Obbligo di dimora assimilato agli arresti domiciliari: condizioni per la fungibilità ex art. 657 cpp (di Riccardo Radi)

Il tema è estremamente interessante e la sentenza della cassazione sezione 1 numero 40070/2023 ci permette di fare il punto di quando ai fini della determinazione della pena detentiva da eseguire a seguito di condanna per un determinato reato, la misura cautelare dell’obbligo di dimora con prescrizione di permanenza domiciliare sia assimilabile alla misura degli arresti domiciliari e se vi rientri anche l’obbligo di presentazione alla p.g.

La Suprema Corte premette che l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria non è fungibile, ex art. 657 cod. proc. pen., con la pena inflitta, in quanto l’obbligo giornaliero di firmare il registro delle presenze non determina alcuna limitazione della libertà personale.

Dopo la premessa, in motivazione, la Cassazione ha evidenziato la diversità rispetto alla misura dell’obbligo di dimora con prescrizione di permanenza domiciliare, assimilabile a quella degli arresti domiciliari.

Il ricorrente chiede che dalla pena in espiazione sia scomputato come pre-sofferto il periodo in cui è stato sottoposto, per la stessa causa, alla misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.

Il ricorrente è consapevole che la sua istanza è totalmente priva di base legale nel sistema processuale vigente, che, ex artt. 285, comma 3, e 657, comma 1, cod. proc. pen., permette di scomputare soltanto il periodo sofferto in custodia cautelare in carcere (cui, per effetto dell’art. 284, comma 5, cod. proc. pen., è assimilabile anche quello in arresti domiciliari) o in applicazione provvisoria di misura di sicurezza detentiva, ma chiede consapevolmente una pronuncia additiva che permetta di far rientrare nella previsione dell’art. 657, comma 1, cod. proc. pen. anche il periodo sofferto in obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.

Il primo argomento che propone il ricorrente è tratto dalla pronuncia Sez. 1, 25 febbraio 2020, n.m., che ha ritenuto che “la misura cautelare dell’obbligo di dimora subita in relazione ad esso, qualora sia accompagnata dall’imposizione di prescrizioni tali da renderla assimilabile al regime degli arresti domiciliari (e, in specie, dal divieto di allontanarsi dall’abitazione, esteso oltre i limiti consentiti, nel nostro ordinamento dall’art. 283, comma 4, cod. proc. pen.), è fungibile con la pena inflitta“.

L’argomento, però, non è fondato, perché si tratta di situazioni del tutto diverse.

Il caso previsto dalla sentenza appena citata aveva ad oggetto, infatti, un obbligo di dimora cui era stata apposta la statuizione accessoria dell’obbligo di permanenza all’interno dell’abitazione per sei ore al giorno.

Il giudice di legittimità ha posto la propria attenzione proprio su tale statuizione accessoria ed ha demandato al giudice dell’esecuzione l’obbligo di motivare sul punto se una fascia temporale così ampia sia compatibile con i limiti previsti per l’obbligo di dimora dall’articolo 283 cod. proc. pen., e non si riveli, in realtà, una forma mascherata di inflizione degli arresti domiciliari.

Nulla di tutto ciò accade nel caso in cui la misura cautelare sofferta in corso di giudizio è l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, che in alcun modo può essere considerato una forma surrettizia di imposizione degli arresti domiciliari, atteso che essa non prevede alcuna limitazione della libertà personale del soggetto che vi è sottoposto, se non nei pochi minuti in cui lo stesso è obbligato a recarsi a firmare il registro presenze presso l’autorità di polizia delegata al controllo.

Il ricorrente sostiene che, però, l’obbligo giornaliero di firmare il registro presenze comporta indirettamente il divieto di allontanarsi eccessivamente dal comune di domicilio, essendo vincolato dal provvedimento giurisdizionale l’obbligo di rientro in esso quantomeno nelle 24 ore successive per apporre la firma successiva, ma una simile libertà di movimento – che è molto più ampia di quella di cui può godere il soggetto sottoposto all’obbligo di dimora, che non può proprio allontanarsi dal comune in cui ha posto il domicilio – è del tutto inassimilabile ad una restrizione agli arresti domiciliari.

È la stessa sentenza sopra citata che il ricorrente assume come parametro di giudizio, che legittima una conclusione di questo tipo, perché, nell’affermare la astratta applicabilità della norma dell’art. 657 cod. proc. pen. alla vicenda sottoposta al suo esame, ha ritenuto rilevante la statuizione accessoria dell’obbligo di permanenza nell’abitazione per sei ore al giorno, non quella principale dell’obbligo di dimora nel comune di domicilio, che pure, come detto, è una limitazione alla libertà di movimento molto più stringente di quella conseguenza del mero obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria sofferto dall’odierno ricorrente.

Il secondo argomento che propone il ricorrente è tratto dalle norme dell’art. 57 I. n. 689 del 1981, che prevede che il periodo sofferto in libertà controllata o semidetenzione si considera equivalente a quello in detenzione, e dell’art. 657-bis cod. proc. pen., che prevede che “in caso di revoca o di esito negativo della messa alla prova, il pubblico ministero, nel determinare la pena da eseguire, detrae un periodo corrispondente a quello della prova eseguita“, peraltro aggiungendo che “ai fini della detrazione, tre giorni di prova sono equiparati a un giorno di reclusione o di arresto, ovvero a 250 euro di multa o di ammenda“.

L’argomento non è fondato, perché si tratta di situazioni non assimilabili sul piano delle limitazioni imposte alla libertà personale, perché la semidetenzione comporta ex art. 55 I n. 689 del 1981 l’obbligo di trascorrere almeno 10 ore al giorno in un istituto di detenzione; la libertà controllata comporta ex art. 56 stessa legge una serie di obblighi, tra cui il divieto di allontanarsi dal comune di residenza, l’obbligo di presentarsi alla polizia giudiziaria almeno una volta al giorno, la sospensione della patente di guida, il ritiro del passaporto; la stessa messa alla prova comporta ex art. 168-bis cod. pen. una serie di obblighi tra cui la prestazione di lavoro di pubblica utilità per almeno due ore al giorno, nonché l’affidamento al servizio sociale, che può disporre anche l’obbligo di rapporti con una struttura sanitaria o limitazioni alla libertà di movimento o al divieto di frequentare determinati locali.

L’argomento non è fondato, inoltre, anche perché si tratta di situazioni non assimilabili neanche sul piano dei presupposti, in quanto l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria è una misura cautelare, ed ha quindi come presupposto la attuale pericolosità del soggetto che vi è sottoposto, attuale pericolosità che manca del tutto nella messa alla prova e nella semidetenzione e nella libertà controllata, e che è ciò che giustifica l’apposizione di una limitazione alla completa libertà di movimento del soggetto che vi è sottoposto.

In definitiva, la questione proposta in ricorso, anche sotto il profilo della valutazione della possibile illegittimità costituzionale della norma dell’art. 657 cod. proc. pen., è manifestamente infondata.

Ricordiamo altre pronunce sulla questione relativa alla fungibilità del periodo trascorso sottoposto alla misura dell’obbligo di dimora.

Ai fini della determinazione della pena detentiva da eseguire a seguito di condanna per un determinato reato, la misura cautelare dell’obbligo di dimora subita in relazione ad esso, non è fungibile, ai sensi dell’art. 657 cod. proc. pen., con la pena inflitta, salvo che sia accompagnata dall’arbitraria imposizione all’imputato di obblighi tali da renderla assimilabile al regime degli arresti domiciliari.

In motivazione la Corte ha aggiunto che l’elemento caratterizzante l’assimilazione delle due misure consiste nell’imposizione arbitraria dell’obbligo della permanenza domiciliare per un lasso temporale eccedente sia le specifiche esigenze cautelari che quello usualmente trascorso nella dimora per le ordinarie necessità di vita, riposo e cura della propria ed altrui persona.

Sez. 1, Sentenza n. 37302 del 09/09/2021 Cc.  (dep. 13/10/2021 ) Rv. 281908 – 01

Ai fini della determinazione della pena detentiva da eseguire a seguito di condanna per un determinato reato, la misura cautelare dell’obbligo di dimora subita in relazione ad esso, non è fungibile, ai sensi dell’art. 657 cod. proc. pen., con la pena inflitta, salvo che sia accompagnata dall’arbitraria imposizione all’imputato di obblighi tali da renderla assimilabile al regime degli arresti domiciliari.

Nella fattispecie la Corte ha ritenuto corretta la decisione impugnata che aveva escluso la fungibilità con riferimento al periodo in cui il condannato era stato sottoposto all’obbligo di dimora con il divieto di allontanarsi dall’abitazione per undici ore notturne.

Sez. 1, Sentenza n. 36231 del 08/11/2016 Cc.  (dep. 21/07/2017 ) Rv. 271043 – 01

Il tema è estremamente interessante per gli operatori e ci torneremo presto.