Delega ad operare su un conto corrente altrui o cointestato: ammissibile il sequestro preventivo nei confronti del delegato (di Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 3^, sentenza n. 34551/2023, udienza del 6 luglio 2023, afferma la legittimità del sequestro preventivo di somme depositate su un conto corrente sul quale l’indagato abbia delega ad operare.

Vicenda giudiziaria

Con ordinanza il tribunale ha rigettato l’appello cautelare proposto da MC avverso il provvedimento con cui il GIP aveva respinto l’istanza di restituzione di somme depositate su conti correnti a lei intestati, sottoposte a sequestro perché ritenute nella disponibilità del marito BR, nei cui confronti era stato emesso decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente in relazione a reato tributario.

Ricorso per cassazione

Avverso detta ordinanza, a mezzo del difensore fiduciario. MC ha proposto ricorso per cassazione, deducendo, con un unico motivo, violazione di legge con riguardo agli artt. 321 cod. proc. pen., 12-bis d.lgs. 74 del 2000, 42 e 47 Cost.

Premesso di essere coniugata, in regime di separazione patrimoniale, con l’indagato e di essere estranea al reato al medesimo contestato, la ricorrente si duole del fatto che le somme depositate sui propri conti correnti siano state ritenute nella disponibilità del marito soltanto perché al medesimo era stata rilasciata una incondizionata delega ad operare.

Negando di aver dichiarato – come invece erroneamente sostenuto nell’ordinanza impugnata – che il marito avrebbe potuto disporre del denaro giacente su quei conti, la ricorrente allega che trattasi di somme inferiori al prezzo di un immobile di sua esclusiva proprietà, a suo tempo venduto con deposito del ricavato sui conti correnti, sicché il tribunale aveva travisato i fatti non tenendo conto della circostanza che, pacificamente, quel denaro apparteneva a lei e non al marito. La ricorrente non contesta che anche quest’ultimo aveva versato su quei conti denaro proveniente dalla società nella cui veste di amministratore egli era accusato di aver commesso il reato tributario, ma precisa che quei conti venivano utilizzati per spese correnti relative alla gestione famigliare e, a fronte della segnalata circostanza circa il versamento del prezzo dell’immobile da lei venduto, non poteva comunque ritenersi che tutto il saldo rientrasse nella disponibilità del marito.

Decisione della Corte di cassazione

Come indicato nell’ordinanza impugnata, e sottolineato anche dalla ricorrente, con riguardo al giudizio sulla riconducibilità a chi abbia un’incondizionata delega ad operare su conti correnti ad altri intestati del denaro sugli stessi depositati la giurisprudenza di legittimità ha affermato principi apparentemente non del tutto coincidenti.

Al di là della specificità dei casi di volta in volta sottoposti a scrutinio e dei differenti accenti utilizzati, dalla giurisprudenza in materia emerge, tuttavia, una linea interpretativa in buona parte condivisa. Accanto a pronunce che hanno affermato che la titolarità di una delega ad operare incondizionatamente e senza limitazioni su un conto corrente bancario intestato ad altri configura l’ipotesi di disponibilità richiesta dall’art. 322-ter cod. pen. ai fini dell’ammissibilità del sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente (Sez. 3, n. 13130 del 19/11/2019, dep. 2020, Rv. 279377-02; Sez. 3, n. 23046 del 09/0712020, Rv. 279821), si rinvengono decisioni dove si è precisato che questa situazione può non essere sufficiente “ex se” a dimostrare la piena disponibilità, da parte del delegato, delle somme depositate, occorrendo ulteriori elementi di fatto sui quali fondare il giudizio di ragionevole probabilità circa la libera utilizzabilità delle somme da parte sua (Sez. 2, n. 29692 del 28/05/2019, Rv. 277021; Sez. 1, n. 19081 del 30/11/2022, dep. 2023, Rv. 284548).

Si è ulteriormente precisato che la delega ad operare rilasciata all’indagato dal titolare di un conto corrente, pur se non seguita da atti del delegato di concreta disposizione delle somme su di esso depositate, può ritenersi elemento idoneo a ricondurre a quest’ultimo la disponibilità delle stesse, ove non trovi causa in un sottostante rapporto implicante il conferimento di poteri gestori da parte del delegante, posto che solo tale rapporto qualifica la delega, rendendola espressione di funzioni amministrative per conto terzi (Sez. 3, n. 49237 del 22/11/2022, Rv. 283912).

Ciò premesso, le marginali divergenze interpretative di cui si è dato conto non rilevano nel caso di specie, poiché l’ordinanza impugnata si è in concreto attenuta all’orientamento più garantista, non essendosi limitata ad affermare la disponibilità di BR del denaro depositato sui conti correnti intestati alla moglie MC in base alla mera, ed incondizionata, delega ad operare„ ma individuando ulteriori elementi che confortavano tale conclusione.

In particolare, l’ordinanza impugnata attesta che: – l’indagato ha utilizzato uti dominus i conti correnti in questione, sia attingendo alle somme depositate (come ammesso dalla stessa appellante), sia effettuando sui medesimi versamenti o disposizioni di pagamento in assenza di qualsivoglia rapporto gestorio ascrivibile alla tipologia del mandato; – nel periodo dal 2009 al 2018, i conti correnti in questione erano stati infatti alimentati per importi ingenti sia mediante versamenti in contanti effettuati dall’indagato, sia mediante il trasferimento di denaro proveniente dalla società da lui amministrata (e nell’interesse della quale era stato commesso il reato fiscale oggetto di indagine), sia mediante accrediti provenienti da conti cointestati tra l’indagato e la ricorrente; – queste somme – indica dettagliatamente l’ordinanza, ammontavano ad oltre 235.000 euro, vale a dire ad un importo notevolmente superiore a quello posto sotto sequestro.

L’iter logico-giuridico che ha condotto il giudice dell’appello cautelare a confermare il rigetto dell’istanza di restituzione è dunque chiaro e aderente ai più garantisti principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità, sicché non presta il fianco a censure.

Del resto, con queste specifiche allegazioni – e, in particolare, con riguardo alla pluralità, costanza nel tempo ed entità dei versamenti di denaro appartenente all’indagato – la ricorrente neppure si confronta, limitandosi a negare di aver affermato che il marito attingesse liberamente alle somme ivi depositate e a sostenere che di tanto non vi sarebbe prova.

Quest’ultima doglianza, tuttavia, è inammissibile. In disparte il fatto che il contestato vizio di travisamento della prova non è stato neppure specificamente dedotto, va infatti rammentato che, in forza dell’art. 325 cod. proc. pen., essendo il ricorso per cassazione ammissibile solo per violazione di legge (Sez. 3, n. 45343 del 06/10/2011, Rv. 251616), è deducibile soltanto l’inesistenza o la mera apparenza della motivazione, ma non anche la sua illogicità manifesta, ai sensi dell’art. 606, comma primo, lettera e), cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 5807 del 18/01/2017, Rv. 269119).

Il giudice di legittimità, pertanto, non può procedere ad un penetrante vaglio sulla motivazione addotta nel provvedimento impugnato (v. già Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Rv. 239692, secondo cui il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice, ciò che nella specie, per quanto detto, non ricorre).

Il ricorso, complessivamente infondato, va pertanto respinto.