Cassazione penale, Sez. 1^, sentenza n. 45839/2023, udienza camerale del 4 luglio 2023, ricorda che l’avvenuto riconoscimento da parte della sentenza di applicazione di pena, per i reati di cui agli artt. 319, 319-bis e 321 cod. pen. della circostanza attenuante speciale di cui all’art. 323-bis, comma secondo, cod. pen. (per i delitti previsti dagli articoli 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320, 321, 322 e 322- bis, cod. pen., per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l’individuazione degli altri responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite, la pena è diminuita da un terzo a due terzi), rendeva obbligatoria — nel regime introdotto dalla Legge 9 gennaio 2019, n. 3, successivamente soppresso dalla legge del 30 dicembre 2022, n. 199 – la sospensione dell’ordine di esecuzione ai sensi dell’art. 656, comma 5, cod. proc. pen.
L’art. 656, comma 5, cod. proc. pen., stabilisce che quando sia irrogata condanna per pene detentive brevi nei termini ivi indicati “il pubblico ministero, salvo quanto previsto dai commi 7 e 9, ne sospende l’esecuzione”: in tal modo, la norma, da un lato, delinea in via generale i presupposti per applicare la sospensione dell’ordine di esecuzione, onde consentire al condannato la possibilità di formulare istanza di ammissione ad una misura alternativa, tant’è che è testuale la prescrizione per cui il PM procedente, quando adotti il decreto di sospensione, nel notificarlo al condannato ed al suo difensore, deve inserire anche l’avviso che, entro trenta giorni, potrà essere presentata istanza per la concessione delle misure alternative alla carcerazione, disciplinate dalla legge sull’ordinamento penitenziario. Dall’altro, si rinvia ai divieti derogatori della previsione generale, regolati dai successivi commi sette e nove.
Tale disposizione introduce la previsione tassativa di situazioni di esclusione dalla sospensione dell’ordine di esecuzione, iniziando alla lett. a) proprio dall’intervenuta condanna per i delitti di cui all’art. 4-bis Ord. pen. e successive modificazioni.
Secondo quanto già affermato dal costante e condivisibile orientamento di legittimità, la formulazione testuale dell’art. 656 citato e il richiamo esplicito, quale condizione ostativa, all’intervenuta condanna per uno dei delitti indicati nella norma speciale dell’art. 4-bis Ord. pen. manifesta l’intento del legislatore, ai fini del diniego del beneficio, di assegnare esclusivo rilievo a tale profilo oggettivo sulla scorta del mero titolo del reato giudicato, in ragione della presunzione di specifica pericolosità di quanti ne siano stati ritenuti responsabili, a prescindere dalla modulazione delle decisioni assunte in tema di trattamento punitivo e di bilanciamento tra circostanze eterogenee (cfr. Sez. U, n. 20 del 13/07/1998, Griffa, Rv. 211467; Sez. 1, n. 20796 del 12/04/2019 Rv., 276312 – 01; Sez. 1, n. 36318 del 19/09/2012, Rv. 253784; Sez. 1, n. 16741 del 02/04/2008, Rv. 240128).
Il rinvio operato dall’art. 656, comma 9 cod. proc. pen., all’elenco dei reati dell’art. 4-bis Ord. pen. è, di tipo formale non recettizio. Infatti, “non recepisce materialmente la norma richiamata ed i suoi presupposti soggettivi di applicabilità, ma si limita ad affidare alla norma richiamata l’individuazione delle categorie di delitti per i quali non si applica la sospensione delle pene detentive brevi” (Sez. U Aloi).
Ne segue che il catalogo dei delitti ostativi alla sospensione della esecuzione di pene detentive brevi, è identico a quello dei delitti che impediscono di accedere alle misure alternative alla carcerazione; ciò in base alla ratio dell’istituto processuale di cui all’art. 656, comma 5, cod. proc. pen., dal momento che l’ordinamento prevede di non procedere immediatamente ad espiazione nei casi in cui consente al condannato di proporre istanza per una misura alternativa. E ciò sulla base della sola astratta applicabilità di tale misura, dal momento che l’effettivo apprezzamento dei presupposti per la sua concessione resta affidato al Tribunale di sorveglianza.
A partire dalla pronuncia resa dalle Sezioni unite di questa Corte, n. 24561 del 30/5/2006, Aloi, Rv. 233976, si è affermato che l’art. 4-bis introduce un sistema di accesso alle misure alternative alla detenzione e ad altri benefici penitenziari, quali l’assegnazione al lavoro all’esterno ed i permessi premio, che opera con diverse modalità in relazione ai reati in esso previsti, raggruppati in distinte categorie, in funzione della medesima natura e della conseguente pericolosità sociale dei condannati.
Per quanto qui rileva, rispetto alle quattro “fasce” di reati in esso previsti, i reati contro la pubblica amministrazione (“delitti di cui agli articoli 314, primo comma, 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, primo comma, 320, 321, 322, 322-bis, cod. pen”), all’epoca della decisione in verifica, erano collocati in quella prevista dal primo comma per i quali “L’assegnazione al lavoro all’esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI, esclusa la liberazione anticipata” potevano essere concessi “solo nei casi in cui tali detenuti e internati collaborino con la giustizia a norma dell’articolo 58-ter della presente legge o a norma dell’articolo 323-bis, secondo comma, del codice penale”.
A seguito dell’interpolazione operata dalla legge del 9 gennaio 2019, n. 3, si riscontra nel testo dell’art. 4-bis, comma 1, Ord. pen. una commistione, determinata da evidenti ragioni di sintesi, tra la disciplina dettata per i reati ostativi in caso di collaborazione, inesigibile o impossibile, con il richiamo all’art. 58-ter Ord. pen., e quella rivolta alla particolare categoria di reati ostativi costituti dai reati contro la pubblica amministrazione, nel caso di riconoscimento dell’attenuante speciale della collaborazione di cui all’art. 323-bis cod. pen.
Da un’interpretazione sistematica degli istituti coinvolti risulta, tuttavia, evidente che, ai fini della sospensione dell’ordine di esecuzione di cui all’art. 656, comma 5, cod. proc. pen., le due situazioni non sono sovrapponili e devono necessariamente dare luogo a effetti diversi: l’accertamento della collaborazione di cui all’art. 58-ter Ord. pen., quale condizione di accesso ai benefici penitenziari, è rimessa alla magistratura di sorveglianza ed implica la valutazione di elementi fattuali anche estranei o sopravvenuti al giudizio di cognizione; l’accertamento dell’attenuante di cui all’art. 323-bis cod. pen. può essere riconosciuto solo in sede di cognizione, con la sentenza irrevocabile.
Ne segue che, a differenza dell’accertamento della collaborazione impossibile o inesigibile, il PM, al momento della decisione sulla sospensione dell’ordine di esecuzione, è perfettamente in grado di verificare l’avvenuto riconoscimento della circostanza attenuante della collaborazione, trattandosi di elemento che deve necessariamente risultare dal titolo in esecuzione e che non è nemmeno suscettibile, nella successiva fase esecutiva o di sorveglianza, di rivalutazione o di modifiche, al pari di tutte le statuizioni coperte dal giudicato.
Se a ciò si aggiunge la pacifica ratio del sistema previsto dall’art. 656, comma 5, cod. proc. pen., ossia quella di evitare la carcerazione a soggetti che, sin dal momento dell’emissione dell’ordine di esecuzione sono legittimati, al netto di valutazioni discrezionali, ad essere ammessi a misure alternative alla detenzione, il riferimento inserito nell’art. 4-bis, comma 1, Ord. pen. dalla legge n. 3 del 2019 ai condannati ai quali è stata riconosciuta la circostanza attenuante di cui all’articolo 323-bis, secondo comma, cod. pen. deve essere necessariamente interpretato nel senso di escludere dal catalogo dei reati ostativi, per i quali sussiste il divieto di sospensione dell’ordine di esecuzione, i reati contro la pubblica amministrazione di cui agli artt. 314, primo comma, 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, primo comma, 320, 321, 322 e 322-bis cod. pen. qualora sia stata riconosciuta l’indicata circostanza attenuante. E ciò in ragione del già intervenuto accertamento della condizione di immediato accesso ai benefici penitenziari (Sez. 1, n. 6763 del 08/11/2022 dep. 2023, Rv. 284370 – 01, di cui si ripercorrono le condivisibili argomentazioni).
Va, dunque, ribadito il principio di diritto secondo il quale, In tema di esecuzione, non costituisce causa di esclusione della sospensione delle pene detentive la condanna per uno dei delitti contro la pubblica amministrazione di cui all’art. 4-bis ord. pen., come modificato dalla legge 9 gennaio 2019, n. 3, in caso di avvenuta concessione dell’attenuante speciale di cui all’art. 323-bis, comma secondo, cod. pen., costituendo tale diminuente una condizione di immediato accesso ai benefici penitenziari, non suscettibile di rivalutazione o di modifica in fase esecutiva o di sorveglianza.
Infine, va tenuto presente che. prima della pronuncia, l’art. 1, comma 1, della legge 30 dicembre 2022, n. 199, nel disporre conversione, con modificazioni, del decreto-legge del 31 ottobre 2022 n. 162, ha soppresso dall’art. 4-bis, comma 1, Ord. pen. tutti i riferimenti ai reati contro la pubblica amministrazione, escludendoli dal catalogo dei reati ostativi.
