Decisione sull’asserita inutilizzabilità di fonti conoscitive: non spetta al GUP ma al giudice del dibattimento (di Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 5^, sentenza n. 42644/2023, udienza camerale del 20 settembre 2023, ha risposto in senso negativo al quesito sulla spettanza al GUP della competenza a valutare l’eventuale inutilizzabilità di fonti conoscitive dedotta dalla difesa nell’udienza preliminare.

Vicenda sottostante al ricorso

Il GUP, nel provvedimento impugnato, citando giurisprudenza di legittimità ha rigettato le eccezioni difensive di inutilizzabilità, sostanzialmente – si comprende dai principi di legittimità trascritti – ritenendo di non essere tenuto ad una delibazione espressa sulle questioni di inutilizzabilità e che comunque tali questioni non vadano decise nella sede dell’udienza preliminare, ma in quella del dibattimento.

Motivi di ricorso

La ricorrente impugna il provvedimento impugnato per abnormità, dicendosi – giustamente -consapevole che si tratti di decisum contro il quale non è previsto alcun mezzo di impugnazione.

Ne consegue che è nell’ottica dell’abnormità del provvedimento impugnato che occorre collocarsi e ciò induce a dichiarare inammissibile il ricorso.

Ricognizione giurisprudenziale sull’istituto dell’abnormità

Il tema dell’abnormità è stato ripetutamente affrontato dalla Cassazione, particolarmente dalle Sezioni unite penali.

…Sentenza Fenucci

Una completa summa delle conclusioni adottate si rinviene nella sentenza Fenucci delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 10728 del 16/12/2021, dep. 2022, Rv. 282807, che richiama Sez. U, n. 40984 del 22/03/2018, Gianforte, Rv. 273581; Sez. U, n. 20569 del 18/01/2018, Ksouri, Rv. 272715; Sez. U, n. 21243 del 25/03/2010, Zedda, Rv. 246910; Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009, Toni, Rv. 243590; Sez. U, n. 5307 del 20/12/2007, dep. 2008, Battistella, Rv. 238240-01; Sez. U, n. 22909 del 31/05/2005, Minervini, Rv. 231163-01; Sez. U, n. 19289 del 25/02/2004, Lustri, Rv. 227356; Sez. U, n. 28807 del 29/05/2002, Manca, Rv. 221999; Sez. U, n. 34536 del 11/07/2001, Chirico, Rv. 219598; Sez. U, n. 4 del 31/01/2001, Romano, Rv. 217760; Sez. U, n. 33 del 22/11/2000, Boniotti, Rv. 217244; Sez. U, n. 26 del 24/11/1999, Magnani, Rv. 215094; Sez. U, n. 17 del 10/12/1997, dep. 1998, Di Battista, Rv. 209603; Sez. U, n. 11 del 09/07/1997, Quarantelli, Rv. 208221).

Ricorda, in primo luogo, la sentenza Fenucci il risalente distinguo tra abnormità strutturale e abnormità funzionale, per cui è affetto da abnormità non solo il provvedimento che, per la singolarità e stranezza del contenuto, risulti avulso dall’intero ordinamento processuale, ma anche quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite.

La categoria dell’abnormità è stata poi oggetto di un processo di delimitazione da parte della giurisprudenza successiva, che ha fatto leva sulla sua sussidiarietà, da interpretare restrittivamente per non violare il principio della tassatività dei mezzi di impugnazione.

In particolare, si è affermato che l’atto può essere dichiarato abnorme «quando concorrano almeno i seguenti requisiti: a) sia affetto da un vizio per il quale non sono previste cause di nullità o inutilizzabilità; b) non sia altrimenti impugnabile; c) non sia inquadrabile nella struttura procedimentale prevista dall’ordinamento, ovvero determini una stasi processuale non altrimenti superabile» (Sez. U, n. 22909 del 2005, Minervini).

Sul punto, Sez. U, n. 5307 del 2007, Battistella, ha specificato che, «alla luce del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, è configurabile il vizio dell’abnormità in ogni fattispecie di indebita regressione del procedimento in grado di alterarne l’ordinata sequenza logico-cronologica».

Esaminando, poi, Sez. U, n. 25957 del 2009, Toni, la sentenza Fenucci ne ha ricavato che l’abnormità è ravvisabile soltanto in mancanza di ulteriori strumenti di gravame lato sensu offerti dal sistema processuale per rimediare con prontezza all’anomalia della pronuncia giudiziale.

Sulla scorta della ritenuta connotazione derogatoria dell’abnormità rispetto ai tradizionali mezzi di impugnazione ed alle nullità, Sezioni Unite Toni ha ritenuto trattarsi di un rimedio eccezionale e, con riguardo alla abnormità funzionale, riscontrabile nel caso di stasi del processo e di impossibilità di proseguirlo, cioè quando il provvedimento giudiziario «imponga al pubblico ministero un adempimento che concretizzi un atto nullo rilevabile nel corso del futuro del procedimento o del processo», mentre negli altri casi il pubblico ministero è tenuto ad osservare i provvedimenti emessi dal giudice.

A contrario – secondo tale pronuncia – non basta, per ritenere abnorme un provvedimento, la sola regressione del procedimento, ancorché legata ad una statuizione sbagliata.

…Sentenza Ksouri

Tali principi sono stati ripresi da Sez. U, n. 20569 del 2018, Ksouri, che ha altresì escluso l’abnormità di un provvedimento compiuto per finalità diverse da quelle che legittimano l’esercizio della funzione quando la stasi determinatasi sia «superabile da una successiva corretta determinazione giudiziale che dia corretto impulso al processo o dalla sopravvenienza di una situazione tale da averne annullato gli effetti, averlo privato di rilevanza ed avere eliminato l’interesse alla sua rimozione».

Tirando le fila dell’evoluzione giurisprudenziale sopra riportata, la sentenza Fenucci ha, quindi, tratto due conclusioni: una più generale, nel senso che la giurisprudenza ha progressivamente ristretto l’ambito di applicazione della categoria dell’abnormità, in particolare evidenziando, per la sua configurabilità, la necessità di una stasi processuale; una più specifica, nel senso che la stasi processuale rilevante ai fini dell’abnormità si determina quando il processo non può proseguire, se non attraverso il compimento di un atto nullo da parte del pubblico ministero.

…Sentenza n. 37502/2022

Un successivo, autorevole approdo è dato dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 37502 del 28 aprile 2022 che ha ritenuto che «E’ abnorme, e quindi ricorribile per cassazione, l’ordinanza del giudice dell’udienza preliminare che, investito di richiesta di rinvio a giudizio, disponga, ai sensi dell’art. 33-sexies, cod. proc. pen., la restituzione degli atti al pubblico ministero sull’erroneo presupposto che debba procedersi con citazione diretta a giudizio, trattandosi di atto che impone al pubblico ministero di compiere una attività processuale contra legem ed in violazione dei diritti difensivi, successivamente eccepibile, ed è idoneo, pertanto, a determinare una indebita regressione, nonché la stasi del procedimento».

Hanno sostenuto le Sezioni Unite che la necessità di introdurre la categoria dell’abnormità si correla all’esigenza di assicurare la legalità di ogni sequenza procedimentale e di scongiurare il rischio di anomalie imprevedibilmente insorte e non riconducibili ad un’altra specie di patologia, tali nondimeno da alterare lo sviluppo del procedimento e da arrecare pregiudizio alle prerogative riconosciute alle parti: di qui l’ammissibilità in questi casi, in deroga al principio della tipicità dei mezzi di impugnazione, del ricorso per cassazione, al fine di eliminare quegli atti, ove il vizio non sia riconducibile alle categorie della nullità o dell’inutilizzabilità e non sia previsto altro mezzo di impugnazione.

Dopo un inquadramento delle categorie dell’abnormità legato agli arresti delle Sezioni Unite sul punto (sostanzialmente in linea con quanto osservato da Sezioni Unite Fenucci), la sentenza in commento si è concentrata sul profilo dell’indebita regressione del procedimento ad una fase anteriore, concludendo che tale situazione, nella giurisprudenza delle Sezioni Unite, è stata considerata quale fenomeno rappresentativo dell’alterato funzionamento del procedimento e dunque inquadrata all’interno dell’abnormità funzionale.

La sentenza ha tuttavia preso atto, come già aveva fatto la Fenucci, che la giurisprudenza del massimo Consesso ha ridimensionato la valenza della regressione quale indicatore di abnormità e che l’abnormità funzionale, ravvisabile nei casi di stasi del procedimento e di impossibilità di proseguirlo, è stata riferita all’ipotesi in cui il provvedimento giudiziario imponga al pubblico ministero un adempimento che concretizzi un atto nullo, rilevabile nel corso futuro del procedimento o del processo (cfr. Sez. U. Toni, cit.): solo in tali limiti il pubblico ministero può ricorrere, lamentando che il conformarsi minerebbe la regolarità del processo; altrimenti è tenuto ad ottemperare, in un sistema che non ammette la possibilità di conflitto in caso di contrasto tra pubblico ministero e giudice, senza che possa dirsi di per sé caratterizzante dell’abnormità l’effetto della regressione del processo ad una fase precedente.

Ciò che rileva, dunque, è che, alla situazione di stasi, si accompagni l’imposizione di un adempimento che dia luogo ad una nullità rilevabile, principio affermato dalla sentenza Toni e ribadito o, comunque, non smentito, dalla giurisprudenza successiva delle Sezioni Unite.

Riflessi dell’orientamento interpretativo sul caso in esame

Se questo è il quadro della giurisprudenza della Sezioni Unite – dalla quale il collegio non ritiene di discostarsi – il provvedimento impugnato va giudicato non abnorme, né sotto il profilo strutturale, né sul versante funzionale.

Quanto al primo aspetto, si tratta di un provvedimento non solo non eccentrico rispetto all’ordinamento processuale, ma addirittura in linea con la struttura dell’udienza preliminare come concepita dal legislatore, che non prevede, come invece il dibattimento, una fase deputata alla trattazione delle questioni preliminari.

In questo senso si è più volte espressa la giurisprudenza di legittimità (Sez. 6 n. 11624 del 14.5.19 dep. 2020, non massimata; Sez. 6, n. 33576 del 30 5.19, non massimata; Sez. 4, n. 29644 del 20/04/2016, Rv. 267733; Sez. 3, n. 40209 del 13/05/2014, Rv. 260423; Sez. 1, n. 27902 del 08/04/2022, Rv. 283352).

Neanche l’abnormità si coglie sotto il profilo, per così dire, dinamico del provvedimento, giacché esso non ha comportato alcuno stravolgimento della ordinaria sequenza processuale, dal momento che – in un caso come quello sub iudice – il procedimento è andato avanti verso il dibattimento, dove la parte ben potrà sollevare le medesime questioni ed imporre che il giudice del dibattimento – se del caso – espunga gli atti inutilizzabili da quelli che eventualmente si vogliano far transitare dal fascicolo del pubblico ministero a quello del dibattimento e di cui il giudice voglia dare lettura per la decisione. In questo senso, è utile il riferimento, pure recepito dal GUP nel provvedimento impugnato, alla sentenza Sez. 4, n. 29644 del 20/04/2016, cit.), secondo cui «Non è abnorme il decreto che dispone il giudizio emesso senza che vi sia stata una pronuncia sulle questioni riguardanti la utilizzabilità degli atti processuali, in quanto, in sede di udienza preliminare, il giudice non è tenuto a decidere anticipatamente tali questioni, rispetto alla trattazione del merito, neppure al fine di consentire all’imputato di valutare l’opportunità di accedere al rito abbreviato, nella piena conoscenza delle prove utilizzabili, non essendo un obbligo in tal senso contemplato dalle disposizioni processuali» (in termini Sez. 6 n. 11624 del 14.5.19 dep. 2020 e n. 33576 del 30.5.19, cit.).

Tali precedenti, benché concernenti il decreto di rinvio a giudizio e non il provvedimento del GUP che abbia ricusato le questioni preliminari, affermano un principio comunque esportabile nell’odierna regiudicanda, dove ad essere stato impugnato è, appunto, il provvedimento di sostanziale non liquet del GUP che ha preceduto l’emissione del decreto ex art. 429 codice di rito.

Né coglie nel segno quella parte del ricorso che indugia sulla mutata conformazione del giudizio del GUP dovuto al d.lgs. 150 del 2022.

Sembrerebbe, infatti, che la ricorrente insista sulla nuova regola di giudizio che deve guidare il GUP, per affermare che questi debba occuparsi espressamente della questione dell’inutilizzabilità di alcuni atti di indagine, sì da estrapolarli dal materiale a sua disposizione per la nuova, più approfondita valutazione che gli è imposta. Ebbene, se così è, non possono che essere ribadite le superiori considerazioni quanto all’abnormità e, dunque, non può che affermarsi che il provvedimento impugnato non altera la normale dinamica del procedimento e che non presenta alcuna anomalia radicale che lo collochi al di fuori del sistema processuale.

Pur consapevole che si tratti di profili diversi, il collegio osserva che l’assenza di anomalie strutturali o funzionali del provvedimento impugnato non è smentita dalla novella Cartabia, che, anzi, pur avendo rimaneggiato alcuni aspetti dell’udienza preliminare, non vi ha inserito la fase delle questioni preliminari — avendo disciplinato espressamente solo una specifica verifica officiosa, vale a dire quella circa l’eventuale violazione dell’art. 417, comma 1, lettera b) cod. proc. pen.) — né ha comunque previsto la necessità che il GUP si pronunzi espressamente sulle medesime prima che l’udienza sfoci negli epiloghi decisori che le sono propri.

Osserva, infine, il collegio, in risposta alla argomentazione censoria secondo cui un’espressa delibazione del GUP sull’inutilizzabilità avrebbe potuto orientare la scelta del rito abbreviato secco, che certo non incide sull’abnormità di un provvedimento la circostanza che esso non sia confacente all’individuazione delle strategie difensive (Sez. 4, n. 29644 del 20/04/2016, Rv. 267733, cit.; Sez. 3, n. 40209 del 13/05/2014, Rv. 260423, cit.), anche tenuto conto del fatto che la questione non sarebbe stata preclusa alla ricorrente, la quale, una volta ammesso il rito, avrebbe potuto comunque eccepire le inutilizzabilità che assume essere patologiche (da ultima, Sez. 1, n. 20834 del 01/03/2023, Rv. 284539).