Il respiro dell’aula, lo studio delle carte … e l’archivio di Terzultima Fermata (di Riccardo Radi)

L’aula è la parte migliore della professione per un avvocato penalista, almeno per me è ancora il richiamo che mi rende piacevole questo maledetto lavoro, nonostante tutto e tutti.

Oggi voglio condividere il piacere di uno stato d’animo breve quanto il battito di ali di una farfalla: mai entusiasmarsi e mai deprimersi nello svolgere il lavoro di avvocato.

Ma quando ricevi da parte di un pubblico ministero, ex commissario di polizia, dopo la lettura del dispositivo da parte del tribunale il segno dell’ok accompagnato dalle parole: “Complimenti avvocato splendido lavoro non avrei scommesso un centesimo, per me era un processo chiuso”, non c’è che dire non puoi che essere felice.

Condivido con i lettori di Terzultima Fermata questa breve euforia perché è grazie al lavoro di scrittura giornaliero che un processo apparentemente chiuso mi ha mostrato un sottile varco che ho percorso.

Alla fine Terzultima Fermata è anche un percorso di consapevolezza, personale e professionale. Chi l’avrebbe mai detto?

La vicenda è la seguente: persona arrestata per rapina aggravata dall’uso dell’arma (articolo 628 commi 1 e 3 e n.1 c.p. con contestazione della recidiva specifica (ex art. 99 comma 1, 2 c.p.) si ritrova da detenuta davanti al tribunale a seguito della richiesta del pubblico ministero di giudizio immediato.

La prima questione preliminare affrontata è stata l’applicabilità dell’articolo 123 c.p.p. in quanto la detenuta aveva inviato dal carcere, alla Procura, la richiesta di giudizio abbreviato.

Richiesta mai pervenuta al Giudice dell’udienza preliminare e tantomeno al tribunale.

Anticipo la questione al Presidente e tra le righe comunico che siamo ben felici di essere giudicati dal suo collegio e non chiedo di far regredire il procedimento: perché affrontare la lotteria dell’assegnazione al Gup quando hai davanti un trio di giudici severi ma intellettualmente disponibili ad ascoltarti?

Espongo la questione e sottolineo che la cassazione sezione 4 con la sentenza numero 42850 depositata il 19 ottobre 2023 ha ribadito che la dichiarazione resa da persona detenuta al direttore dello stabilimento di custodia esplica effetti istantaneamente, a nulla rilevando che detta dichiarazione, immediatamente efficace ai sensi dell’art. 123 cod. proc. pen., non sia pervenuta all’autorità procedente.

Non solo: si pone a carico dell’amministrazione penitenziaria l’onere di individuare l’autorità giudiziaria anche in caso di erronea indicazione da parte del dichiarante, come ho avuto modo di ricordare nel post a mia firma “Dichiarazioni del detenuto al direttore dello stabilimento di custodia: hanno la stessa efficacia di quelle rese all’autorità giudiziaria” (consultabile a questo link).

Il PM si oppone ed il collegio accoglie l’eccezione difensiva e dispone l’abbreviato senza “dover procedere alla regressione e trasmissione degli atti al Gip”.

Il primo passo avanti c’è stato!

A questo punto il PM chiede una breve pausa per studiarsi gli atti e de visu mi dice “avvocato perché non patteggia a 4 anni? È il minimo.

Verissimo ma sono convinto di poter percorrere lo spiraglio intravisto e nel ringraziarlo gli anticipo che la detenuta farà una breve dichiarazione spontanea ammissiva dei fatti già conclamati.

Discutiamo l’abbreviato e la richiesta del PM è di 5 anni.

Anticipo al Collegio che la dinamica dei fatti è incontestabile ma ci sono due questioni aperte secondo la difesa: la sussistenza dell’aggravante dell’arma e la recidiva.

Discuto in maniera chiara e senza giri di parole, l’arma è una suggestione anzi una simulazione adoperata dalla mia assistita e d’altronde la stessa persona offesa dice che: “la stessa aveva un braccio sotto il giacchetto e nel minacciarmi mi indicava appunto un oggetto appuntito sotto il giacchetto minacciandomi ed invitandomi a consegnare la borsa e che qualora non lo avessi fatto mi avrebbe accoltellata. Preciso di non aver visto materialmente il coltello. A questo punto vista la situazione ed al fine di evitare il peggio e viste le sue minacce consegnavo la borsa …”.

D’altronde, è la Cassazione a scrivere che: “La semplice simulazione della disponibilità di un’arma non integra l’aggravante di cui all’articolo 628, comma 3, n. 1 c.p. Per potersi configurare l’aggravante dell’uso dell’arma è dunque necessario che il soggetto agente appaia palesemente armato, così da sortire un effetto intimidatorio concreto nelle vittime” Cassazione 4 maggio 2021 n. 14366.

La recidiva reiterata infraquinquennale non esiste e neanche la recidiva semplice in quanto il precedente è del 2009 ed è per resistenza e lesioni e, come ha scritto Vincenzo Giglio per Terzultima Fermata, la recidiva ricorre solo se le precedenti condotte criminose siano l’antecedente criminogeno del fatto per cui si procede (a questo link per la consultazione).

Cass. pen., sez. 6^, sentenza n. 46042/2022, udienza 9 novembre 2022, ha consolidato un interessante (e garantista) indirizzo interpretativo già manifestato da Cass. pen., sez. 3^, sentenza n. 33299/2016 (dep. 2017), Rv. 270419, secondo il quale “Ai fini della rilevazione della recidiva, intesa quale elemento sintomatico di un’accentuata pericolosità sociale del prevenuto, e non come fattore meramente descrittivo dell’esistenza di precedenti penali per delitto a carico dell’imputato, la valutazione del giudice non può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti e sull’arco temporale in cui questi risultano consumati, essendo egli tenuto ad esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all’art. 133 c.p., il rapporto esistente tra il fatto per cui si procede e le precedenti condanne, verificando se ed in quale misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato “sub iudice“.

Ringrazio il mio coautore perché ho fatto mie le sue considerazioni:

Il legale che assista una persona accusata di un reato aggravato dalla recidiva ha dunque a sua disposizione una prospettiva aggiuntiva da valorizzare soprattutto nel caso in cui il fatto per cui si procede risulti privo di collegamenti significativi con quelli posti a base delle precedenti condanne.

Tra gli elementi maggiormente significativi in questa direzione possono citarsi, a titolo di esempio: lo scarto temporale, la diversa indole dei reati, la diversità dei luoghi di consumazione”.

Concludo chiedendo di non riconoscere l’aggravante dell’uso dell’arma e la recidiva e concedendo le attenuanti generiche determinare la pena nel minimo partendo da cinque anni.

Passano i minuti che diventano un’ora ma all’uscita la sentenza è di anni 2 mesi 2 e giorni 20, il Pubblico Ministero in maniera signorile mi dice: “Complimenti avvocato splendido lavoro non avrei scommesso un centesimo, per me era un processo chiuso”.

Ora sono pronto a prendere da domani la prossima tranvata con la consapevolezza che tutto è possibile nell’aula ma è sempre importante voler ascoltare il suo respiro.