 gennaio 2024 ha stabilito che l’analisi del testo delle due norme introdotte dal d.lgs. 150 del 2022 può condurre a conclusioni diverse con riguardo a talune ipotesi e nel contempo ha sottolineato che la prospettata questione di illegittimità costituzionale delle due disposizioni è manifestamente infondata.

La ratio ad esse sottesa è duplice:

quella di impedire la celebrazione di processi privi di rilievo, in quanto destinati ad essere travolti dai rimedi restitutori a vantaggio dell’assente inconsapevole;

quella di assicurare, senza che sia imposto un onere aggiuntivo eccessivamente gravoso, l’efficienza e la ragionevole snellezza del processo penale, non appesantito da adempimenti che l’imputato può agevolmente rendere più spediti e snelli, dichiarando o eleggendo il domicilio ai fini della notifica.

La Suprema Corte preliminarmente rileva che le disposizioni previste dall’art. 581, comma 1-ter e comma 1-quater, cod. proc. pen., introdotte dal d.lgs. 150 del 2022, si applicano, ai sensi della norma transitoria prevista dall’art. 89, nel caso di sentenze pronunciate dopo l’entrata in vigore della riforma.

Deve aggiungersi che, sulla base di un orientamento che si va consolidando, gli oneri contemplati, cioè l’elezione o la dichiarazione di domicilio e, nel caso di giudizio in assenza, il conferimento di espresso mandato, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza, assumono rilievo anche ai fini del ricorso per cassazione, in tal senso deponendo la valenza di carattere generale delle norme sull’impugnazione, salvo limiti da esse stesse specificamente desumibili, nonché l’interpretazione del testo delle due norme alla luce della legge delega n. 132 del 2021 e dei lavori preparatori, da cui può desumersi l’intendimento di impedire lo svolgimento di giudizi, di merito o di legittimità, destinati ad essere travolti da rimedi restitutori, in particolare la rescissione, nonché l’esigenza di conferire maggiore celerità e certezza al processo penale (si rinvia per tali considerazioni a Sez. 6, n. 41309 del 20/09/2023, Rv. 285353, ma anche a Sez. 3, n. 43690 del 09/11/2023, Sez. 4, n. 43718 del 11/10/2023, Rv 285324): in particolare, con riferimento all’elezione o dichiarazione di domicilio, si segnala come in caso di ricorso per cassazione la notifica debba essere effettuata anche all’imputato, ove difeso d’ufficio.

Se ciò vale in generale, deve tuttavia rimarcarsi, sulla base di quanto già anticipato, che l’analisi del testo delle due norme può condurre a conclusioni diverse con riguardo a talune ipotesi.

È di tutta evidenza, in tale prospettiva, come l’art. 581, comma 1-quater, cod. proc. pen., faccia riferimento al rilascio di mandato dopo la pronuncia della sentenza: ciò implica che il ricorso debba essere riferibile ad una sentenza e non ad un’ordinanza, secondo quanto già affermato da questa Corte con riguardo alle ordinanze pronunciate dal giudice dell’esecuzione (Sez. 1, n. 43523 del 28/06/2023, Rv. 285396).

Altrettanto, dunque, deve ritenersi nel caso di specie, in cui il ricorso ha ad oggetto un’ordinanza con la quale è stata dichiarata l’inammissibilità dell’appello, presentato avverso sentenza pronunciata dopo l’entrata in vigore della riforma.

Con riguardo all’ipotesi prevista dall’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen., riguardo alla quale la citata pronuncia della Suprema Corte (Sez. 1, n. 43523 del 2023, cit.) ne ha parimenti escluso l’applicabilità alle ordinanze del giudice dell’esecuzione, va rimarcato come tale conclusione, qui condivisa, sia estensibile anche ai casi in cui venga in rilievo una pronuncia che non costituisca lo sviluppo di un giudizio, che aspiri alla definizione della regiudicanda sostanziale, ma abbia invece natura strumentale, in funzione della irrevocabilità della decisione pronunciata nel grado precedente, com’è il caso di un’ordinanza con cui sia dichiarata l’inammissibilità di un appello.

Ciò discende dalla valorizzazione del riferimento al decreto di citazione a giudizio, che compare nell’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen., non decisivo al fine di escludere l’applicabilità della norma al ricorso per cassazione, ma rilevante per dare un contenuto più specifico alla disposizione. Deve inoltre rimarcarsi che tale interpretazione, coerente con il riferimento alla sentenza, contenuto nel comma 1-quater, è volta ad assicurare un concreto controllo dell’ordinanza di inammissibilità, in ragione della peculiare funzione della stessa, che paralizza l’ulteriore corso del giudizio, quand’anche adottata al di fuori del contraddittorio, e necessita dunque di una rigorosa verifica della ricorrenza dei relativi presupposti.

Sulla scorta di tali premesse deve dunque ritenersi che il ricorso, pur non accompagnato da elezione o dichiarazione di domicilio o dal conferimento di specifico mandato al difensore, sia di per sé ammissibile.

Tuttavia il ricorso risulta infondato.

La Corte territoriale ha rilevato che il giudizio si era svolto in assenza dell’imputato e che il difensore aveva presentato appello senza il previo conferimento di uno specifico mandato successivo alla sentenza, oltre che senza l’espressa indicazione di un’elezione o dichiarazione di domicilio, agli effetti dell’art. 581, comma 1-ter e comma 1-quater cod. proc. pen.

Deve convenirsi che gli oneri previsti da tali disposizioni, pur rilevanti, trattandosi di sentenza pronunciata dopo l’entrata in vigore della riforma, non sono stati soddisfatti in sede di presentazione dell’appello.

Le doglianze sono state prospettate in due diverse direzioni.

Da un lato si è dedotto che il giudizio non avrebbe potuto dirsi celebrato in assenza.

Dall’altro si è sostenuto che si trattava comunque di imputato inconsapevole e che l’applicazione delle due disposizioni avrebbe dovuto dirsi costituzionalmente illegittimo e contrastante con garanzie convenzionali, perché incidente sul diritto di difesa e tale da esporre l’imputato al passaggio in giudicato e all’esecuzione della sentenza.

Venendo al primo tema segnalato, si osserva che non assume rilievo la circostanza che l’assenza non fosse stata espressamente dichiarata in limine, risultando che nei verbali di udienza era stata specificamente indicata tale veste dell’imputato e che altrettanto emergeva dalla sentenza.

Deve aggiungersi che il giudice, su eccezione del difensore dell’imputato, che aveva contestato la ritualità del procedimento e soprattutto quella della citazione effettuata presso il difensore – dopo che era risultato vano il tentativo di effettuarla a mani dell’imputato, resosi nel frattempo irreperibile a seguito della sua scarcerazione e del periodo trascorso presso un luogo di cura -, aveva respinto le doglianze: in tale circostanza si era preso atto del mancato rintraccio dell’imputato, nei cui confronti era stata in precedenza ordinata la notifica del verbale, nel quale si disponeva il giudizio direttissimo dopo la convalida dell’arresto, a fronte dell’accertato stato di incoscienza del predetto, in conseguenza dei medicinali somministratigli in carcere nel corso della giornata precedente; ma nel contempo si era ritenuta valida la notifica presso il difensore e si era dato rilievo alla conoscenza desumibile dalla fase culminata nell’identificazione e nell’arresto e nella successiva restrizione in carcere, argomenti valorizzabili quale giustificazione della sussistenza di presupposti sufficienti per la celebrazione del giudizio, non essendo in questa sede rilevante la circostanza che la notifica fosse o meno valida, fermo restando che l’elezione di domicilio presso il difensore di ufficio non era stata specificamente ricusata dal predetto, fermo restando che il verbale che la conteneva recava una laconica accettazione dell’incarico.

Si è tuttavia obiettato che non avrebbe potuto formalmente procedersi in assenza dell’imputato, in quanto dal verbale dell’udienza di apertura del giudizio, celebrata in conseguenza della convalida dell’arresto, l’imputato risultava presente, essendo stato tradotto dal carcere, dovendosi dunque escludere ai fini in esame la rilevanza della mancata comparizione alle udienze successive, in ragione di quanto in generale previsto dall’art. 420, comma 2-ter cod. proc. pen., richiamato ai fini della costituzione delle parti in giudizio.

Senonché, deve rimarcarsi come la presenza in giudizio possa dirsi rilevante in quanto frutto di una scelta consapevole dell’imputato e in quanto connotata dalla piena coscienza del contesto processuale.

La mera circostanza che l’imputato fosse fisicamente presente, ma in riconosciuto stato di incoscienza, tale da giustificare la scelta del giudice di procedere alla notifica del verbale, non avrebbe potuto giustificare un giudizio nei confronti dell’imputato come se fosse presente, in quanto quell’originaria presenza fisica, propiziata dalla materiale traduzione, non era connotata da effettiva consapevolezza.

Deve rimarcarsi in tale prospettiva che ciò, se, da un lato, implica che fosse applicabile l’onere aggiuntivo dell’espresso mandato al difensore, nel caso di specie mancante, dall’altro offre all’imputato, ove risultino ricorrenti le relative condizioni, la possibilità di far valere, come si avrà cura di ribadire, i meccanismi ripristinatori della rescissione o della restituzione in termini.

Deve aggiungersi come in ogni caso sia stata rilevata la mancanza dell’elezione o dichiarazione di domicilio ai sensi dell’art. 581, comma 1-ter cod. proc. pen., la cui operatività prescinde dalla circostanza che il giudizio sia stato o meno celebrato in assenza.

La prospettata questione di illegittimità costituzionale delle due disposizioni è manifestamente infondata.

La ratio ad esse sottesa è duplice: quella di impedire la celebrazione di processi privi di rilievo, in quanto destinati ad essere travolti dai rimedi restitutori a vantaggio dell’assente inconsapevole; quella di assicurare, senza che sia imposto un onere aggiuntivo eccessivamente gravoso, l’efficienza e la ragionevole snellezza del processo penale, non appesantito da adempimenti che l’imputato può agevolmente rendere più spediti e snelli, dichiarando o eleggendo il domicilio ai fini della notifica. Non assume alcun rilievo ai fini in esame la circostanza che l’applicabilità dei due oneri aggiuntivi prescinda dall’applicabilità della nuova normativa in materia di dichiarazione di assenza, ma implichi solo che la sentenza sia pronunciata dopo l’entrata in vigore della riforma.

Va infatti rimarcato che sul punto la norma transitoria non si espone ad alcun profilo di illegittimità costituzionale, in quanto la ratio della disposizione non è correlata al canone applicabile per la dichiarazione di assenza ma alla circostanza che a fronte dell’assenza non debbano celebrarsi processi destinati ad essere posti nel nulla dai rimedi restitutori, di cui l’imputato ampiamente può avvalersi.

Ed invero, sebbene la norma transitoria preveda l’immediata applicazione solo di alcune delle nuove norme e non anche di tutte le norme in terna di assenza, ove la stessa sia stata dichiarata prima dell’entrata in vigore della riforma, le stesse sottendono comunque la possibilità di beneficiare della rescissione, applicabile nel caso di giudizio celebratosi in assenza, nonché delle nuove disposizioni in tema di restituzione in termini, di cui al riformulato art. 175 cod. proc. pen., disposizioni che sono volte ad assicurare il pieno ripristino dello status quo ente, ove sussistano i presupposti dell’assenza inconsapevole o della mancata conoscenza della celebrazione del grado di giudizio.

In tale prospettiva non assume alcun rilievo ai fini in esame la circostanza che l’assente sia stato giudicato quando versava in condizione di consapevolezza o ignoranza colpevole o di ignoranza incolpevole, in quanto l’eventuale situazione patologica avrebbe un espresso rimedio, tale da assicurare comunque un pieno ripristino del diritto di difesa, che dunque non potrebbe dirsi ingiustificatamente compresso da un onere aggiuntivo non esigibile.

E neppure potrebbe stabilirsi alcuna differenza di trattamento tra l’imputato presente e quello che abbia optato per la mancata partecipazione al processo, in quanto la diversità del regime stabilito non si espone ad un profilo di irrazionalità o arbitrarietà ma risulta coerente con l’effettiva diversità della situazione, rispetto alla quale all’onere aggiuntivo corrisponde un ampliamento del termine a disposizione per presentare l’atto di impugnazione (cfr. art. 585, comma 1-bis, cod. proc. pen.).

Può ancora osservarsi che la deduzione incentrata sulla preclusione di un immediato intervento difensivo, di cui sarebbe onerato anche il difensore d’ufficio, non trova alcun riscontro nell’esposizione dell’imputato ad un sacrificio non rimediabile, fermo restando che l’assunto muove da una prospettiva secundum eventum litis, che non può assumere alcun rilievo nella definizione dei parametri per l’accesso al giudizio di impugnazione, nella prospettiva di scongiurare giudizi inutili, in quanto soggetti a rimedi ripristinatori.

Va aggiunto comunque come, nel caso in esame, una siffatta deduzione sia priva di concreta rilevanza, a fronte della concessione all’imputato del beneficio della sospensione condizionale della pena, che osta all’esecuzione della pena, prima ancora dell’intervento ripristinatorio o sospensivo.

Più in generale deve rimarcarsi come gli oneri aggiuntivi contemplati dalle norme in commento non sono volti a precludere la facoltà di impugnazione ma ad introdurre modalità ampliamente esigibili, non tali da pregiudicare la fruibilità del rimedio, nel quadro di una disciplina in cui il diritto di difesa può essere modulato in relazione alle situazioni, al grado e alle tipologie di processo, come già riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità con riguardo all’esclusione della difesa personale e del ricorso personale (Sez. U, n. 8914 del 21/12/2017, dep. 2018, Aiello, Rv. 272011) in piena coerenza con i principi affermati dalla Corte di Strasburgo (sul punto Corte EDU, relativa in particolare all’art. 6, par. 3, lett. c, Carta EDU: cfr. Corte EDU, 27/4/2006, Sannino c. Italia; Corte EDU, 21/09/1993, Kremzow c. Austria; Corte EDU, 24/05/1991, Quaranta c. Svizzera).

Né potrebbe dirsi che sia stato introdotto un meccanismo tale da precludere l’accesso alla giustizia, in violazione delle garanzie costituzionali e convenzionali, giacché da un lato tale assunto muove dall’errato presupposto che nessun limite possa frapporsi alla legittimazione all’impugnazione e dall’altro esso finisce per sovrapporre alla disciplina un profilo patologico, quale quello dell’eventuale erroneità del giudizio celebrato in assenza inconsapevole, profilo che non è compensato dall’assenza di limiti alla legittimazione ma dalla efficacia dei rimedi compensativi e restitutori.

Deve dunque rilevarsi che tutti gli argomenti addotti a sostegno della sollevata questione di illegittimità costituzionale sono manifestamente infondati o, in parte, irrilevanti, dovendosi in questa sede ribadire i rilievi sul punto già formulati in altre sentenze della Corte di cassazione (si richiamano Sez. 4, n. 43718 del 11/10/2023, Rv. 285324; Sez. 5, n. 41763 del 12/07/2023, non massimata; Sez. 5, n. 39166 del 04/07/2023, Rv. 285305).