Mandato di arresto europeo: non se ne può valutare l’eseguibilità senza la previa traduzione in lingua italiana (di Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 6^, sentenza n. 51289/2023, udienza del 20 dicembre 2023, ha deciso un ricorso in cui si eccepiva che la decisione era stata emessa sulla base di un mandato di arresto europeo (di seguito MAE) non tradotto in lingua italiana, adottato, invece, in assenza di un provvedimento idoneo a giustificare la consegna all’autorità giudiziaria tedesca.

Il difensore aveva osservato al riguardo che, pur non essendo pervenuto il mandato di arresto europeo, regolarmente richiesto in sede di convalida dal consigliere delegato al Ministero della Giustizia, la Corte di appello, che di tale evenienza dava atto nella sentenza, disponeva comunque la consegna del cittadino italiano.

Il collegio della Cassazione ha ritenuto fondato il motivo.

Ha constatato infatti che dalla consultazione degli atti del procedimento emergeva che il MAE tradotto in lingua italiana risultava pervenuto il 24 ottobre 2023 ed in pari data tradotto dall’autorità tedesca richiedente (deponeva in tal senso, in assenza di timbro di ricezione, l’indicazione grafica riportata nella parte superiore delle pagine trasmesse a mezzo fax e la data di espletamento dell’incarico da parte del traduttore), data successiva all’udienza in cui era stata emessa la sentenza.

La Corte di appello, nonostante il Consigliere delegato per l’ascolto del consegnando e la convalida del provvedimento di arresto disposto d’urgenza dalla polizia giudiziaria, avesse richiesto per il tramite del Ministero della Giustizia l’invio dell’atto tradotto in lingua italiana, aveva comunque deliberato in ordine alla richiesta consegna, ritenendo esaustiva la segnalazione del Sistema Informativo Schengen (SIS) che – si afferma — avrebbe contenuto tutti i requisiti necessari per la relativa deliberazione.

Pur condividendosi, come enunciato nella sentenza impugnata, che la citata segnalazione (“SIS”) costituisca atto equipollente al MAE, del quale, però, deve contenere tutte le informazioni ex art. 6, legge n. 69 del 2005, proprio perché il contenuto dell’atto è funzionale alla verifica dell’eventuale sussistenza di cause ostative alla consegna all’estero e al controllo di legalità che compete all’autorità giudiziaria italiana (così, tra altre, Sez. 6, n. 49888 del 20/12/2012, Rv. 253913), è indispensabile che detto atto sia tradotta in lingua italiana.

Nei corrispondenti termini è esplicito il tenore dell’ultimo comma dell’art. 6, L. n. 69 del 2005 («Il mandato d’arresto europeo dovrà pervenire tradotto in lingua italiana»), evenienza che fa ritenere inidonee alcune forme di conoscenza surrogata per il consegnando anche se realizzate attraverso la sommaria illustrazione del relativo contenuto da parte del giudicante.

Poiché, infatti, trattasi di disposizione funzionale alla corretta verifica da parte della Corte d’appello dei presupposti per procedere alla consegna e all’eventuale controllo sul relativo giudizio, non sono ammesse equipollenze che si risolverebbero in un concreto impedimento all’effettivo controllo del relativo giudizio, non solo per l’organo giudicante, ma per tutte le parti processuali che sulle stesse hanno il diritto di interloquire.

Per tali ragioni, infatti, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità con plurime decisioni il cui contenuto condivise dal collegio, la mancata traduzione in lingua italiana del MAE equivale alla presenza fisica di un atto non intelligibile e quindi alla sua mancata allegazione (Sez. 6, n. 44933 del 01/12/2021, non massimata; Sez. 6, n. 17306 del 20/3/2007, Rv. 236582).

La Corte di appello, pertanto, prima di esitare il procedimento avrebbe dovuto provvedere alla traduzione della segnalazione “SIS” o acquisire prima della decisione, ex art. 16 I. n. 69 del 2005, il mandato di arresto europeo tradotto in lingua italiana, come tra l’altro disposto dallo stesso consigliere delegato in occasione dell’udienza di convalida dell’arresto eseguito d’urgenza il 19 ottobre 2023 evidentemente sul presupposto della sua necessità; né può ritenersi che l’omessa attesa del perveniente atto sia giustificata dalla necessità di rispettare i termini previsti dalla normativa in esame, visto che l’udienza per la decisione veniva fissata a distanza di appena tre giorni dalla convalida ed in largo anticipo rispetto ai quindici giorni entro i quali pervenire a decisione ex art. 17, comma 2, I. n. 69 del 2005 (termini, tra l’altro, prorogabili ex art. 17, comma 2-bis, L. cit.).

Deve essere quindi disposto l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello affinché effettui un nuovo giudizio sulla base dei principi esposti.