Strage: configurabile solo se l’agente metta in pericolo la vita di una pluralità indeterminata di persone (di Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 6^, sentenza n. 25770/2023, udienza del 17 maggio 2023, compie un’accurata analisi del delitto di strage e ne esclude la configurabilità nella condotta del ricorrente che, alla guida di una vettura, l’ha indirizzata a forte velocità verso un gruppo di persone sedute a tavola, cagionando la morte di una di esse e il ferimento di altre.

La fattispecie di strage

La fattispecie di strage (art. 422 cod. pen.) richiede espressamente, oltre all’intenzione di uccidere ed alla causazione della morte di almeno una persona, il compimento di atti tali da «porre in pericolo l’incolumità pubblica».

Non a caso, infatti, essa si trova catalogata tra i delitti contro l’incolumità pubblica (titolo VI del codice penale) e, specificamente, tra i delitti di «comune pericolo mediante violenza» (capo I).

Il requisito del pericolo per l’incolumità pubblica distingue, dunque, la strage dall’omicidio e dagli altri delitti contro l’incolumità personale, giustificandone un trattamento sanzionatorio particolarmente rigoroso.

Esso reclama, pertanto, un’ineludibile valorizzazione in sede interpretativa, sia sul piano dell’elemento oggettivo del reato, sia su quello (correlato) dell’elemento soggettivo.

Se ne desume che il delitto di cui all’art. 422 cod. pen. sussiste soltanto quando il soggetto agente, con intenzione di uccidere, abbia volutamente posto in pericolo la vita di una pluralità “indeterminata” di persone: ove è appena il caso di sottolineare come il requisito della “indeterminatezza” possa essere inteso in senso quantitativo (la conoscenza della specifica identità della vittima non essendo, d’altronde, richiesta nemmeno ai fini dell’elemento soggettivo dell’omicidio “comune”, in base ai normali principi in tema di oggetto del dolo) e che, se inteso in senso qualitativo, implica necessariamente la “casualità” delle vittime.

Sempre in via preliminare, infine, è utile precisare che la verifica della potenzialità offensiva dell’azione nei confronti della incolumità pubblica deve essere condotta guardando alle circostanze di contesto (modale, spaziale, temporale ecc.) in cui l’azione è stata realizzata, un significato particolare, seppur non necessariamente assorbente, dovendo essere attribuito allo strumento usato dall’agente.

La casistica giurisprudenziale

Tale ricostruzione, che discende pianamente dai dati legislativi e sistematici, trova peraltro conferma nella casistica giurisprudenziale.

In essa si rinvengono, infatti, le “classiche” situazioni in cui, in presenza dei suddetti elementi costitutivi, l’autore ha collocato bombe o altri ordigni esplosivi in edifici abitati o frequentati da una pluralità di persone (sez. 1, n. 42990 del 18/09/2008, Rv. 241824; sez. 2, n. 49292 del 18/11/2004, non massimata; sez. 1, n. 33459 del 12/07/2001, Rv. 219845, cui è possibile aggiungere, sebbene riferita alla diversa – ma ai nostri fini assimilabile – ipotesi di cui all’art. 285 cod. pen., la recente sez. 2, n. 38184 del 06/07/2022, Rv. 283904).

Vi si trovano però anche casi in cui il mezzo usato è, di per sé preso, meno dirompente, ma, alla luce di altre circostanze di contesto (ad esempio, spaziale), egualmente caratterizzato dall’impossibilità di contenerne e, dunque, prevederne anticipatamente gli effetti in potenza dannosi per l’incolumità pubblica, come accade quando l’agente abbia usato un’arma per sparare per le strade cittadine. Così, in sez. 1, n. 43681 del 13/05/2015, Rv. 264747, ove peraltro si precisa che, per contro, è qualificabile come omicidio plurimo, tentato o consumato che sia, il ben diverso caso in cui l’aggressione sia portata contro un gruppo specifico di avversari, pur se con accettazione del rischio di colpire altri soggetti presenti, o in sez. 6, n. 16470 del 24/03/2021, Rv. 281053, in cui si valorizza la casualità delle vittime.

Il caso concreto

Tutto ciò precisato e venendo al caso concreto, dalle sentenze di merito emergono i seguenti elementi fattuali.

La sera del 31/08/2018 alcuni abitanti, residenti in via S., nella località di P., per trascorrere la serata insieme, avevano organizzato una cena sulla pubblica via, che era un vicolo cieco – nella pronuncia impugnata è definita «una sorta di “cortiletto”» -, collocando un tavolo e le sedie tra due auto parcheggiate, accanto all’abitazione del ricorrente GF il quale, dopo aver accompagnato a casa la ex moglie, tornava verso casa.

Ad un certo punto, superando l’incrocio, GF imboccava il vicolo a velocità elevata.

Quindi, dopo la prima delle due macchine parcheggiate, sterzava verso destra in direzione del gruppo travolgendo una prima volta i commensali. Per altre due volte, effettuava la manovra di retromarcia ed investiva nuovamente i presenti, cagionando, dunque, tre impatti complessivi, in esito ai quali si verificava la morte di una signora e il ferimento di molteplici altri astanti, prima di allontanarsi, sempre a velocità elevata, a bordo dell’auto.

La condotta non è qualificabile come strage

Così come ricostruito dalle sentenze di merito, il fatto realizzato dall’imputato non è qualificabile come delitto di strage ai sensi dell’art. 422 cod. pen., in quanto di tale fattispecie difetta sia l’elemento oggettivo dell’offesa alla pubblica incolumità, sia l’elemento soggettivo, dalla giurisprudenza di legittimità peraltro delineato in termini particolarmente stringenti, e cioè, talvolta, come dolo “specifico” (o comunque intenzionale), richiedendosi, in capo al soggetto agente, oltre alla volontà di uccidere almeno una persona, la consapevolezza della contestuale esposizione a pericolo di un numero indeterminati di individui (per esempio, richiamando la precedente giurisprudenza, sez. 1, n. 43681 del 13/05/2015, Rv. 264747).

Per contro, dallo strumento usato dall’imputato (automobile lanciata in corsa) e dalla dinamica dell’azione (sterzata, per ben tre volte, in direzione della tavolata collocata tra due macchine) è logico desumere come l’obiettivo di GF, fosse tutt’altro che “indeterminato” e casuale, essendo, al contrario,

rappresentato proprio dal gruppo di persone riunite a fini conviviali nel vicolo cieco, nei confronti delle quali è stata, d’altronde, realizzata l’offesa, senza mettere in pericolo l’incolumità di estranei.

Tale conclusione, peraltro, sembra trovare conferma in altre risultanze probatorie richiamate in sentenza, la cui motivazione appare, dunque, sotto tale profilo altresì contraddittoria.

Per un verso, infatti, nella pronuncia si spiega che due testi hanno riferito: l’uno, del risentimento di GF perché qualcuno gli aveva danneggiato l’automobile; l’altro, del fastidio che l’imputato provava a causa dell’abitudine dei vicini – da non dismessa a seguito delle sue pacate proteste – di parlare per strada, disturbandone il sonno: circostanze significative dello specifico livore verso individui specifici (poco interessando – come detto – che le loro identità fossero e meno note all’agente).

Per altro verso, la sentenza valorizza (a diverso fine) la deposizione di altro teste il quale ha sostenuto di aver letto il labiale di GF mentre pronunciava le parole «Vi ammazzo tutti», del pari emblematiche di un’intenzione omicida precisamente indirizzata.

Né è sufficiente a dimostrare la sussistenza del pericolo per la pubblica incolumità la presenza in via S., oltre che dei “commensali”, anche di un altro uomo (G.) che peraltro – in modo poco chiaro – in un punto la sentenza dice essere accorso dopo il secondo “investimento” e, in altro punto, che stesse lucidando la sua autovettura nel momento in cui l’imputato sopravveniva a tutta velocità.

Così come – alla luce del contesto temporale (tarda ora notturna) – non sembra implicare un pericolo per l’incolumità pubblica l’altra circostanza sui cui, pure, la motivazione indugia, quando rileva che «l’arresto della marcia da parte dell’imputato avvenne in via D., circa 50/60 metri prima dell’incrocio con via degli O., sicché risulta di tutta evidenza come l’imputato avesse attraversato la via degli O. “senza guardare nemmeno chi arrivava”».

Alla luce di rilievi svolti – e, in particolare, del difetto sia dell’elemento oggettivo del pericolo la pubblica incolumità, sia del relativo elemento soggettivo -, va esclusa la qualificazione giuridica del fatto come strage.

Si impone, dunque, l’annullamento della sentenza impugnata ed il rinvio al giudice di merito, essendo appena il caso di precisare che la mancata qualificazione del fatto come strage non esclude la configurabilità di altri titoli di reati contro l’incolumità individuale.