Condanna e sostituzione pena detentiva ex art. 545 bis cpp: il limite edittale deve tener conto del “presofferto cautelare”? (di Riccardo Radi)

La cassazione sezione 6 con l’ordinanza numero 47678/2023 ha esaminato la questione relativa al calcolo del presofferto cautelare per determinare il limite edittale per richiedere in caso di condanna l’applicazione della pena sostitutiva ex articolo 545 bis cpp.

Fatto

La difesa ricorreva in cassazione deducendo la mancata applicazione della pena sostitutiva ex articolo 545 cpp, evidenziando che a fronte di richiesta in tal senso formulata dall’imputato in sede di appello, la Corte territoriale, con ordinanza dettata a verbale di udienza ma la cui motivazione non è presente nella sentenza, ha ritenuto non sussistenti i presupposti per la sostituzione, in quanto la pena supera i quattro anni di reclusione e l’istanza risulta generica.

Sul punto l’imputato eccepisce che, tenuto conto del “presofferto” nell’esecuzione della misura cautelare custodiale degli arresti domiciliari (in corso per detto reato sin dal 10 marzo 2022), al momento della pronuncia della condanna la pena residua era inferiore al limite dei quattro anni e, considerato che erano stati applicati gli arresti domiciliari, non emergevano profili ostativi all’espiazione della pena in regime di detenzione domiciliare.

Infine, in merito alla asserita “genericità” dell’istanza l’imputato evidenzia che non vi era alcun obbligo di indicare la specifica pena sostitutiva da applicare “dovendo il Giudice di merito, come è noto ex art. 545 bis cod. proc. pen., prendere atto del consenso alla sostituzione della pena e poi fare la valutazione del caso eventualmente fissando apposita udienza”.

Decisione

La Suprema Corte preliminarmente evidenzia che l’ordinanza di rigetto della richiesta di sostituzione della pena detentiva è ricorribile in cassazione unitamente alla sentenza che definisce il grado nel quale l’istanza è stata formulata.

Infatti il diverso principio affermato dalla cassazione sezione 6, ord. n. 30767 del 28/04/2023, Rv. 284978 – 01, è riferito alla sentenza di applicazione della pena su richiesta per la quale, a differenza del procedimento ordinario, il giudice del patteggiamento può applicare una delle pene sostitutive di cui agli artt. 20-bis cod. pen. e 53 legge 24 novembre 1981, n. 689 solo se tale sostituzione sia stata oggetto dell’accordo, di tal che in tale particolare rito alternativo – a differenza che nel giudizio ordinario – l’imputato non si può dolere se, in assenza di accordo sul punto, il giudice non esamini la possibilità di detta sostituzione.

In ordine alla sostituzione della pena detentiva con le pene alternative della semilibertà sostitutiva e della detenzione domiciliare sostitutiva, introdotte con l’art. 20 bis cod. pen. dal d.lgs. n. 150 del 2022, è possibile solo se la condanna non ecceda il limite di quattro anni (tre anni per la sostituzione con il lavoro di pubblica utilità sostitutivo).

L’espressione utilizzata dal legislatore, che indica quale presupposto per la sostituzione la “condanna alla reclusione o all’arresto non superiori a quattro anni”, rende evidente che il limite per l’applicazione delle pene sostitutive è rappresentato dalla entità della detentiva inflitta con sentenza di condanna (che individua la concreta gravità del fatto di reato) e non anche dalla pena residua da scontare tenuto conto dell’eventuale “presofferto cautelare”.

D’altro canto, quando il legislatore ha inteso dare rilievo alla pena effettiva da espiare lo ha indicato espressamente: è il caso dell’art. 47, comma 3-bis, della L. n. 354 del 1975 (Ordinamento penitenziario) – introdotto dal decreto legge n. 146 del 2013, convertito con modificazioni nella legge n. 10 del 2014 – che, sempre in riferimento al limite edittale che consente l’applicazione di misura alternativa alla detenzione carceraria, precisa che l’affidamento in prova può essere concesso “al condannato che deve espiare una pena, anche residua, non superiore a quattro anni detenzione”.

Va quindi ribadito il principio, recentemente affermato (e di cui dà conto la notizia di decisione n. 12/23 relativa alla pronuncia adottata dalla Sez. 1 all’udienza dell’11/10/2023), secondo il quale: “l’art. 95 d.lgs. n. 150 del 2022 si riferisce, come si desume dall’art. 545-bis cod. proc. pen., alla pena irrogata con la sentenza di condanna, con la conseguenza che la differente struttura giuridica delle pene sostitutive rispetto alle misure alternative alla detenzione e la diversa ratio cui gli istituti si ispirano rendono non irragionevole una disciplina diversificata e, pertanto, manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale prospettata”.