Estorsione: l’ingiusto profitto non è escluso dalla circostanza che l’oggetto della pretesa derivi da una comune attività illecita (di Riccardo Radi)

La cassazione sezione 2 con la sentenza numero 40457/2023 si è occupata dei “ladri di Pisa” che come da proverbio rubano di notte per poi litigare di giorno.

Il tema prospettato dalla difesa dei ricorrenti è se la lite tra correi per la spartizione dei proventi di una rapina possa configurare l’estorsione in quanto sarebbe l’anomala l’affermazione di responsabilità degli imputati che assicurerebbe tutela giuridica a colui che abbia, d’intesa con i soggetti agenti, commesso un reato e venga successivamente minacciato per costringerlo ad osservare gli accordi (illeciti) riguardanti la divisione del provento di quel reato.

La cassazione sottolinea che la difesa non considera la natura plurioffensiva del delitto di estorsione e l’esatta individuazione del danno, anche dal punto di vista patrimoniale, conseguente alla costrizione posta in essere dagli imputati.

In primo luogo, va sgombrato il campo dall’asserzione secondo la quale “la lite tra i correi nel reato di rapina per la divisione della refurtiva non integra un’autonoma ipotesi di reato poiché la condotta tenuta al momento della spartizione deve essere ritenuta un post factum non punibile, in quanto il suo disvalore è assorbito in quello della condotta del reato precedente e principale che ha consentito l’impossessamento illecito della somma“.

Come esattamente rilevato dalla Corte territoriale, l’ipotizzata “lite tra correi” non era avvenuta immediatamente dopo la consumazione della rapina, ma al contrario dopo alcuni giorni quando si era diffusa la notizia della rapina e dell’ammontare delle somme sottratte; sicché la determinazione degli odierni ricorrenti non può certo dirsi un post factum penalmente irrilevante, rispetto all’illecita sottrazione delle somme dall’ufficio postale, risultando in modo chiaro dalla sentenze di merito che gli odierni ricorrenti si determinarono ad organizzare l’incontro con il C. dopo aver realizzato che costui si era impossessato di una parte delle somme rapinate; il che conferma che non si trattò di una “lite”, quanto della preordinata convocazione del C. per costringerlo, dietro pesanti minacce di morte, a versare ai correi il denaro mancante rispetto alla somma complessiva che era stata da lui denunciata.

I ricorrenti, inoltre, non considerano il dato fattuale che le sentenze di merito hanno precisato: il C. aveva occultato il denaro (pari a 30.000 euro), che poi recuperò alcuni giorni dopo la rapina, prima che i correi entrassero in azione; il che esclude che la pretesa degli odierni ricorrenti, di ottenere con la minaccia il versamento della somma di 130.000 euro (così indicata nell’imputazione), potesse corrispondere – quanto all’oggetto della richiesta – al denaro occultato dal C.

Da questa incontestata ricostruzione, emerge a chiare lettere la direzione della volontà dei ricorrenti che, facendo leva sul proprio spessore criminale e sulla correlata capacità di coartare il C., miravano a conseguire il profitto (ingiusto, per le ragioni che si diranno) della consegna di una somma di denaro equivalente alla parte mancante del provento della rapina; così attentando non solo al patrimonio del C. ma anche alla libertà morale del correo.

La natura plurioffensiva del delitto di estorsione, tradizionalmente riconosciuta (Sez. 2, n. 32234 del 16/10/2020, Rv. 280173 – 01; Sez. 2, n. 46504 del 13/09/2018, Rv. 274080 – 01; Sez. 2, n. 45985 del 23/10/2013, Rv. 257755 – 01; Sez. 2, n. 12456 del 04/03/2008, Rv. 239749 – 01), relega in secondo piano l’eventuale condizione di illiceità in cui versi la persona offesa, anche in relazione alla provenienza del bene oggetto della pretesa dell’agente; la tutela apprestata dall’ordinamento alla libertà morale della vittima del reato ed al suo patrimonio trova esplicazione quante volte il profitto che l’agente intenda conseguire sia ingiusto, perché sfornito di qualsivoglia base legale, pur se sussista un collegamento eventuale con la causale illecita caratterizzante l’oggetto della pretesa (come per le ipotesi di costrizione mediante minaccia o violenza per la consegna del corrispettivo di cessioni di sostanze stupefacenti: Sez. 3, n. 9880 del 24/01/2020, Rv. 278767 – 01; Sez. 6, n. 1672 del 20/12/2013, dep. 2014, Rv. 258284 – 01; Sez. 2, n. 40051 del 14/10/2011, Rv. 251547 – 01); e non può certo affermarsi che la pretesa dei ricorrenti di ottenere il provento della rapina nella sua misura integrale fosse tutelabile.

Come già affermato in epoca risalente, «a nulla (…) rileva, per escludere il danno e l’ingiustizia del profitto, il fatto che il soggetto passivo sia venuto illecitamente nella disponibilità della cosa mobile o comunque dell’utilità cui mira l’agente, atteso che la valutazione relativa va fatta con riferimento ai rapporti tra questi e la vittima e non già tra quest’ultima e i terzi” (Sez. 2, del 5/6/1963, nello stesso, Sez. 1, del 19 aprile 1961); il che implica l’irrilevanza, al fine di valutare l’ingiustizia del profitto e il danno per la persona offesa, della composizione del patrimonio della vittima anche attraverso proventi di attività illecite o vietate (Sez. 3, n. 27257 del 11/05/2007, Rv. 237211 – 01, riguardante un’ipotesi di estorsione in danno di donne che esercitavano la prostituzione; Sez. 2, n. 7390 del 22/03/1986, Rv 173388, relativa ad un tentativo di estorsione diretto a proibire lo svolgimento del gioco d’azzardo).

In conclusione, la circostanza che l’oggetto della pretesa dei ricorrenti derivasse da una comune attività illecita, non esclude il carattere ingiusto del profitto perseguito dagli agenti, né la sussistenza del danno che avrebbe subito la vittima (danno che evidentemente si distingue dal danno patrimoniale sofferto dall’ente, autonomamente realizzato per effetto della precedente condotta di rapina, e che si sarebbe definitivamente realizzato per il correo in ipotesi di versamento della somma non dovuta).