Un appello contro la tirannia delle maiuscole (di Vincenzo Giglio e Riccardo Radi)

Giriamo ogni giorno per le vie del diritto.

E ogni giorno notiamo una cosa che ci crea disagio e fastidio.

Tutto parte dalla consapevolezza che le parole possono comporsi in storie indimenticabili e versi bellissimi ma anche trasformarsi in uno strumento di governo e potere, quasi mai a fin di bene.

Ci pare che parte integrante di questo strumento sia l’uso sempre più esteso e sempre meno plausibile delle maiuscole.

Il nostro terreno preferito di esplorazione è la giurisprudenza di legittimità e quindi ci muoviamo tra le sentenze della Corte di cassazione.

Nella homepage del suo sito web istituzionale le prime parole che si leggono in alto a sinistra sono queste: Corte Suprema di Cassazione.

Come tutti sanno “suprema” è un aggettivo e “cassazione” è un sostantivo che riporta alla funzione tipica della Corte: cassare, cioè annullare, togliere effetto.

Un aggettivo e un sostantivo, secondo regole comunemente accettate, iniziano con la maiuscola solo se si trovano all’inizio di una frase e dopo un punto ma, a quanto pare, esse non valgono più se riferite alla Corte Suprema di Cassazione.

Pare una stranezza che diventa ancora più strana se si pensa che l’impugnazione di fronte al giudice di legittimità viene comunemente denominata ricorso per cassazione e non Ricorso Per Cassazione.

Deduciamo quindi che ciò che è giusto ed anzi doveroso per il giudice supremo non lo è più se si tratta di un trascurabile atto difensivo.

Tale è l’enfasi da maiuscola che, sempre muovendosi dentro la homepage di cui sopra, perfino l’annuncio di un convegno, peraltro già tenuto, è così congegnato: “I Cento anni della Corte di cassazione “Unica” con intervento della Prima Presidente…”.

Guardiamo con favore alla Cassazione diventata cassazione ma non possiamo fare a meno di notare “Cento” (deve sicuro trattarsi di un numero maestoso), “Unica” (e ti pareva) e “Prima” (va da sé).

E poi ci sono le sentenze con le loro parole.

Prima di iniziare a parlarne segnaliamo che in un numero crescente di decisioni, allorché si citano come d’abitudine i precedenti, le sentenze diventano Sentenze e le ordinanze diventano Ordinanze: ecco allora che la maestà dell’organo giudiziario viene traslata ai suoi atti tipici. Va da sé che nessuno mai si sognerebbe di usare lo stesso riguardo ad atti difensivi: non capiterà mai quindi di leggere il già citato Ricorso Per Cassazione, oppure Atto di Appello (ma si potrà invece leggere Corte di Appello), oppure Memoria e Note d’Udienza e cos’altro ancora.

È arrivato il momento di entrare in quelle Sentenze e qui basterà una rapida carrellata per poi avviarsi alla conclusione: “Supremo Consesso”, “Sezioni Unite”, “Cattedra Nomofilattica”, “Collegio”, perfino “Cancelleria”, quest’ultima evidentemente, in quanto apparato servente, gode della stessa maestosità dell’apparato servito.

In questo trionfo di maiuscole, ci si aspetterebbe analogo riguardo verso chi fa le leggi e invece no: si legge quasi sempre “legislatore” e quasi mai “Legislatore”.

Qual è, ci chiediamo, il senso di questo diluvio di maiuscole?

Non abbiamo certezze e siamo quindi costretti a rifugiarci in congetture: un gigantesco ego collettivo, la sottolineatura di un ruolo essenziale, una barriera contro il resto del mondo, una volontà di distanza, il desiderio di suscitare timore o addirittura terrore? Tutto è possibile, nulla è certo.

Comunque sia, quel diluvio ci pare sbagliato se considerato dal lato dei suoi artefici, ancora più sbagliato da parte di chi vi presta acquiescenza e lo replica acriticamente nei suoi atti.

Da qui il nostro appello: chi non appartiene al Supremo Consesso o alla Suprema Corte e si limita a redigere un onesto ricorso per cassazione, eviti di clonare quella terminologia così pomposa e ingiustificata, non le dia spazio oltre le spesse mura del Palazzaccio.

Potrebbe essere anche questo un modo per ritornare al giusto stato di natura.