Avvocato “perseguitato” dalla controparte perché fa il suo mestiere (di Riccardo Radi)

La cassazione sezione 5 con la sentenza numero 45861/2023 ha stabilito che il delitto di atti persecutori di cui all’art. 612-bis Cp può essere integrato anche da due sole condotte di minacce, molestie o lesioni, pur se commesse in un breve arco di tempo, in quanto idonee a costituire la reiterazione richiesta dalla norma incriminatrice, non essendo invece necessario che gli atti persecutori si manifestino in una prolungata sequenza temporale.

Fatto

Con l’intento di ostacolare l’attività professionale di avvocato svolta dalla vittima in favore di tale N.K. avrebbe compiuto atti persecutori nei confronti del S.: l’avrebbe contattato più volte al telefono e l’avrebbe minacciato; si sarebbe appostato nei pressi dello studio legale della persona offesa e l’avrebbe, poi, seguito per strada; l’avrebbe più volte insultato.

Condotte che avrebbero indotto il S. a cambiare le proprie abitudini di vita, facendolo vivere in uno stato di perenne apprensione e di ansia per la propria incolumità.

Decisione

La Suprema Corte ha ritenuto che le specifiche condotte contestate all’imputato fossero sufficienti a integrare il reato, facendo applicazione di un principio giurisprudenziale consolidato, secondo il quale il delitto di atti persecutori di cui all’art. 612-bis c.p. può essere integrato “anche da due sole condotte di minacce, molestie o lesioni, pur se commesse in un breve arco di tempo“, in quanto “idonee a costituire la reiterazione richiesta dalla norma incriminatrice, non essendo invece necessario che gli atti persecutori si manifestino in una prolungata sequenza temporale” (Sez. 5, n. 33842 del 03/04/2018, Rv. 273622; Sez. 5, n. 46331 del 05/06/2013, Rv. 257560; Sez. 5, n. 6417 del 21/01/2010, Rv. 245881).

In effetti l’avvocato era stato costretto a cambiare le modalità di ricevimento degli assistiti con telefonate preventive e ausilio di colleghi sempre presenti a studio.

Con riferimento all’evento del reato, ha correttamente rappresentato, senza incorrere in alcun evidente vizio logico o decisivo travisamento di prova, che il S., aveva dichiarato che, a seguito delle condotte dell’imputato, era caduto in un perdurante stato di ansia e agitazione ed era stato costretto a modificare le proprie abitudini di vita, limitando le proprie uscite, evitando di lasciare lo studio a tarda sera, evitando di parcheggiare l’auto lontano dai luoghi ove doveva recarsi, prestando particolare attenzione quando riceveva persone nello studio professionale.

A conferma della sussistenza dell’evento del reato, la Corte territoriale ha fatto riferimento a un certificato medico del “Centro di salute mentale di (Omissis)”.
Va evidenziato che l’acquisizione del certificato medico nel corso del giudizio di appello non richiedeva alcun consenso delle parti, ma solo che il documento venisse acquisito nel contraddittorio tra le parti (Sez. 3, n. 34949 del 03/11/2020, Rv. 280504); né era necessaria la preventiva escussione dei sanitari che l’avevano redatto, trattandosi di un documento e non di una relazione peritale.