Società in house e condizioni per la configurazione del peculato per distrazione a carico dei loro dipendenti (di Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 6^, sentenza n. 25173/2023, udienza del 13 aprile 2023, ha definito un ricorso in tema di società in house e delle condizioni alle quali può essere attribuito il delitto di peculato ai soggetti che operano in tali società.

Società in house

I soggetti inseriti nella struttura organizzativa e lavorativa di una società possono essere considerati pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, quando l’attività della società medesima sia disciplinata da una normativa pubblicistica e persegua finalità pubbliche, pur se con gli strumenti privatistici (Sez. 6, n.19484 del 23/1/2018, Rv. 273781; Sez. 6, n. 1826 del 27/11/2019, dep. 2020, rv. 278125; Sez. 6, n. 10780 del 17/11/2020, dep. 2021, Rv. 281083).

Con specifico riferimento alle società in house si è, anche recentemente, ribadito che riveste la qualifica di incaricato di pubblico servizio il legale rappresentante di una società a totalitaria partecipazione pubblica, deputata allo svolgimento di attività di pubblico servizio corrispondente a quello affidato all’ente pubblico controllante (Sez. 6, n. 37076 del 30/6/2021, Rv. 282305).

Esaminando una fattispecie similare a quella oggetto del presente giudizio, la Cassazione ha precisato che riveste la qualifica di incaricato di pubblico servizio il legale rappresentante di una società a responsabilità limitata, interamente controllata da una società “in house”, deputata all’espletamento di attività di carattere tecnico che si pongano in rapporto ausiliario e strumentale rispetto ai compiti pubblicistici perseguiti dalla società controllante (Sez. 6, n. 58235 del 9/11/2018, Rv. 274815).

Peculato per distrazione

La giurisprudenza più recente ha avuto modo di precisare che il peculato per “distrazione” presuppone in ogni caso che il denaro sia destinato a scopi incompatibili con il perseguimento di finalità di interesse pubblico.

Si è affermato, infatti, che solo l’utilizzo per finalità esclusivamente personali ed estranee a quelle istituzionali di denaro pubblico determina la “distrazione” dello stesso, mentre il peculato non è ravvisabile nei casi in cui l’interesse privato dell’agente e quello istituzionale dell’ente siano sincroni e sovrapponibili, non risultando in alcun modo contrastanti (Sez. 6, n. 36496 del 30/9/2020, Rv. 280295).

La regolarità contabile attiene esclusivamente al profilo della liceità amministrativa e può, eventualmente, determinare una responsabilità risarcitoria in capo ai pubblici amministratori, senza che ne consegua necessariamente anche una responsabilità di tipo penale.

Ove i fondi pubblici non vengano destinati a finalità privatistiche, pur se utilizzati in violazione della normativa contabile, il delitto di peculato non può configurarsi in quanto viene meno l’elemento tipico dell’appropriazione dei beni o, comunque, della destinazione a finalità incompatibile con quelle del perseguimento di un interesse di natura pubblicistica.

Principio di diritto

In conclusione, deve affermarsi il principio per cui non integra il delitto di peculato l’utilizzo dei fondi di una società interamente partecipata da un ente pubblico che provveda al perseguimento di una finalità dell’ente medesimo, in quanto non sussiste il requisito dell’appropriazione, né della distrazione del denaro per fini privatistici, potendosi al più ipotizzare una irregolarità rilevabile sotto il profilo della responsabilità contabile, inidonea a dar luogo al reato in esame.

In buona sostanza, se una società in house si fa carico di un esborso nell’interesse dell’ente che ne detiene l’intero capitale sociale, viene meno il requisito dell’appropriazione, proprio perché il patrimonio deve ritenersi sostanzialmente comune ed il fine perseguito non è incompatibile con il l’interesse pubblico.