“Perché hai scelto di fare il magistrato?”: la risposta di Paolo Borsellino (di Riccardo Radi)

I motivi che hanno spinto Paolo Borsellino ad indossare la toga ci vengono svelati in questa lettera scritta la domenica del 19 luglio 1992, il giorno della sua morte.

Questo è l’ultimo scritto del dottor Borsellino che risponde ad una preside di un liceo di Padova che si era rammaricata per la mancata partecipazione del magistrato ad un convegno con gli studenti di un liceo sul tema della legalità.

“Gentilissima” professoressa, uso le virgolette perché le ha usate Lei nello scrivermi, non so se per sottolineare qualcosa, e “pentito” mi dichiaro e dispiaciutissimo per il disappunto che ho causato agli studenti del Suo Liceo per la mia mancata presenza all’incontro di Venerdì 24 gennaio.

Intanto vorrei assicurarle che non mi sono affatto trincerato dietro
un compiacente centralino telefonico (suppongo quello della Procura di
Marsala) non foss’altro perché a quell’epoca ero stato già applicato
per quasi tutta la settimana alla Procura della Repubblica presso il
Tribunale di Palermo, ove da pochi giorni mi sono definitivamente
insediato come Procuratore Aggiunto.

Se le Sue telefonate sono state dirette a Marsala non mi meraviglio
che non mi abbia mai trovato. Comunque il mio numero telefonico presso
la Procura di Palermo è (…), utenza alla quale rispondo
direttamente.

Se ben ricordo, inoltre, in quei giorni mi sono recato per ben due
volte a Roma nella stessa settimana e, nell’intervallo, mi sono
trattenuto ad Agrigento per le indagini conseguenti alla faida mafiosa
di Palma di Montechiaro.

Ricordo sicuramente che nel gennaio scorso il dott. Vento del Pungolo
di Trapani mi parlò della Vostra iniziativa per assicurarsi la mia
disponibilità, che diedi in linea di massima, pur rappresentandogli le
tragiche condizioni di lavoro che mi affliggevano. Mi preannunciò che
sarei stato contattato da un Preside del quale mi fece anche il nome,
che non ricordo, e da allora non ho più sentito nessuno.
Il 24 Gennaio poi, essendo ritornato ad Agrigento, colà qualcuno mi
disse di aver sentito alla radio che quel giorno ero a Padova e mi
domandò quale mezzo avessi usato per rientrare in Sicilia tanto
repentinamente. Capii che era stata “comunque” preannunciata la mia
presenza al Vostro convegno, ma mi creda, non ebbi proprio il tempo di
dolermene perché i miei impegni di lavoro sono tanti e così incalzanti
che raramente ci si può occupare di altro.

Spero che la prossima volta Lei sarà così gentile da contattarmi
personalmente e non affidarsi a intermediari di sorta o telefoni
sbagliati.
Oggi non è per certo il giorno più adatto per risponderLe perché
frattanto la mia città si è di nuovo barbaramente insanguinata ed io
non ho più tempo da dedicare neanche ai miei figli, che vedo raramente
poiché dormono quando esco da casa ed al mio rientro, quasi sempre in
ore notturne, li trovo nuovamente addormentati.

Ma è la prima domenica, dopo almeno tre mesi, che mi sono imposto di
non lavorare e non ho difficoltà a rispondere, però in modo
telegrafico, alle sue domande.

1) Sono diventato giudice perché nutrivo grandissima passione per il
diritto civile ed entrai in magistratura con l’idea di diventare un
civilista, dedito alle ricerche giuridiche e sollevato dalla necessità
di inseguire i compensi dei clienti
. La magistratura mi appariva la
carriera per me più percorribile per dare sfogo al mio desiderio di
ricerca giuridica non appagabile con la carriera universitaria per la
quale occorrevano tempo e santi in paradiso.

Fui fortunato e divenni magistrato nove mesi dopo la laurea (1964) e
fino al 1980 mi occupai soprattutto di cause civili, cui dedicavo il
meglio di me stesso. E’ vero che nel 1975, per rientrare a Palermo,
ove ha sempre vissuto la mia famiglia, ero approdato all’Ufficio
Istruzione Processi Penali, ma ottenni l’applicazione, anche se
saltuaria, ad una sezione civile e continuai a dedicarmi soprattutto
alle problematiche dei diritti reali, delle (…) legali, delle
divisioni ereditarie ecc.

Il 4 maggio 1980 uccisero il Capitano Emanuele Basile ed il Cons.
Chinnici volle che mi occupassi io dell’istruzione del relativo
procedimento. Nel mio stesso ufficio frattanto era approdato,
provenendo anche egli dal Civile, il mio amico d’infanzia Giovanni
Falcone e sin da allora capii che il mio lavoro doveva essere un
altro. Avevo scelto di rimanere in Sicilia ed a questa scelta dovevo
dare un senso.

I nostri problemi erano quelli dei quali avevo preso ad occuparmi
quasi casualmente, ma, se amavo questa terra, di essi dovevo
esclusivamente occuparmi.

Non ho più lasciato questo lavoro e da quel giorno mi occupo pressoché
esclusivamente di criminalità mafiosa.

E sono ottimista poiché vedo che verso di essa i giovani, siciliani e no, hanno oggi una attenzione ben diversa da quella colpevole indifferenza che io mantenni sino ai
quarant’anni. Quando questi giovani saranno adulti avranno più forza
di reagire di quanto io e la mia generazione ne abbiamo avuta.

2) La Dia è un organismo investigativo formato da elementi dei
Carabinieri, della Polizia di Stato e della Guardia di Finanza, e la
sua istituzione si propone di realizzare il coordinamento fra queste
tre strutture investigative che, fino ad ora, con lodevoli ma scarse
eccezioni, hanno agito senza assicurare un reciproco scambio di
informazioni ed una auspicabile razionale divisione dei compiti loro
istituzionalmente affidati in modo promiscuo e non coordinato.
La Dna è una nuova struttura giudiziaria che tende ad assicurare
soprattutto una circolazione delle informazioni fra i vari organi del
Pubblico Ministero distribuiti tra le… circoscrizioni territoriali.
Sino ad ora questi organi hanno agito in assoluta indipendenza ed
autonomia l’uno dall’altro (indipendenza e autonomia che rimangono
nonostante la nuova figura del Superprocuratore) ma anche in
condizioni di piena separazione, ignorando nella maggior parte dei
casi il lavoro e le risultanze investigative e processuali degli altri
organi, anche confinanti, e senza che vi fosse una struttura
sovrapposta delegata ad assicurare il necessario coordinamento e ad
intervenire tempestivamente con propri mezzi e proprio personale
giudiziario nel caso in cui se ne ravvisi la necessità.

3) La mafia (Cosa Nostra) è una organizzazione criminale, unitaria e
verticisticamente strutturata, che si contraddistingue da ogni altra
per la sua caratteristica di “territorialità”.

Essa è suddivisa in “famiglie”, collegate tra loro per la comune
dipendenza da una direzione comune (Cupola), che tendono ad esercitare
sul territorio la stessa sovranità che su esso esercita, deve
esercitare, legittimamente, lo Stato.

Ciò comporta che Cosa Nostra tende ad appropriarsi delle ricchezze che
si producono o affluiscono sul territorio principalmente con
l’imposizione di tangenti (paragonabili alle esazioni fiscali dello
Stato) e con l’accaparramento degli appalti pubblici, fornendo al
contempo una serie di servizi apparenti rassembrabili a quelli di
giustizia, ordine pubblico, lavoro ecc., che dovrebbero essere forniti
esclusivamente dallo Stato.

È naturalmente una fornitura apparente perché a somma algebrica zero,
nel senso che ogni esigenza di giustizia è soddisfatta dalla mafia
mediante una corrispondente ingiustizia. Nel senso che la tutela dalle
altre forme di criminalità (storicamente soprattutto dal terrorismo) è
fornita attraverso l’imposizione di altra e più grave forma di
criminalità. Nel senso che il lavoro è assicurato ad alcuni (pochi)
togliendolo ad altri (molti).

La produzione ed il commercio della droga, che pur hanno fornito Cosa
Nostra dei mezzi economici prima indispensabili, sono accidenti di
questo sistema criminale e non necessari alla sua perpetuazione.

Il conflitto inevitabile con lo Stato con cui Cosa Nostra è in
sostanziale concorrenza (hanno lo stesso territorio e si attribuiscono
le stesse funzioni) è risolto condizionando lo Stato dall’interno,
cioè con le infiltrazioni negli organi pubblici che tendono a
condizionare la volontà di questi perché venga indirizzata verso il
soddisfacimento degli interessi mafiosi e non di quelli di tutta la
comunità sociale.

Alle altre organizzazioni criminali di tipo mafioso (camorra,
‘ndrangheta, Sacra Corona Unita ecc.) difetta la caratteristica della
unitarietà ed esclusività. Sono organizzazioni criminali che agiscono
con le stesse caratteristiche di sopraffazione e violenza di Cosa
Nostra, ma non ne hanno l’organizzazione verticistica ed unitaria.

Usufruiscono inoltre in forma minore del “consenso” di cui Cosa Nostra
si avvale per accreditarsi come istituzione alternativa allo Stato,
che tuttavia con gli organi di questo tende a confondersi.

Paolo Borsellino                19 luglio 1992