Corte costituzionale: stupefacenti, la collaborazione prevale sulla recidiva (di Riccardo Radi)

La Corte costituzionale con la sentenza numero 201 depositata il 9 novembre 2023, presidente Barbera e redattore Viganò, (allegata alla fine del post) ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 74, comma 7, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.

La Consulta osserva che la circostanza attenuante di cui all’art. 74, comma 7, t. u. stupefacenti, che parimenti prevede la diminuzione della pena dalla metà a due terzi «per chi si sia efficacemente adoperato per assicurare le prove del reato o per sottrarre all’associazione risorse decisive per la commissione dei delitti».

Rispetto all’attenuante ora in esame, anzi, le considerazioni svolte dalla sentenza n. 74 del 2016 valgono a maggior ragione, dal momento che – come l’esperienza del contrasto alle differenti forme di criminalità organizzata nel nostro Paese ha ampiamente mostrato, dagli anni Ottanta in poi – il contributo dei collaboratori di giustizia intranei ai sodalizi criminosi è di grande importanza ai fini della scoperta dell’organigramma dell’associazione e delle sue attività delittuose. Il che è, in effetti, accaduto anche nel caso oggetto del giudizio a quo, come puntualmente evidenziato dall’ordinanza di rimessione.

Risulta quindi contraddittorio che, per effetto del generale divieto introdotto nell’art. 69 cod. pen. dalla legge “ex Cirielli”, questo sostanzioso incentivo alla collaborazione venga meno laddove il potenziale collaboratore sia – come spesso accade, trattandosi di associati a delinquere – già stato più volte condannato.

La particolare gravità del delitto associativo che viene ora in considerazione, sulla quale insiste l’Avvocatura generale dello Stato, costituisce semmai una ragione in più per assicurare agli associati che intendano collaborare l’incentivo promesso in via generale dal legislatore.

Né potrebbe ritenersi, come ancora sostiene l’Avvocatura generale dello Stato, che un incentivo alla collaborazione sia comunque rappresentato, per il recidivo, dalla prospettiva di ottenere il riconoscimento dell’attenuante in parola come meramente equivalente rispetto alla recidiva reiterata. Infatti, tale prospettiva comporterebbe pur sempre, per il collaborante, l’applicazione delle elevate pene previste dall’art. 74 t.u. stupefacenti (vent’anni di reclusione nel minimo per i capi, appena al di sotto della pena minima prevista per l’omicidio volontario): pene che rischiano di scoraggiare qualsiasi scelta collaborativa, e che il legislatore ha invece inteso diminuire – addirittura sino ai due terzi – per favorire simili scelte, ritenute essenziali a fini di indagini. Tanto più a fronte della circostanza, già evidenziata dalla sentenza n. 74 del 2016, che la collaborazione processuale espone sempre a gravi rischi la propria persona e la propria famiglia.

Ciò ridonda in un vizio di irragionevolezza intrinseca della disciplina, che finisce per frustrare lo scopo perseguito dal legislatore mediante la previsione della circostanza attenuante.

Dal che la violazione – già sotto questo assorbente profilo – dell’art. 3 Cost.