Rapina impropria, il presupposto della sottrazione non è necessariamente un furto (di Riccardo Radi)

La cassazione sezione 2 con la sentenza numero 49693 del 14 dicembre 2023 ha stabilito che presupposto del reato di rapina impropria non è necessariamente un reato di furto seguito da violenza e minaccia, potendo essere costituito anche da qualsiasi reato nel quale vi sia stata una sottrazione della cosa da parte dell’autore del reato, intesa tale sottrazione come qualsiasi atto in base al quale la cosa sia passata dalla vittima all’autore del reato.

La Suprema Corte ha evidenziato che la corte di merito, nel confermare la sussistenza dei requisiti costitutivi della rapina impropria, ha inequivocamente disatteso la richiesta difensiva di ricondurre i fatti nell’alveo dell’appropriazione indebita o della truffa.

Come noto, l’art. 628 cod. pen. prevede che “chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, mediante violenza alla persona o minaccia, s’impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da euro 927 a euro 2.500. Alla stessa pena soggiace chi adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione, per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta, o per procurare a sé o ad altri l’impunità

Dalla lettura della norma si ricava che nella rapina impropria non rileva come sia avvenuto lo spossessamento, posto che ciò che conta è che vi sia stata una sottrazione della cosa, seguita dalla violenza o minaccia, per cui non si può condividere l’assunto della difesa secondo il quale presupposto del reato di rapina sia sempre un reato di furto.

Il concetto di sottrazione, infatti, indica l’atto di portare via qualcosa a qualcuno, ma non precisa come tale asportazione debba avvenire; volendo generalizzare, in tutti i reati nei quali è previsto un profitto (come la truffa) vi è una sottrazione ai danni della vittima, posto che al profitto dell’autore del reato corrisponde il danno subito dalla persona offesa, che perde la disponibilità di una res (che può essere denaro o altra cosa mobile) che le viene sottratta.

Sul punto, può essere richiamata la sentenza della cassazione secondo cui “l’eventuale uso di violenza o minaccia da parte di uno dei concorrenti nel reato di truffa per assicurare a sé o ad altri la percezione del profitto cui eran destinati gli artifizi e raggiri posti in essere, o comunque per guadagnare l’impunità, può essere ritenuto logico e prevedibile sviluppo della condotta finalizzata alla commissione della truffa e, se realizzato, comporta la configurabilità nei confronti dei concorrenti nolenti del concorso anomalo ex art. 116 cod. pen. nel reato di rapina ascrivibile al compartecipe che se ne sia reso materialmente responsabile.” (Sez. 2, Sentenza n. 25915 del 02/03/2018, Rv. 272944 – 01).

Nella motivazione della citata sentenza si è osservato che la cassazione (Sez. 2, sentenze n. 32644 del 18/06/2013, Rv. 256841, e n. 45446 del 06/10/2016, Rv. 268564) è ferma nel ritenere che l’eventuale uso di violenza o minaccia da parte di uno dei concorrenti nel reato di furto per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta o per procurare a sé o ad altri l’impunità costituisce logico e prevedibile sviluppo della condotta finalizzata alla commissione del furto. Analoghe considerazioni ben possono valere con riferimento ad altri reati contro il patrimonio, come la truffa, ugualmente caratterizzati – come il furto – da una condotta volta a carpire un bene ad un soggetto, pur se non sottraendoglielo a sua insaputa, come nel furto, ma ottenendone la disponibilità in virtù della precostituzione artificiosa di una realtà apparente, della quale il deceptus ha, peraltro, pur sempre possibilità di accorgersi, anche nell’immediatezza, svelando l’artifizio od avvedendosi del raggiro; da tali osservazioni, pienamente condivisibili, ne deriva che non sempre la rapina presuppone un atto predatorio.

Pertanto, sia che si voglia ritenere che il ricorrente abbia posto in essere una truffa o una frode informatica (art. 640-ter cod. pen.), si deve ritenere che commetta rapina impropria chi usi violenza o minaccia per assicurarsi il profitto di una truffa o di una frode informatica.

Deve essere, pertanto, enunciata la seguente massima: “presupposto del reato di rapina impropria non è necessariamente un reato di furto seguito da violenza e minaccia, potendo essere costituito anche da qualsiasi reato nel quale vi sia stata una sottrazione della cosa da parte dell’autore del reato, intesa tale sottrazione come qualsiasi atto in base al quale la cosa sia passata dalla vittima all’autore del reato”.