Imputati assenti e necessità del mandato ad impugnare anche per il ricorso per cassazione: una nuova puntata della soap opera (di Vincenzo Giglio e Riccardo Radi)

Cassazione penale, Sez. 4^, sentenza n, 43718, udienza pubblica dell’11 ottobre 2023, si aggiunge alla schiera delle decisioni che hanno affrontato e risolto questioni di legittimità costituzionale poste dalle difese degli imputati riguardo all’art. 581, commi 1-ter e 1-quater, cod. proc. pen., in riferimento all’onere ivi posto a carico dell’imputato rimasto assente di depositare unitamente all’impugnazione, ed a pena di inammissibilità della stessa, un mandato ad impugnare comprensivo di dichiarazione o elezione di domicilio.

Al tempo stesso la decisione in commento si inserisce nella contrapposizione attualmente in corso all’interno della Suprema Corte attorno alla possibilità di estendere anche al ricorso per cassazione la prescrizione a carico dell’imputato assente di cui si è appena detto.

Si riportano adesso nella versione integrale i passaggi essenziali della decisione della quarta sezione.

Descrizione della questione

Il ricorrente solleva questione di legittimità costituzionale degli artt. 89 d.lgs. 150/22 e 581 co. 1 ter e 1 quater cod. proc. pen. per violazione dei principi di uguaglianza, effettività della tutela giurisdizionale, presunzione di non colpevolezza e giusto processo, di cui agli artt. 3, 24, 27 e 111 della Costituzione e dell’art. 6 CEDU.

L’art. 581 co. 1 ter e 1 quater cod. proc. pen. (così come introdotti dall’art. 33 del d.lgs. 150/2022, la c.d. Riforma Cartabia) richiede che unitamente all’atto di impugnazione delle parti private e dei difensori sia depositata, a pena di inammissibilità, la dichiarazione o l’elezione di domicilio ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio (art. 581 co. 1 ter), nonché, ove trattasi di imputato rispetto al quale si è proceduto in assenza che, unitamente all’atto di appello sia depositato, a pena di inammissibilità, specifico mandato ad impugnare, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza e contenente la dichiarazione o l’elezione di domicilio dell’imputato ai fini della notificazione del decreto che dispone il giudizio (art. 581 co. 1 quater).

Tale disposizione, ai sensi dell’art. 89 co. 3 d.lgs. 150/2022, si applica per le impugnazioni proposte avverso le sentenze pronunciate in data successiva all’entrata in vigore del succitato decreto, ossia dopo il 30/12/2022.

Rilevanza della questione

La suddetta questione è rilevante ai fini della decisione odierna – ed assorbente rispetto agli altri motivi proposti – ancorché la Corte di appello, che pure ha pronunciato la sentenza impugnata il 9/1/2023, ovvero in data successiva al 30/12/2022, non abbia ritenuto, come pure avrebbe potuto, di pronunciarsi per l’inammissibilità dell’appello proposto in assenza dello specifico mandato.

Il collegio ritiene, infatti, di confermare l’orientamento espresso da Sez. 5 n. 39166 del 4/7/2023, non mass., alla cui articolata e condivisibile motivazione si rimanda, secondo cui sono applicabili al ricorso per cassazione proposto dall’imputato, nei cui confronti si sia proceduto in assenza, gli specifici oneri formali previsti dall’art. 581, co. 1 quater cod. proc. pen. come novellato dall’art. 33 co. 1 lett. d) d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, posto che tale norma rientra tra le disposizioni generali relative alle impugnazioni valevoli, in mancanza di indici normativi di segno contrario, anche per il ricorso per cassazione, non potendo essere intesa nel senso di consentire l’impugnazione di legittimità nell’interesse dell’imputato assente secondo un regime meno rigoroso di quello vigente per l’appello ed essendo funzionale a garantire a quest’ultimo l’esercizio consapevole del diritto di impugnazione.

Come rileva Sez. 5 n. 39166/2023 sotto tale profilo è utile richiamare Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016 – dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822, la quale (argomentando in relazione all’ordito normativo anteriore alle modifiche introdotte dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, con considerazioni che senz’altro conservano rilievo anche per la disciplina successivamente posta) ha rimarcato come gli artt. 581 e 591 cod. proc. pen., che disciplinano i requisiti formali e sostanziali cui deve sottostare l’atto introduttivo» del giudizio di impugnazione, si collochino entrambi nel Titolo I (“Disposizioni generali”») del Libro IX (“Impugnazioni”) e siano, perciò, certamente applicabili sia all’appello che al ricorso per cassazione.

Manifesta infondatezza della questione

Detto della rilevanza della proposta questione, ritiene, tuttavia il collegio che la stessa sia manifestamente infondata.

Va subito detto che la doglianza secondo cui l’introduzione di tali norme stravolgerebbe il sistema delle impugnazioni, a cominciare dalla legittimazione all’impugnazione disciplinata dall’art. 571 cod. proc. pen., appare generica e non connotata da concreta specificità e pertinenza censoria.

Il d.lgs. 10 ottobre 2022, n.150 è stato adottato sulla base della delega legislativa conferita dalla legge 27 settembre 2021, n.134 («Delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari») e la nuova disposizione dell’art. 581, co. 1 ter, cod. proc. pen., così come sopra riportata, riproduce pedissequamente quanto previsto dall’art. 1, comma 13, lett. a) della legge delega: «fermo restando il criterio di cui al comma 7, lettera h), dettato per il processo in assenza, prevedere che con l’atto di impugnazione, a pena di inammissibilità, sia depositata dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio di impugnazione».

…Relazione illustrativa al decreto legislativo n. 150/2022

Nella Relazione illustrativa al d.lgs. n.150/2022 si legge «Il comma 1 ter dell’art. 581 cod. proc. pen., in attuazione del criterio di cui all’art. 1, comma 13, lett. a) della legge delega, introduce un’ulteriore condizione di ammissibilità dell’impugnazione: con l’atto d’impugnazione deve essere presentata la dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notificazione del decreto di citazione. In caso di impugnazione del difensore dell’imputato assente, per attuare la delega sono aumentati di quindici giorni i termini per impugnare previsti dall’art. 585, comma 1».

Analogo riscontro, nella relazione che ha accompagnato la legge, vi è per l’art. 581 co. 1 quater.

Lo scopo manifesto della novella legislativa, come ricorda lo stesso ricorrente, è quello di selezionare in entrata le impugnazioni, caducando quelle che non siano espressione di una scelta ponderata e rinnovata, in limine impugnationis, ad opera della parte.

Ebbene, ritiene il collegio che si tratti di una norma che appare del tutto ragionevole ed esercizio di una legittima scelta discrezionale attribuita al legislatore, e che non collide con alcuna delle norme costituzionali invocate.

L’asserito contrasto con i principi costituzionali poggia su un’indimostrata restrizione della facoltà d’impugnazione che deriverebbe dal chiedere all’imputato, assente per sua scelta al processo che lo ha riguardato di cui pure era stato posto a conoscenza, di indicare un domicilio che renda più agevole il processo di notificazione dell’atto d’impugnazione e, soprattutto, di rinnovare la propria volontà di proseguire in un ulteriore grado di giudizio, con possibili conseguenze negative per lui, quanto meno sotto il profilo della possibile condanna ad ulteriori spese.

…Corte costituzionale: sentenza n. 34/2020

La sentenza della Corte costituzionale n. 34 del 26 febbraio 2020 – che si è pronunciata nel senso della manifesta infondatezza dei motivi proposti in un caso in cui, nel proporre il gravame, il procuratore generale aveva eccepito l’illegittimità costituzionale dell’art. 593 cod. proc. pen., come sostituito dall’art. 2, co. 1, lett. a), del d.lgs. n. 11 del 2018, nella parte in cui prevede che il pubblico ministero possa appellare contro le sentenze di condanna «solo quando modificano il titolo del reato o escludono la sussistenza di una circostanza aggravante ad effetto speciale o stabiliscono una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato» – ricorda essere costante, l’affermazione per cui «nel processo penale, il principio di parità tra accusa e difesa non comporta necessariamente l’identità tra i poteri processuali del pubblico ministero e quelli dell’imputato: potendo una disparità di trattamento «risultare giustificata, nei limiti della ragionevolezza, sia dalla peculiare posizione istituzionale del pubblico ministero, sia dalla funzione allo stesso affidata, sia da esigenze connesse alla corretta amministrazione della giustizia» (sentenze n. 320, n. 26 del 2007 e, nello stesso senso, n. 298 del 2008; ordinanze n. 46 del 2004, n. 165 del 2003, n. 347 del 2002 e n. 421 del 2001; quanto alla giurisprudenza anteriore alla legge cost. n. 2 del 1999, nello stesso senso indicato, sentenze n. 98 del 1994, n. 432 del 1992 e n.:363 del 1991; ordinanze n. 426 del 1998, n. 324 del 1994 e n. 305 del 1992)». E nella stessa si ribadisce che il processo penale è caratterizzato da una asimmetria «strutturale» tra i due antagonisti principali, cosicché le differenze che connotano le rispettive posizioni impediscono di ritenere che il principio di parità debba (e possa) indefettibilmente tradursi, nella cornice di ogni singolo segmento dell’iter processuale, in un’assoluta simmetria di poteri e facoltà.

Soprattutto, in tale pronuncia, i giudici delle leggi hanno anche ribadito che la garanzia del doppio grado di giurisdizione non fruisce, di per sé, di riconoscimento costituzionale (ex plurimis, sentenze n. 274 e n. 242 del 2009, n. 298 del 2008, n. 26 del 2007, n. 288 del 1997, n. 280 del 1995; ordinanze n. 316 del 2002 e n. 421 del 2001), anche se a livello sovranazionale, l’art. 14, paragrafo 5, del Patto internazionale sui diritti civili e politici, adottato a New York il 16 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo con legge 25 ottobre 1977, n. 881, e l’art. 2 del Protocollo n. 7 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, adottato a Strasburgo il 22 novembre 1984, ratificato e reso esecutivo con legge 9 aprile 1990, n. 98, prevedono il diritto a far riesaminare la decisione da una giurisdizione superiore, o di seconda istanza, a favore della persona dichiarata colpevole o condannata per un reato e sebbene la riconducibilità del potere d’impugnazione al diritto di difesa sancito dall’art. 24 Cost. renda meno disponibile tale potere a interventi limitativi.

Ma – come si diceva – le norme tacciate d’incostituzionalità non prevedono affatto un restringimento della facoltà di impugnazione, bensì perseguono il legittimo scopo di far sì che le impugnazioni vengano celebrate solo quando si abbia effettiva contezza della conoscenza della sentenza emessa da parte dell’imputato, per evitare la pendenza di regiudicande nei confronti di imputati non consapevoli del processo, oltre che far sì che l’impugnazione sia espressione del personale interesse dell’imputato medesimo e non si traduca invece in una sorta di automatismo difensivo.

Altrettanto condivisibile, ragionevole e logica appare la ratio legis di operare una diversa scelta tra l’imputato presente nel processo e quello che ha deciso di non parteciparvi, se non attraverso la sua difesa tecnica.

Il ricorrente lamenta che vi sarebbe comunque un aggravio di tempo che potrebbe stridere con i tempi a disposizione per poter proporre l’impugnazione, ma proprio ad evitare ciò e a garantire la compatibilità costituzionale della nuova disciplina, il legislatore ha contemplato tutele compensative rispetto alla nuova previsione, quali l’ampliamento di quindici giorni del termine per impugnare per l’imputato assente e l’estensione del rimedio della restituzione in termini per impugnare.

Il nuovo comma 1-bis dell’art. 585 cod. proc. pen., che disciplina i termini per t’impugnazione, prevede, infatti, che i termini, previsti a pena di decadenza, per proporre impugnazione di cui al comma 1 (15, 30 e 45 giorni a seconda dei casi) sono aumentati di quindici giorni (30, 45 e 60 giorni) per l’impugnazione del difensore dell’imputato giudicato in assenza. E il nuovo comma 2.1 dell’art. 175 cod. proc. pen. prevede, poi, che l’imputato giudicato in assenza sia restituito, a richiesta, nel termine per proporre impugnazione, qualora dia prova di non aver avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo e di non aver potuto proporre impugnazione nei termini senza sua colpa.

Il ricorrente parla dell’imputato assente come di una sorta di irreperibile. Ma non è così.

La norma riguarda l’imputato assente ovvero quello che, a conoscenza del processo a suo carico, sceglie, qualunque sia la ragione, di essere assente e di farsi rappresentare dal difensore (art. 420-bis, co. 4 cod. proc. pen.).

La sua scelta deve essere volontaria e consapevole e il giudice è tenuto ad accertarlo (art. 420-bis, co. 1 e 2). Il difensore, pertanto, non dovrebbe incontrare soverchie difficoltà a farsi rilasciare, dopo la sentenza di primo grado, il mandato specifico ad appellare.

Del resto, già il comma 3 dell’art. 571, soppresso dall’art. 46 della L. 16 dicembre 1999, n. 479, stabiliva che, contro una sentenza contumaciale, il difensore potesse proporre impugnazione solo se munito di specifico mandato, anche se tale mandato poteva essere rilasciato con la nomina o anche successivamente nelle forme per questa previste.

In ogni caso, il difensore, qualora abbia motivo di ritenere che non riuscirà a farsi rilasciare il mandato specifico in tempo utile, potrà suggerire all’imputato, anche prima dell’emissione della sentenza, di nominare un procuratore speciale, come previsto dall’art. 571, co. 1, cod. proc. pen., che abbia il potere di proporre l’impugnazione.

È chiaro, comunque, che la disposizione in esame non pensa all’imputato che, dopo il primo impatto con le forze di polizia (la designazione di un difensore d’ufficio e quant’altro la legge prevede), sparisca senza lasciare traccia alcuna di sé. Costui, infatti, non potrà mai essere legittimamente dichiarato assente. Il percorso processuale che lo riguarda è diverso e confluirà, di regola, nella sentenza di non luogo a procedere per mancata conoscenza delta pendenza del processo di cui all’art. 420-quater.

Analogamente, non si rinviene alcun contrasto con le norme costituzionali nell’aver imposto all’imputato assente la dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio.

La nuova disposizione dell’art. 581, co. 1 ter, cod. proc, pen., così come l’analoga incombenza imposta dall’art. 581 co. 1 quater cod. proc. pen., riproduttiva, come in precedenza ricordato, dell’art. 1, comma 13, lett. a) della legge delega, si coordina perfettamente con il novellato art. 157-ter co. 3 cod. proc. pen. secondo cui «3. In caso di impugnazione proposta dall’imputato o nel suo interesse, la notificazione dell’atto di citazione a giudizio nei suoi confronti è eseguita esclusivamente presso il domicilio dichiarato o eletto ai sensi dell’articolo 581, commi 1 ter e 1 quater»e con l’art. 164 (rubricato «Durata del domicilio dichiarato o eletto»), che stabilisce ora quanto segue «La determinazione del domicilio dichiarato o eletto è valida per le notificazioni dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare, degli atti di citazione in giudizio ai sensi degli articoli 450, comma 2, 456, 552 e 601, nonché del decreto penale, salvo quanto previsto dall’articolo 156, comma 1.».

Il dettato normativo, sostituendo l’inciso contenuto nell’art. 164 cod. proc. pen. in base al quale la dichiarazione o l’elezione di domicilio era valida per ogni stato e grado del procedimento, ha dunque escluso che la dichiarazione o l’elezione di domicilio già presente in atti possa esimere l’impugnante dal deposito di una nuova dichiarazione o elezione di domicilio.

Ebbene, le già spese considerazioni circa il fatto che l’imputato assente non è affatto irreperibile valgono anche per l’ulteriore onere richiestogli di indicare il domicilio ove indirizzargli la notifica del nuovo decreto di citazione.

Tali considerazioni consentono di ritenere costituzionalmente compatibile – nel delineato nuovo quadro di garanzie – la novella legislativa in questione.

Commento

…Conseguenze negative dell’attuale conflitto interpretativo

Ogni modifica delle regole che presiedono all’esercizio della facoltà di impugnazione ha un rilievo centrale ai fini del diritto inviolabile di difesa: è una verità così ovvia da non richiedere alcuna ulteriore precisazione.

Se la modifica implica restrizioni o aggravi a quella facoltà il rilievo è ancora più centrale e più elevata deve essere l’attenzione del legislatore, del giudice in quanto interprete qualificato e prioritario e della comunità dei giuristi in quanto individui che riflettono sul diritto e ne traggono principi e tendenze.

Fatta questa premessa scontata, sentiamo di dover ribadire il disagio, più volte espresso in precedenti post (a questo link per consultare l’ultimo della serie, pubblicato ieri), provocatoci dalla constatazione di un attuale e al momento irrisolto contrasto interpretativo tra le sezioni ordinarie della Corte di cassazione attorno ad un tema che, proprio per ciò che si è detto, non tollera incertezze.

Certo è che al momento un ricorso per cassazione in difesa di un imputato rimasto assente e non accompagnato da un mandato ad impugnare che incorpora la dichiarazione o elezione di domicilio è destinato all’inammissibilità da alcuni collegi ed è invece ammesso da altri.

Questa situazione si pone in conflitto frontale con la funzione di stabilizzazione del diritto nazionale attribuita alla Suprema Corte e con il principio di ragionevole prevedibilità che la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo considera un essenziale corollario del principio di legalità convenzionale.

…Argomentazioni poco convincenti

Affermato questo primo punto e auspicate una rapida rimessione alle Sezioni unite e una loro altrettanto rapida risposta, destano perplessità anche alcune delle considerazioni fatte dal collegio della quarta sezione penale nella parte in cui ha affermato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale poste dalla difesa del ricorrente.

Mettiamo da parte le osservazioni, secondo noi condivisibili, contenute nella decisione della prima sezione penale che abbiamo riportato nel post pubblicato ieri. Sono lì e non serve ripeterle.

Ci riferiamo piuttosto alle impressioni suscitate da alcuni passaggi della motivazione della sentenza qui commentata.

Il collegio cita la sentenza n. 34/2020 della Corte costituzionale e ne trae argomenti decisivi.

Il primo è l’accenno alla “asimmetria strutturale” tra accusa e difesa dalla quale – si dice – deriva l’inesigibilità di una parità tra le parti in ogni singolo segmento dell’iter processuale.

Sorprende tuttavia che il collegio abbia dimenticato un passo essenziale di quella sentenza, laddove si afferma che “Alterazioni di tale simmetria – tanto nell’una che nell’altra direzione (ossia tanto a vantaggio della parte pubblica che di quella privata) – sono invece compatibili con il principio di parità, ad una duplice condizione: e, cioè, che esse, per un verso, trovino un’adeguata ratio giustificatrice nel ruolo istituzionale del pubblico ministero, ovvero in esigenze di funzionale e corretta esplicazione della giustizia penale, anche in vista del completo sviluppo di finalità esse pure costituzionalmente rilevanti; e, per un altro verso, risultino comunque contenute – anche in un’ottica di complessivo riequilibrio dei poteri, avuto riguardo alle disparità di segno opposto riscontrabili in fasi del procedimento distinte da quelle in cui s’innesta la singola norma discriminatrice avuta di mira“.

E dunque, per il giudice delle leggi le alterazioni sono possibili solo se richieste dalle prerogative funzionali del pubblico ministero e solo se, comunque, adeguatamente ovviate dal complessivo riequilibrio dei poteri.

Stando così le cose, non si comprende come quel riferimento alle asimmetrie strutturali possa giustificare di per se stesso l’aggravamento degli oneri difensivi in tema di ricorso per cassazione nell’interesse dell’imputato assente.

Il collegio ha di seguito puntato l’attenzione su un’ulteriore affermazione della Consulta, quella che esclude il riconoscimento costituzionale del doppio grado di giurisdizione.

Subito dopo tuttavia ha sottolineato che “la riconducibilità del potere d’impugnazione al diritto di difesa sancito dall’art. 24 Cost. renda meno disponibile tale potere a interventi limitativi“.

Pare un classico caso di motivazione perplessa che accoglie due principi contrastanti senza prendersi cura di chiarire quale dei due abbia priorità nel caso concreto.

Tutt’altro che convincenti appaiono infine le considerazioni, di natura empirica più che giuridica, di cui il collegio si serve per descrivere la figura dell’imputato assente e distinguerla da quello irreperibile, al dichiarato scopo di rasserenare gli animi dei difensori di imputati assenti.

Arriva a servirsi di proiezioni ipotetiche quali “Il difensore, pertanto, non dovrebbe incontrare soverchie difficoltà a farsi rilasciare, dopo la sentenza di primo grado, il mandato specifico ad appellare” o consigli pratici quali “il difensore, qualora abbia motivo di ritenere che non riuscirà a farsi rilasciare il mandato specifico in tempo utile, potrà suggerire all’imputato, anche prima dell’emissione della sentenza, di nominare un procuratore speciale, come previsto dall’art. 571, co. 1, cod. proc. pen., che abbia il potere di proporre l’impugnazione” o tentativi interpretativi tutt’altro che sofisticati quali “È chiaro, comunque, che la disposizione in esame non pensa all’imputato che, dopo il primo impatto con le forze di polizia (la designazione di un difensore d’ufficio e quant’altro la legge prevede), sparisca senza lasciare traccia alcuna di sé“.

Siamo alle battute finali e ci sentiamo di dire che, se queste sono le coordinate teoriche sulle quali si muove un collegio di giudici di legittimità, c’è ancora molto cammino da fare.