Il possesso di informazioni privilegiate da solo è insufficiente a dimostrare il reato di turbativa d’asta (di Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 6^, sentenza n. 12333/2023, udienza dell’1° marzo 2023, ha affermato alcuni condivisibili principi in tema di turbativa d’asta e riguardo al requisito del fumus commissi delicti ai fini del sequestro preventivo.

Due indagate hanno fatto ricorso per cassazione avverso un’ordinanza del tribunale del riesame che ha confermato il sequestro preventivo in loro danno di due lotti immobiliari nell’ambito di un procedimento nel quale una delle due, nella qualità di funzionario giudiziario in servizio presso un tribunale, era accusata di due episodi di turbativa d’asta e del delitto di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico, e l’altra, sua figlia, era accusata in concorso con la prima di un episodio di turbativa d’asta per aver partecipato ad una procedura quale soggetto fittiziamente interposto.

Si darà conto adesso degli spunti più interessanti della decisione di legittimità qui commentata.

L’incidenza del divieto posto dall’art. 1471 cod. civ.

La giurisprudenza civilistica (Sez. 3 civ. n. 4149 del 13/02/2019, cit.) ha chiarito che il divieto posto dall’art. 1471 cod. civ. è preposto alla tutela anche solo dell’immagine di imparzialità, correttezza ed equidistanza della pubblica amministrazione.

Argomentando da tale finalità, la medesima pronuncia riconosce alla disposizione un ampio ambito applicativo quanto i soggetti (magistrati, cancellieri, custodi ecc.) e al momento a partire dal quale opera il divieto.

Sotto il primo aspetto, la pronuncia precisa che la preclusione «opera pure per i cancellieri e per gli ufficiali giudiziari ed in particolare, nel caso di ufficio unico di esecuzione, il divieto si estende a tutti gli ufficiali giudiziari dell’ufficio medesimo, perché l’attività del funzionario o dell’ufficiale pubblico non è mai personale, potendo essere esercitata da uno qualsiasi dei funzionari o pubblici ufficiali addetti all’ufficio».

Sotto il secondo aspetto, specifica che si deve «considerare la procedura dal suo inizio, cioè dal pignoramento e fino alla sua definizione (normalmente, il decreto di trasferimento, salvo che possa rilevare – nell’eventualità di peculiare incidenza prospettica o prognostica sulle modalità di vendita – anche la fase successiva della distribuzione)».

Ancora, la sentenza insiste sul fatto che l’art. 1471 cod. civ. si riferisce ai «soggetti che istituzionalmente – e quindi necessariamente – concorrono o possono normalmente concorrere allo sviluppo della procedura: ad esempio, in ogni tipo di espropriazione che culmini con un trasferimento coattivo del diritto staggito, il cancelliere o l’impiegato della cancelleria direttamente coinvolto e, ovviamente, il giudice dell’esecuzione» e aggiunge che «il divieto attinge […] tutti costoro in uno ai loro, poco importa se potenziali od effettivi, sostituti occasionali o istituzionali, i quali cioè loro sono subentrati, subentrano o potrebbero loro subentrare per uno o più atti della procedura stessa per previsione di legge o di regolamento o – per il personale di cancelleria – di organigramma amministrativo oppure ancora – quanto ai magistrati – delle tabelle di organizzazione degli uffici».

Insomma, la giurisprudenza civile riconosce al divieto di cui all’art. 1471 cod. civ. un ambito di operatività vasto che, con la terminologia penalistica, potrebbe essere riferito ad “pericolo astratto”.

Tanto puntualizzato, la disposizione in esame non integra però la legge penale e tantomeno – come sembrerebbe assumere il ricorso – la esaurisce, avendo le due disposizioni aree applicative e funzioni diverse.

L’art. 353 cod. pen. descrive infatti un reato comune, in cui l’essere l’agente “preposto” alla procedura costituisce una mera aggravante, peraltro, nel caso di specie, non contestata.

Natura del reato di turbativa d’asta

Soprattutto, l’art. 353 cod. pen. descrive un reato sì di pericolo, ma “concreto”.

Da tempo la giurisprudenza di legittimità ha infatti precisato che il delitto di turbativa di asta si configura non solo nel caso di danno effettivo, ma anche nel caso di danno mediato e potenziale, non occorrendo l’effettivo conseguimento del risultato perseguito dagli autori dell’illecito, ma la semplice idoneità degli atti ad influenzare l’andamento della gara (Sez. 6, n. 12821 del 11/03/2013, Rv. 254906, che ha ritenuto configurato il reato in un caso in cui lo scambio di informazioni tra più imprese prima dello svolgimento della gara, avvenuto al fine di predeterminarne l’esito, sebbene avesse inciso in misura modesta sul calcolo delle medie per l’individuazione dell’aggiudicatario e fosse inidoneo a dare garanzie assolute sul risultato, aveva concretamente alterato il confronto delle offerte ed influenzato la regolarità della competizione. In senso analogo, quantomeno, Sez. 6, n. 28970 del 24/04/2013, Rv. 255625; Sez. 6, n. 41365 del 27/09/2013, Rv. 256276).

Vero è però pure che, ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 353 cod. pen., occorre che tale idoneità, nella quale consiste appunto la “turbativa”, si sia in qualche modo manifestata, nel senso che le condotte poste in essere dall’agente devono essersi tradotte in una concreta minaccia per la libera concorrenza.

Occorre, più precisamente, che le condotte specificamente descritte in fattispecie – siano esse di tipo collusivo, violento o decettivo – abbiano in qualche modo cagionato la verificazione del citato evento di pericolo, determinando, cioè, un rischio di alterazione di quello che, diversamente, sarebbe stato il corso degli incanti.

Una siffatta interpretazione, che garantisce il necessario e costituzionalmente conforme contenuto di offensività (e quindi di determinatezza) della fattispecie penale, si pone in linea con il più recente orientamento della Cassazione secondo cui, in tema di turbata libertà degli incanti, non integrano i mezzi fraudolenti previsti dalla norma incriminatrice, le condotte anteriori all’allestimento della gara tese ad eludere cause ostative alla partecipazione alla procedura di evidenza pubblica, le quali non sono ex se idonee ad esporre pericolo il bene dell’effettività della libera concorrenza, se non in termini meramente potenziali (Sez. 6, n. 24772 del 24/02/2022, Rv. 283606, con la quale è stata annullata la condanna per il reato di cui all’art. 353 cod. pen., inflitta in relazione alla condotta dissimulatoria, realizzata anche mediante falsi documentali, di cause di esclusione dalla procedura di evidenza pubblica ai sensi dell’art. 80 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, da parte di un operatore economico resosi aggiudicatario di un rilevante appalto).

Di conseguenza, la circostanza che la ricorrente rientrasse nella preclusione prevista dalla disposizione civilistica, in quanto addetta alla cancellaria della sezione fallimentare quando iniziò la procedura fallimentare che condusse all’esecuzione, non integra, per ciò solo, la fattispecie penale in termini di automatismo.

D’altra parte, va riconosciuto che i giudici del riesame, nel provvedimento impugnato, non delineano una coincidenza tra divieto civile e fattispecie penale, utilizzando piuttosto l’argomento dell’art. 1471 cod. civ. ad adiuvandum, se non semplicemente de relato.

I giudici del riesame insistono piuttosto (oltre sulla ritenuta interposizione fittizia della figlia, di cui si è già detto) sulla condizione di privilegio informativo in cui si trovava la ricorrente, la quale, avendo preso visione dei fascicoli in quanto cancelliera presso la sezione fallimentare del Tribunale, si potrebbe presumere fosse nelle condizioni di apprendere per tempo dell’avvio della procedura fallimentare e che, dunque, essendo nelle condizioni di rappresentarsi anticipatamente anche il successivo inizio di quella esecutiva, potrebbe aver conseguito quantomeno un vantaggio temporale suscettibile di alterare la par condicio della gara.

Non precisano tuttavia espressamente se e come ciò sia realmente accaduto.

Escluso, in altre parole, che il mero privilegio informativo integri, da solo, la turbativa (richiedendosi a tal fine un quid pluris) e ricordato che – come pure rilevato dalla ricorrente – le gare, almeno da un certo momento in poi, sono pubbliche e come tali conoscibili da chiunque, i giudici del riesame non esplicitano in che modo le condotte delle due ricorrenti siano state idonee ad alterare il normale gioco della concorrenza.

Il fumus commissi delicti

In punto di diritto, e in conclusione, è opportuno ricordare che il fumus commissi delicti per l’adozione di un sequestro preventivo, pur non dovendo integrare i gravi indizi di colpevolezza di cui all’art. 273 cod. proc. pen., deve comunque concretarsi in concreti e persuasivi elementi di fatto, quantomeno indiziari, che consentano di ricondurre l’evento punito dalla norma penale alla condotta dell’indagato (Sez. 5, n. 3722 del11/12/2019, dep. 2020, Rv. 278152) ovvero – con altra ma convergente formula – che occorre procedere ad una verifica puntuale e coerente delle risultanze processuali, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull’esistenza della fattispecie dedotta, all’esito della quale possa sussumere la fattispecie concreta in quella legale e valutare la plausibilità di un giudizio prognostico in merito alla probabile condanna dell’imputato (Sez. 6, n. 49478 del21/10/2015, Rv. 265433).

Resta infatti sempre valido, anche con riferimento al sequestro preventivo, l’ormai risalente indirizzo della Cassazione nella sua più autorevole composizione (a proposito del sequestro probatorio), secondo cui il tribunale deve stabilire l’astratta configurabilità del reato ipotizzato, nel senso che «l’accertamento della sussistenza del fumus commissi delicti va compiuto sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati in punto di fatto per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno valutati così come esposti, al fine di verificare se essi consentono di sussumere l’ipotesi formulata in quella tipica. Pertanto, il tribunale non deve instaurare un processo nel processo, ma svolgere l’indispensabile ruolo di garanzia, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull’esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando l’integralità dei presupposti che legittimano il sequestro» (Sez. U, n. 23 del 20/11/1996, dep. 1997, Bassi, Rv. 206657).

Alla luce delle considerazioni svolte, si rende necessario l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata con riguardo al sequestro.