Ricorso per cassazione nell’interesse di un imputato assente: non necessitano elezione di domicilio e mandato al difensore (di Vincenzo Giglio e Riccardo Radi)

Imputato assente: serve o non serve l’elezione di domicilio e il mandato ad hoc al difensore per impugnare in Cassazione?

Sì, no, forse: continua il balletto della Suprema Corte su questo tema nevralgico.

Questa volta segnaliamo Cass. Pen., Sez. 1^, sentenza n. 43523/2023 del 26 ottobre 2023 la quale ha stabilito che il ricorso presentato è ammissibile a dispetto dell’assenza tanto della dichiarazione o elezione di domicilio quanto dello specifico mandato ad impugnare.

La Suprema Corte premette che l’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen., introdotto dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, prevede che «Con l’atto di impugnazione delle parti private e dei difensori è depositata, a pena d’inammissibilità, la dichiarazione o elezione di domicilio, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio».

Il successivo comma 1-quater dispone, poi, che «Nel caso di imputato rispetto al quale si è proceduto in assenza, con l’atto d’impugnazione del difensore è depositato, a pena d’inammissibilità, specifico mandato ad impugnare, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza e contenente la dichiarazione o l’elezione di domicilio dell’imputato, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio».

Ora, posto che nel caso di specie il ricorso è stato presentato senza che l’imputato, giudicato in assenza, abbia dichiarato o eletto domicilio né conferito al difensore specifico mandato ad impugnare, deve preliminarmente verificarsi, secondo quanto esposto dallo stesso ricorrente, l’applicabilità delle citate disposizioni al ricorso per cassazione e, specificamente, a quello proposto avverso ordinanze emesse in fase di esecuzione.

Ritiene il collegio che la risposta al quesito sia negativa, in tal senso deponendo, in primo luogo, il riferimento, contenuto in entrambi i commi di interesse, alla strumentalità tanto della dichiarazione o elezione di domicilio quanto del mandato ad impugnare rispetto alla «notificazione del decreto di citazione a giudizio», adempimento estraneo al giudizio di cassazione, nel quale la fissazione di udienza è, ordinariamente, comunicata al procuratore generale ed ai difensori, e non anche alle parti personalmente, mediante un mero avviso.

Al riguardo, occorre notare come, in materia di impugnazione, i precetti normativi siano di stretta interpretazione, ciò che preclude, secondo quanto già statuito dalla giurisprudenza di legittimità in relazione a casi affini (cfr., in particolare, Sez. 4, n. 22140 del 03/05/2023 e Sez. 1, n. 29321 del 07/06/2023, entrambe non massimate), l’estensione di regole dettate, a pena di inammissibilità in vista della notificazione del decreto di citazione a giudizio a contesti procedurali che non contemplano tale adempimento.

Nella medesima direzione milita, poi, la circostanza che la legge delega 27 settembre 2021, n. 134, restringe l’ambito applicativo delle previsioni in esame alle impugnazioni proposte, in sede di merito o legittimità, avverso le sentenze, sì da coordinare la relativa disciplina con quella propria del processo in assenza, tipica del processo di cognizione e non anche di quello esecutivo, e da preservare, al contempo, il principio di ragionevole durata del processo.

Tanto, in linea con quanto già stabilito dalla legge delega 27 settembre 2021, n. 134, che, all’art. 1, comma 7, lett. h), circoscriveva all’impugnazione della sentenza la previsione poi trasfusa all’art. 581, comma 1-quater, cod. proc. pen.

La precedente conclusione trova, peraltro, ulteriore riscontro nella disciplina transitoria prevista dall’art. 89, comma 3, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, che, nel prevedere, tra l’altro, che le disposizioni dell’art. 581, commi 1-ter e 1-quater, cod. proc. pen. si applicano alle sole impugnazioni proposte avverso sentenze pronunciate in data successiva a quella di entrata in vigore del medesimo decreto, sembra escludere dal loro ambito applicativo le impugnazioni, quale quella di cui qui si discute, volte a sindacare la legittimità di provvedimenti emessi in forma diversa dalla sentenza.

Le precedenti considerazioni inducono, in conclusione, il convincimento che il ricorso presentato nell’interesse di V. C. sia ammissibile a dispetto dell’assenza tanto della dichiarazione o elezione di domicilio quanto dello specifico mandato ad impugnare.

Nei giorni scorsi ha destato notevole interesse una decisione diametralmente opposta, precisamente Cass. pen., Sez. 5^, n. 42414/2023 (anch’essa commentata da Terzultima Fermata, a questo link per la consultazione), la quale ha ritenuto applicabile al ricorso per cassazione la previsione dell’art. 581, comma 1-quater, c.p.p., e contestualmente dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della norma, avanzata in via preliminare dal difensore d’ufficio dell’imputato, che aveva proposto in proprio l’impugnazione. 

Il conflitto interpretativo tra le due decisioni menzionate non potrebbe essere più vistoso e determina una pericolosa condizione di incertezza su una relazione essenziale del processo, quale è quella tra imputato e difensore, e su una prerogativa difensiva altrettanto essenziale, quale è la facoltà di ricorso per cassazione.

Riteniamo che l’orientamento espresso dal collegio della prima sezione sia il più convincente, a partire dal condivisibile richiamo al principio di stretta interpretazione delle norme in materia di impugnazione, la cui valorizzazione dovrebbe imporre di respingere qualsiasi indirizzo che porti a restringere l’accesso ad un mezzo di impugnazione attraverso l’imposizione di un adempimento non previsto dalla lettera della legge.

Comunque sia, la funzione di stabilizzazione della legge affidata alla Corte di cassazione, il cui corretto assolvimento è direttamente strumentale alla prevedibilità delle norme, esige che si faccia chiarezza in tempi rapidi.