Segnaliamo una decisione della Cassazione sezione 2 sentenza 43287/2023 che si è confrontata con un modus operandi anomalo di una corte di merito che con parole della cassazione ha emesso una sentenza che “non trova giustificazione in diritto e non appare sorretta da alcuna ratio di snellimento delle procedure”.
Fatto
Con l’ordinanza impugnata la Corte territoriale ha dichiarato inammissibile l’appello formulato dalla parte civile B.Z. avverso la sentenza resa dal Tribunale che aveva assolto F. dal reato di truffa aggravata.
La Corte ha osservato che la parte civile B.Z. aveva presentato dichiarazione di appello ma che, stante l’intervenuta prescrizione del reato, era stata interpellata il 9 marzo 2022 al fine di manifestare il proprio persistente interesse nei confronti dell’impugnazione; poiché non avrebbe trasmesso alcuna comunicazione, la Corte ha ritenuto di potere desumere da questo silenzio l’intenzione di revocare la costituzione di parte civile in giudizio e conseguentemente ha dichiarato l’inammissibilità dell’appello, condannando la parte civile al pagamento delle spese processuali.
Avverso l’ordinanza impugnata propone ricorso la parte civile costituita osservando che con PEC del 9 Marzo 2022 inviata dall’indirizzo sez1.penale.ca.genova@giustiziacert.it all’avv. F. la parte civile era stata invitata a comunicare entro 30 giorni la volontà di coltivare l’azione civile.
Con PEC di risposta inviata il 30 marzo 2022 dal difensore al medesimo indirizzo veniva comunicata la volontà di proseguire l’azione civile, ma tale comunicazione non veniva presa in considerazione dal collegio che con l’ordinanza impugnata dichiarava la inammissibilità dell’appello per revoca tacita della costituzione di parte civile.
Decisione
La cassazione premette che in forza dell’art. 76 secondo comma cod. proc. pen. la costituzione di parte civile, una volta intervenuta in primo grado in virtù di procura speciale ai sensi dell’art. 100 cod. proc. pen., produce effetti in ogni stato e grado del processo, nel senso che il difensore della parte civile può resistere all’impugnazione dell’imputato, presentare conclusioni e notula spese senza necessità di altro mandato, che è richiesto soltanto per svolgere attività non difensive (Sez. 5, sentenza n. 41167 del 09/07/2014 Ud. (dep. 03/10/2014) Rv. 260682 – 01).
L’art. 82 cod. proc. pen. disciplina i casi di revoca statuendo al primo comma che “la costituzione può essere revocata con dichiarazione fatta personalmente dalla parte o da un suo procuratore speciale, in udienza o con atto depositato in cancelleria e notificato alle altre parti”.
Al secondo comma dispone che “la costituzione si intende revocata se la parte civile non presenta le conclusioni a norma dell’art. 523 cod. proc. pen. ovvero se promuove l’azione davanti al giudice civile.
Al riguardo giova rilevare che secondo consolidata giurisprudenza neppure la morte della persona costituita parte civile comporta la revoca tacita della costituzione in quanto la stessa resta valida “ex tunc”.
Né, in virtù del principio dell’immanenza della parte civile, possono integrare comportamento equivalente a revoca tacita o presunta la mancata comparizione in appello degli eredi del defunto titolare del diritto o la loro assoluta inerzia, atteso che l’art. 82, comma secondo, cod. proc. pen., limita i casi di revoca presunta o tacita della costituzione di parte civile alle sole ipotesi di omessa presentazione delle conclusioni nel corso della discussione in fase di dibattimento di primo grado.
In applicazione di tale principio la Suprema Corte ha annullato la sentenza di inammissibilità dell’appello proposto dalla parte civile in conseguenza del suo sopravvenuto decesso, non seguito da alcuna attività da parte degli eredi (Sez. 4, sentenza n. 39506 del 15/07/2016 Ud. (dep. 23/09/2016) Rv. 267904 – 01).
Nel caso in esame la Corte di appello ha adottato una prassi non legittimata da alcuna norma processuale e in aperto contrasto con il principio di immanenza della parte civile, ritenendo che, in caso di sopravvenuta estinzione del reato per prescrizione nelle more del giudizio di appello, il silenzio della parte civile appellante, interpellata tramite PEC, debba intendersi come revoca tacita della costituzione, con la conseguente inammissibilità dell’appello.
Tale modus operandi non trova giustificazione in diritto e non appare sorretto da alcuna ratio di snellimento delle procedure, ove si consideri che la prescrizione del reato intervenuta nel giudizio di appello non incide comunque sulle statuizioni civili e sull’interesse della parte privata a coltivare l’impugnazione.
Ed infatti all’esito del gravame proposto dalla parte civile avverso la sentenza di assoluzione, il giudice d’appello, anche qualora sia intervenuta la prescrizione del reato contestato, deve valutare la sussistenza dei presupposti per una dichiarazione di responsabilità limitata agli effetti civili e può condannare l’imputato al risarcimento del danno o alle restituzioni qualora reputi fondata l’impugnazione, in modo da escludere che possa persistere la sentenza di merito più favorevole all’imputato. (Sez. 2, sentenza n. 6568 del 26/01/2022 Ud. (dep. 23/02/2022) Rv. 282689 – 01)
La cassazione ha già affermato che il giudice di appello, nel dichiarare estinto per prescrizione il reato per il quale in primo grado sia intervenuta condanna anche al risarcimento del danno, è tenuto a decidere su tale ultima questione effettuando una “plena cognitio” sulla responsabilità dell’imputato, anche se la parte civile non abbia manifestato espressamente il proprio interesse alla trattazione del procedimento in appello e non vi abbia partecipato.
Fattispecie in cui la Cassazione ha annullato la sentenza che, dopo aver interpellato mediante comunicazione di cancelleria la parte civile perché manifestasse il proprio interesse alla celebrazione del processo, in assenza di risposta, aveva dichiarato la prescrizione del reato e revocato le statuizioni civili della sentenza di primo grado. (Sez. 5, sentenza n. 24469 del 09/04/2019 Cc. (dep. 31/05/2019) Rv. 276513 – 01)
A maggior ragione nel caso in esame, in cui solo la parte civile ha proposto appello avverso la pronunzia assolutoria, risulta evidente la persistenza del suo interesse civile all’impugnazione, per ottenere una pronunzia che le riconosca il diritto al risarcimento del danno cagionato dalla condotta dell’imputato, salva l’ipotesi che nelle more del giudizio penale il danneggiato non abbia ritenuto di spostare l’azione civile nel giudizio civile; ma in quest’ultima ipotesi la parte civile potrebbe comunicare il trasferimento dell’azione nel processo civile dopo avere ricevuto l’avviso di fissazione dell’udienza penale.
A questo primo profilo di illegittimità della pronunzia della Corte, si aggiunge la costatazione che il collegio non ha tenuto conto della manifestazione di persistente interesse comunicata dal difensore della parte civile costituita in ordine all’appello proposto e trasmessa al corretto indirizzo di posta certificata.
Si impone con assoluta evidenza l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata per violazione di legge.
Nel rispetto dell’art. 573 cod. proc. pen. gli atti vanno trasmessi alla Corte di Appello che in sede penale celebrerà il giudizio di appello con cognizione piena.
